Negli ultimi anni il vento dell’antipolitica e quello dell’antipartitismo ancor di più hanno soffiato su un fuoco pericolosamente espansosi tra coloro che difettano della giusta conoscenza di termini tutt’altro che banali e assolutamente divergenti per uso, storia ed etimologia tra loro.
Gli inviti dei capipopolo leader dei movimenti assurti in auge tra un’elezione e l’altra hanno modificato il celebre motto “Roma ladrona”, impostosi contro una forma di Stato giudicata opprimente e iniqua, in “Basta Europa” intendendo muovere un’opposizione a Bruxelles, Strasburgo e tutte le sedi dell’Unione Europea.
Ed è qui che casca l’asino.
La critica mossa all’Ue e nello specifico all’incapacità di andare oltre una politica di mera alleanza commerciale ed economica tra gli Stati membro non è stata in grado di porre la differenza tra Unione Europea ed Europa o fra quest’ultima e il termine Occidente.
Così facendo ci è toccato assistere a prese di posizione in cui nei telegiornali nazionali piuttosto che nei talk show televisivi quelli che una volta erano i ragazzi che in corteo invocavano “l’Europa nazione” finivano con l’essere associati ad epiteti quali “euroscettici”, “antieuropeisti” et similia.
Purtroppo il basso, spesso bassissimo livello dei dibattiti pubblici, reso ancor più difficile dai due anni di pandemia che ci hanno privato dei luoghi e degli incontri di socialità in cui confrontarsi sulle idee hanno fatto il resto trasformando la sinistra progressista in una sorta di coalizione a difesa degli interessi europei e i mostri populisti o della vecchia e ormai desueta categoria di “destra” nei barbari nazionalisti o sovranisti che si oppongono al processo di costruzione di un’Europa unita.
Chiariamoci: se l’Europa a cui ci si ispira dovesse essere quella dell’attuale Unione Europea allora sì, andrebbe benissimo essere tacciati di antieuropeismo. Solo che come già avvenuto per il dibattito sull’ambientalismo anche sull’Europa c’è il rischio concreto di vedersi scippare un cavallo di battaglia da chi ancora trae giovamento dall’insegnamento dell’egemonia culturale di Antonio Gramsci per mostrarsi all’opinione pubblica come paladino di un fronte e di una barricata sulle quali non ha mai militato finora.
Allora occorre fare un passo indietro, comprendere cosa significa oggi Europa per noi, cosa vogliamo che significhi in un domani quantomai vicino e poi esporre le nostre tesi e dibattere senza pregiudizio sugli strumenti e i canali che ci vengono in aiuto (dalle conferenze pubbliche in presenza ai giornali cartacei, passando per le pubblicazioni che sfornano le case editrici dei nostri circuiti).
Non esiste una verità rivelata, ci saranno sempre dei punti in cui le nostre menti saranno indirizzate verso scenari opposti ma è lì che bisogna spingere per trovare una sintesi, tra le varie anime, da proporre all’esterno. Pensiamo all’idea di esercito comune europeo che Filippo Del Monte aborre sulle colonne de Il Guastatore e alla quale Pietro Ciapponi apre in maniera considerevole nel suo prezioso saggio Le sfide dell’Europa. Le radici di una Civiltà e i limiti di una burocrazia edito da Passaggio al Bosco.
Pensiamo, ancora, ai limiti o ancor più ai confini, tanto per utilizzare un termine che qualcuno vorrebbe cancellare dai dizionari, del continente europeo. C’è chi considera la Russia facente parte pienamente del Vecchio continente e chi pensa ad essa come la prima partner di un’Europa unita ma potenza regionale a sé stante.
Di pari passo nel nostro ragionamento è utile, anzi doveroso porre dei paletti. Se su qualcosa si può, e deve, poter discutere da qualche punto imprescindibile bisognerà pur partire. E allora ecco che come Europa e Ue non possono rappresentare un sinonimo ma si accreditano sempre più come contrari, al tempo stesso è fondamentale rigettare l’idea di stampo conservatore, se non liberale, di un’Europa che sia una cosa sola con il mondo anglo-sassone dando vita a quel concetto di Occidente che ci appare, in verità, piuttosto fragile e farraginoso.
I libri di Oriana Fallaci, dell’ultima Oriana Fallaci, non possono né devono rappresentare un Vangelo per il nostro mondo. Secoli di storia, usi, costumi, tradizioni passando per la diversa natura del diritto tra l’Europa continentale da una parte e Regno Unito e Usa dall’altra sono lì presenti a farci notare quanto siano molti di più i punti di contrasto che quelli di similitudine.
Farsi inserire nuovamente nella sfera di influenza di una superpotenza (nuovamente quella statunitense) per paura di una nuova guerra fredda in cui la Cina sostituisca l’Unione Sovietica della seconda metà del Novecento rappresenterebbe una posizione di retroguardia.
L’Europa dei popoli che sogniamo e che dobbiamo iniziare a costruire «deve rispecchiare il concetto di civiltà, l’animus che sia il collante in grado di trasformare una moltitudine di individui in una comunità di massa organizzata senza l’uso di mezzi di repressione. Animus frutto dell’evoluzione storica, politica, religiosa ed antropologica della comunità presa in analisi» come scrive ancora Ciapponi nel suo prezioso pamphlet.
Luca Lezzi