Alcuni pensavano che fosse una follia temporanea, un’ondata destinata a smorzarsi col passare del tempo. Stiamo parlando della cancel culture, l’ondata di odio per tutte le nostre radici, etniche, culturali, storiche, civili, religiose. E’ odio per la Grande Madre Europa, la cultura greco-romana-cristiana, la storia della civilizzazione. E invece questa marea fangosa e velenosa nata, come altre perversioni del pensiero, nelle Università liberal degli USA, nei pensatoi progressisti, nelle Fondazioni à la Soros, nelle redazioni dei grandi quotidiani come il Washington Post o il New York Times, non solo non si placa, ma è diventata ancora più pervasiva, totalitaria, liberticida e distruttrice. Alcuni dicono che la cancel culture sia nata con i terroristi di strada dei Black Lives Matter che bruciavano negozi e case dei bianchi, con le dimostranti abortiste infoiate che interrompevano le conferenze delle associazioni pro-life al grido di “abbasso la libertà di parola”. In realtà la cancel culture si prepara già negli anni ’60 con la sistematica conquista liberal delle università, la cacciata degli insegnanti “conservatori” o presunti tali, l’occupazione delle redazioni dei quotidiani e delle riviste da parte dei giornalisti di sinistra. Qualche tempo fa, l’ “autorevole” New York Times, (sono sempre “autorevoli” per definizione, queste testate liberal) ha deciso, per solidarietà con i Black Lives Matter, di pubblicare il termine Black sempre maiuscolo e il termine white sempre minuscolo.
Dopo un lungo e strisciante lavoro di infiltrazione prima, di spudorata occupazione poi, Hollywood è oggi una dittatura in mano alla sinistra del partito democratico. E’ la fabbrica per eccellenza delle mentalità collettive, del sentire comune, delle idee dominanti. Chi governa il sistema di Hollywood può, attraverso messaggi politici espliciti od occulti, cambiare le convinzioni profonde dell’opinione pubblica degli States e, ovviamente, non solo. Ed è quello che succede, con fiction che inoculano, con le loro storie e i loro personaggi, l’ideologia della politically correctness, contando sul fatto che le nostre difese, i nostri filtri “ideologici” si abbassano quando assistiamo a un prodotto di intrattenimento.
Poi si è arrivati alle distruzioni dei monumenti agli eroi Confederati, mentre i conservatori non reagivano, minacciati dalla violenza liberal, antirazzista e antifà, che non si è fermata al generale Lee. E’ quindi venuta l’ora di Cristoforo Colombo, le cui statue sono state distrutte in molte città americane, spesso per volontà degli stessi amministratori democratici. A Baltimora, il più antico monumento dedicato a Colombo negli USA, un obelisco del 1782, è stato gravemente danneggiato da attivisti antifà. In altre grandi città la tradizionale festa italoamericana del Columbus Day è stata abolita e sostituita con un ridicolo, tribalista Indigenous People Day. A New York è stata istituita una commissione per decidere la rimozione delle opere che possono “incitare all’odio”, tra cui il monumento a Cristoforo Colombo. Nell’Università (cattolica!) di Notre Dame dell’Indiana la figura di Colombo è stata cancellata dagli affreschi che ornano i muri dell’Ateneo. Gli attacchi al “colonialista” navigatore genovese si sono manifestati persino in Spagna, con “censure” a Colombo e alla regina Isabella. In Italia sentite cosa scrive Jacopo Fo, “intellettuale” per diritto di nascita e di discendenza, dello scopritore dell’America: “cane rognoso”, “spregevole incursore”, “assassino, torturatore, schiavista”, “c’è da vergognarsi che fosse italiano, tale quale a Totò Riina”.
Sempre più spesso le Università anglosassoni, al di là e al di qua dell’Atlantico, cancellano i Dipartimenti di Studi Classici. La lista degli autori ostracizzati in queste Università si allunga sempre di più: Euripide per misoginia, Ovidio per aver leso la dignità femminile, Dante e Ariosto per islamofobia e antigiudaismo, Edgar Allan Poe per razzismo, Oscar Wilde perché misogino, Pirandello e Ungaretti perché fascisti. L’ideologia della “correttezza politica” sembra poi aver sviluppato un odio particolare per William Shakespeare accusato di sessismo, razzismo, antigiudaismo, colonialismo. Persino Il Globe Theatre e la Royal Shakespeare Company si sono uniti alla canea contro il Bardo organizzando seminari critici sui suoi “crimini ideologici”. La celebre poesia If di Rudyard Kipling (il cantore del “fardello dell’Uomo Bianco”), che ha lasciato il suo imprinting sul carattere di milioni di giovani britannici, è stata cancellata da un muro dell’Università di Manchester e sostituita con quella di una sconosciutissima “poetessa” militante femminista e anticolonialista africana. In un’università di Londra, collettivi studenteschi hanno chiesto che lo studio di filosofi come Platone, Cartesio e Kant venga sostituito con quello di “filosofi” africani o asiatici.
Il Dipartimento di Inglese dell’università di Yale ha ceduto alle imposizioni degli studenti di sinistra e antirazzisti e ha reso facoltativi lo studio di classici come Shakespeare, Chaucer o Milton. Così gli studenti potranno ora laurearsi in letteratura inglese senza aver mai letto questi giganti della letteratura anglosassone. In alternativa, possono però studiare autori extra-europei come il notissimo keniota Ngũgĩ wa Thiong’o.
La cancel culture colpisce anche la Bellezza. La direzione del Manchester Art Gallery ha deciso di ritirare un quadro di scuola preraffaellita, di John W. Waterhouse, che rappresenta un episodio mitologico, Ila e le Ninfe, queste ultime ritratte a seno scoperto. Ecco motivo ufficiale, in nome del femminismo: il ritratto “rappresenta giovani donne nude, presumibilmente minorenni, che attirano un ragazzo”. L’ipocrisia della curatrice del museo, Clare Ganneway, è giunta al punto di negare che si sia trattato di una censura.
Poi, in altri paesi, si registrano sconcertanti episodi di cancel culture per via giudiziaria. In Finlandia, una parlamentare e un prelato luterano sono sotto processo per aver citato brani dell’Antico Testamento e del Vangelo (in particolare San Paolo) di fermissima condanna della sodomia, “peccato contro natura”. Rischiano due anni di carcere e una forte sanzione finanziaria. In molti paesi, siamo ormai alla politically correctness imposta per legge e contro ogni diritto di libertà di parola e di culto.
E in Italia? Nessuno deve illudersi: la cancel culture sta insinuandosi anche da noi. In nome dell’antifascismo, dell’antirazzismo, del femminismo, del genderismo, dell’ideologia omosessualista, si manifesta in modi e situazioni diversi, ma sempre fondando la propria azione sulla negazione della realtà, sulle imposizioni che comprendono insulti e censure per i dissenzienti, su una violenza talvolta ideologica, altre volte anche fisica. Gli esempi sono innumerevoli.
Da anni è stata istituita, con legge dello Stato, la Giornata del Ricordo, il 10 febbraio, con l’intento di ricordare e commemorare le decine di migliaia di italiani infoibati o comunque assassinati dai partigiani slavo-comunisti e le centinaia di migliaia di connazionali costretti, per avere salva la vita e la libertà, a fuggire dalla Venezia Giulia, dall’Istria, dalla Dalmazia e dalle altre terre adriatiche da secoli italiane. In centinaia di città e di paesi italiani sono state elevati monumenti e steli, vi sono state intitolazioni di vie o giardini a queste vittime, tra le quali anche una giovane studentessa, Norma Cossetto, violentata e martirizzata dai partigiani titini con sevizie di una crudeltà inenarrabile. Questi monumenti vengono sistematicamente vandalizzati, picconati, spesso distrutti dai “guardiani della memoria” antifascisti. E’ successo a Rapallo, a Marghera, a Lanciano. Anche la stele alla foiba di Basovizza è stata sfregiata. Persino una targa a Genova in memoria di Norma Cossetto.
Un altro esempio. A Pallanza, luogo di nascita del generale Luigi Cadorna e dove è stato recentemente restaurato, sul lungolago, il suo imponente mausoleo in stile decò, il consiglio d’istituto, appoggiato dalla giunta comunale di sinistra di Verbania, di cui Pallanza fa parte, ha deciso di cambiare l’intitolazione della scuola media, da Luigi Cadorna a Gino Strada. Ora, che Cadorna sia stato un comandante in capo assai discutibile per conduzione strategica della guerra, errori tattici, scarsa empatia nei confronti dei soldati è fuor di ogni dubbio. Tra gli altri, lo ha efficacemente testimoniato Gilberto Oneto, nel suo bel libro Il “Guerrone”, edito da Il Cerchio. Ma Cadorna è pur sempre stato un protagonista della storia, un militare tutto d’un pezzo, dal cattivo carattere come molte persone di carattere. E Pallanza è il suo luogo di nascita. A nulla sono valse le proteste di buona parte della popolazione, di associazioni e dei partiti d’opposizione. Tra l’altro la figura di Gino Strada, fondatore e padre-padrone di Emergency, è ben più divisiva. Schierato con l’estrema sinistra marxista e terzomondista e da questa osannato come suo guru, aduso a violentissime polemiche politiche contro quelli che considerava suoi nemici ideologici, impegnato nell’immigrazionismo militante, Gino Strada è un una figura discutibilissima e di parte, l’ultima a cui intitolare una scuola.
Un altro caso di cancel culture “istituzionale” è la decisione del Miur – il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca – di utilizzare, in alcuni documenti ufficiali lo “schwa”, cioè questo segno: “ǝ” che, nella costruzione ideologica femminista e genderista, dovrebbe significare, posto a fine parola, la neutralità della parola stessa e anche il rifiuto del sistema “binario”, come lo chiamano loro, maschile/femminile in nome dell’inclusività di “altri generi”. Ecco un esempio: “professorǝ”. Per fortuna un simile obbrobrio, ideologico e linguistico, ha sollevato l’indignazione di uno dei più noti linguisti italiani, Massimo Arcangeli, che ha lanciato una petizione perché il Miur receda, per il futuro, da simili follie, raccogliendo l’adesione di più di 15.000 firme, persino quelle di intellettuali e cattedratici di sinistra. Ovviamente il violento mondo degli amici dello “schwa” non ha gradito, e il professor Arcangeli ha ricevuto molte minacce di morte.
Tutto ciò è il tentativo orwelliano di distruggere la nostra memoria, la nostra cultura, la nostra civiltà. Giustamente ci mette in guardia il giornalista e saggista Giulio Meotti: “I multiculturalisti nell’accademia e nelle altre istituzioni culturali – musei, fondazioni, intrattenimento, giornalismo – denunciano l’Occidente come razzista, imperialista ed etnocentrico. Postulano un’infinita idealizzazione dell’altro, il clandestino, il rifugiato, la donna, l’omosessuale, il malato di mente, il bambino, l’animale”.
Antonio de Felip