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L’IDEA UCRAINA DI KOSTOMAROV: UN PONTE DEMOCRATICO FRA LE NAZIONALITA’ SLAVE. UNA RAGIONE (SLAVOFILA ED EUROPEISTA) PER SPERARE. Di Andrea Franco

La guerra in corso di svolgimento sul suolo ucraino ha lasciato l’opinione  pubblica sgomenta: a parte la drammatica parentesi delle guerre jugoslave degli anni Novanta, una delle poche certezze dell’homo europeus risiedeva nel radicato convincimento che – anche grazie al ruolo aggregativo svolto dall’Unione Europea – mai più vi sarebbero stati conflitti armati sul nostro suolo. Certezza, questa, svanita all’improvviso, per effetto della presente guerra che, al contempo. assomma elementi di vecchio stampo (modifica dei confini attraverso l’uso delle armi), ad altri in parte nuovi (contrasto geo-politico fra i due Stati slavi-orientali, in parte dovuta anche alle dispute derivate da narrazioni della storia, in parte comune, che si è fatta sempre più divaricata e difforme).

Una delle ragioni della sensazione di disorientamento avvertita da una parte dell’opinione pubblica europea occidentale risiede probabilmente nel fatto che, nell’immaginario comune, ancor oggi – dunque a oltre 30 anni dalla caduta dell’Urss – la percezione storica e culturale dell’Ucraina tende a sovrapporsi completamente a quella della Russia. A questa considerazione segue la deduzione logica del fatto che non siano comprese le fondamenta dell’autocoscienza nazionale ucraina, i cui elementi sfuggono ai più.

Chi, per primo, fu in grado di teorizzare compiutamente l’esistenza di una nazionalità ucraina fu lo storico Nikolaj (Mykola, secondo la dizione ucraina) Ivanovič Kostomarov, nato nel 1817 nelle campagne presso il Governatorato di Voronež, figlio naturale di un proprietario terriero grande-russo (ossia russo propriamente detto, secondo il lessico politico ufficiale dell’Ottocento) e di una contadina piccolo-russa (ovvero ucraina). Formatosi come storico presso l’Università di Char´kov, nella prima parte dell’Ottocento centro di irradiamento di un sentimento ucrainofilo al tempo ancor privo di qualsivoglia connotazione politica, si specializzò negli studi etnografici, condotti presso i contadini piccolo-russi, sulla scorta di una spinta ideale che si era irradiata a partire dall’opera dei fratelli Grimm, negli anni Dieci e Venti. In seguito, insegnò per un anno in un liceo di Rovno, dove ebbe modo di entrare in contatto con la cultura propria della nobiltà polacca, ivi dominante, per poi essere chiamato, nel 1846, alla cattedra di Storia della Russia dell’Università di Kiev, di recente fondazione: lì, Kostomarov giunse già animato da sentimenti slavofili – a quell’epoca à la page -, e forte di una concezione di matrice risorgimentale, incline all’ucrainofilismo.

A Kiev, il giovane docente diede forma ad una concezione innovativa dello studio: chiamati intorno a sé alcuni fra i gli studenti più appassionati, alcuni docenti di liceo (fra cui Pantelejmon Kuliš) e il bardo della letteratura ucraina, Taras Ševčenko, creò la “Confraternita Cirillo-Metodiana”, intitolata ai santi che contribuirono ad evangelizzare e ad alfabetizzare la Grande Moravia nel IX secolo: questa associazione si ispirava, nella forma, alle società segrete che si erano venute a formare nell’Impero zarista in seguito alla vittoria contro Napoleone e che, nel ’25, avevano dato luogo all’insurrezione decabrista, che fra i suoi fini aveva quello di costringere

Taras Hryhorovyč Ševčenko (1814-1861)

l’Imperatore a concedere una costituzione ottriata.

Kostomarov riversò nella Confraternita le sensibilità e la cultura dei “mondi” russo e ucraino, distinti ma contigui, che in lui confluivano in modo del tutto naturale. Kostomarov fu il primo intellettuale a teorizzare la legittima esistenza di una nazionalità ucraina a sé stante, non più parte (periferica e placidamente meridionale) della “nazionalità russo-comune”, come pretendeva la visione ufficiale dell’Impero zarista nell’Ottocento. Nella sua opera pamphlettistica I Libri della genesi del popolo ucraino” (sorta di manifesto della Confraternita) e in quella, successiva (1861), “Le due nazionalità della Rus´”, Kostomarov si prefisse la finalità di ricostruire il profondo intreccio storico e culturale che univa i due elementi slavi-orientali, ponendo altresì in evidenza le fratture storiche che li avevano progressivamente separati e distinti. Intreccio, e separatezza: Kostomarov ha insegnato – rimanendo per lo più inascoltato -, che non è possibile comprendere la storia di Russia e Ucraina senza procedere idealmente lungo questo duplice binario, che esclude visioni più banali, esclusive e manicheistiche.

Kostomarov non volle creare dei muri, tutt’altro. L’Ucraina da lui vagheggiata, all’opposto, avrebbe dovuto costituire il trait d’union fra le popolazioni slave, oltre che il fondamento stesso della Slavia: parafrasando il testo evangelico, “la pietra scartata dai costruttori”, ovvero l’Ucraina, “sarebbe diventata la testata dell’angolo”; altrove lo storico disse che “l’Ucraina, dimentica dei torti subiti, avrebbe fatto riappacificare le sorelle maggiori in eterna lotta fra loro”, ovvero la Russia e la Polonia.

Questo ponte gettato fra le popolazioni slave avrebbe dovuto essere alla base del sogno kostomaroviano, ossia la nascita di una federazione pan-slava, repubblicana e senza distinzioni di ceto al suo interno: tutto ciò fu teorizzato entro un contesto autocratico, e segnato dagli equilibri dell’Europa restaurata, di cui l’Impero zarista costituiva uno dei baluardi. Inoltre, Kiev, nella sua qualità di città “arci-slava”, sarebbe dovuta divenire la capitale di questo soggetto federale.

Lo slavofilismo kostomaroviano non è privo di una consapevolezza europea, oltre che di venature in qualche modo europeistiche, evidenti nei passaggi del suo pamphlet-manifesto in cui lo storico e i suoi accoliti affermano che alla Slavia, “figlia minore di Jafet”, sarebbe spettato il ruolo di faro della civiltà europea, postulando dunque il capovolgimento degli assunti fichtiani, rispetto ai quali la centralità del tema etnico, legato alla purezza del “sangue”, veniva decisamente ridimensionata, benché nell’Europa del tempo una tale visione venisse considerata del tutto legittima.

Una particolare attenzione fu prestata da Kostomarov al tema dell’eliminazione della servitù della gleba che era percepito sempre più spesso, dai circoli presenti nella Russia zarista di orientamento anche solo vagamente liberale o democratico, come un fardello storico di cui l’Impero si sarebbe dovuto presto liberare, per esigenze prima di tutto improntate alla morale cristiana.

Adam Bernard Mickiewicz (1798-1855)

Infine, un altro fra i punti centrali del pensiero di Kostomarov, del tutto consequenziale rispetto alle idee qui sopra esposte, risiedeva nell’ecumenismo cristiano perorato dagli affiliati alla Confraternita, a propria volta mutuato dai mistici polacchi, quali Adam Mickiewicz: una tale visione, che prima di tutto era suffragata dalle intime convinzioni religiose di Kostomarov, si rendeva urgente al fine di permettere il superamento della faglia storica creatasi fra la Russia ortodossa, e la Polonia, che durante il suo siglo de oro, ormai lontano, si era eretta al ruolo di antemurale christianitatis.

Dopo qualche mese dalla sua fondazione, la Confraternita Cirillo-Metodiana fu denunciata per effetto della delazione di un nuovo adepto, e ben presto i suoi animatori vennero messi sotto processo, sovrainteso da Nicola I in persona. Più che l’ucrainofilismo in quanto tale, giocarono a sfavore dei confratelli la loro visione repubblicana, e l’anelito alla costituzione di una confederazione pan-slava, progetto che, se avesse preso forma, avrebbe disarticolato l’Europa del tempo, provocando potenzialmente il distacco delle popolazioni slave presenti nel Regno di Prussia, nell’Impero absburgico e in quello ottomano, che si sarebbero dovuti riaggregare intorno all’unico soggetto statuale incardinato su di una nazionalità slava, ovvero l’Impero zarista.

È tuttavia forse giunto il momento di scrollare la polvere della storia dal progetto slavofilo ed irenico di Kostomarov, per il bene della pace fra la Russia e l’Ucraina. E per il bene dell’Europa tutta.

Andrea Franco

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