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CONFUNDE ET IMPERA – UNA LAMA A DOPPIO TAGLIO. Di Andrea Giumetti

Devo proprio ammetterlo: mi sono sbagliato. Magra consolazione il fatto di non essere stato l’unico, poiché praticamente ogni analista geopolitico in Italia e esperto di strategia con un minimo di credibilità e indipendenza condivideva il concetto fondamentale della mia precedente analisi: la vicenda ucraina era un’occasione per Putin per aprire una trattativa da un punto di forza, e lo scoppio di una guerra di invasione non era un’alternativa credibile. E invece la guerra e l’invasione ci sono state: l’establishment degli apparati del Cremlino, generalmente di altissimo livello e in possesso di un notevole sangue freddo, si sono fatti travolgere dagli eventi, probabilmente (per i prossimi mesi qualsiasi affermazione inerentemente al conflitto merita l’utilizzo del condizionale) su pressione dello stesso Putin, che ha fatto pesare la sua autorità con l’argomentazione, effettivamente supportata dall’evidenza dei fatti, che in ogni caso l’occidente avrebbe cucito addosso ai russi la camicia “del cattivo” indipendentemente da quale fosse stato il risultato in Ucraina. E dunque si è aperta la guerra, vestendo le operazioni con l’abito di una crociata contro gli esponenti del Pravijsektor (la formazione di ultradestra neo-nazista del governo di Kiev): con una velocità a tratti disorientante, probabilmente aiutata da una serie di attacchi informatici volti a distruggere la catena di comando di Kiev, le forze militari della Russia hanno penetrato il territorio sotto il controllo della Rada da più direzioni e molto in profondità, unendo azioni dimostrative all’eliminazione di bersagli militari e strategici, con un bilancio di vittime che, per ora, sembra piuttosto contenuto sia tra il personale militare (di ambo gli schieramenti) che tra i civili. Si è trattato di una prova di forza impressionante, paragonabile e addirittura superiore a quella mostrata dagli israeliani nella Guerra dei sei giorni: sembra piuttosto evidente infatti che i russi abbiano instaurato il dominio dell’aria nelle prime 10-12 ore di conflitto, e salvo che le forze della Rada non riescano a riprendere, o rendere inservibile l’aeroporto militare Antonov (a 25 k.m da Kiev), l’eventualità che l’intera guerra si chiuda ufficialmente in 24-36 ore di operazione è piuttosto plausibile. Resta comunque vero che anche se Kiev cadesse, i russi si troverebbero poi a dover amministrare un paese pieno zeppo di armi, con una popolazione generalmente ostile, e senza reali leader politici autoctoni da poter presentare quali governatori, per cui c’è grande incertezza su quale sarà l’effettivo futuro dell’Ucraina. Per altro, il riconoscimento delle repubbliche separatiste a maggioranza russa ha stimolato le altre regioni con maggioranze etniche non-ucraine, che erano comunque discriminate dalla linea politica suprematista intrapresa dal governo di Kiev, a invocare un cambio di regime, o come nel caso della comunità ungherese, la secessione.

 Ma perché voler dare una prova di forza così drastica?

Una domanda che molti studiosi di strategia si stanno ponendo in queste ore, e la cui risposta appare elusiva. Bisogna fare una premessa: gli analisti del Pentagono e della Nato sono perfettamente consci di non essere in grado di portare avanti una guerra convenzionale con la Russia. Questo non per particolari qualità umane o particolari gradi di efficienza, ma piuttosto per il fatto che le forze armate dell’Alleanza atlantica sono state costruite con l’idea di dover affrontare prevalentemente guerre asimmetriche, ovvero per contrastare la guerriglia, le armi leggere e con una nettissima prevalenza del potere dell’aria (che consente di bombardare a terra in sicurezza) rispetto alla capacità di scontro su terra che viene impostata con l’idea di combattere contro truppe meno addestrate e con un livello tecnologico inferiore. Le forze militari di Mosca, invece, hanno ancora un assetto “sovietico” improntato verso la guerra simmetrica: in sostanza l’esatto opposto dell’assetto con cui sono equipaggiate le forze NATO, e chiaramente hanno una tecnologia militare (essendo l’export di armi un assetto importante del paese) che in alcuni campi è paragonabile all’occidente, e in altri è nettamente superiore. Questa lunga premessa semi-tecnica, serviva a chiarire un semplice fatto: la NATO ha bisogno di giocare sul piano della strategia, facendo confluire diversi fattori a sostegno della sua potenza militare, e bisogna ammettere che in alcuni scacchieri, come quello del “contenimento” marittimo della Cina, lo fa con eccellenti risultati. La prova di forza sembrerebbe quindi superflua se il destinatario del messaggio fossero stati gli USA, e allo stesso modo sembra inutile se diretta verso la UE, che ha già sentimenti nei confronti della Russia e del mondo slavo che oscillano tra la paura e il suprematismo west-centrico. La mia ipotesi, è invece che la prova di forza fosse diretta verso un’altra zona geografica, specificamente il Caucaso del sud e il Medioriente. Lo scacchiere che va dalla Turchia all’Iran, passando per Siria, Israele, Armenia e Azerbaijan è infatti in costante surriscaldamento, presenta tutte le caratteristiche giuste per una guerra per procura, e rappresenta il luogo di incontro tra gli interessi egemonici di potenze locali e i flussi commerciali e di influenze di Grandi potenze (non solo ci passano quelli che ormai saranno i principali gasdotti verso l’Europa, ma è un collo di bottiglia in cui transitano le rotte terrestri del progetto cinese delle Nuove vie della seta. Schiacciare rapidamente la capacità di reazione di Kiev (ripeto che si tratta di una mia opinione) e consolidare le posizioni nel Mar nero, sarebbe quindi leggibile come un segnale chiaro e forte nei confronti di Ankara e Tel aviv, con l’intento di far cessare le provocazioni che ad esempio avvengono sul confine armeno, e contemporaneamente un avvertimento verso gli altri stati in prossimità della Federazione Russa rispetto al fatto che l’occidente, fatti alla mano, non interverrà per difenderli. Detto ciò, è ancora presto per avere risposte chiare.

Ne sarà valsa la pena?

Probabilmente no. Pur ammettendo la giustezza in linea di principio dell’argomentazione di Putin rispetto all’inevitabilità delle sanzioni (lo ammetto, mentre lo dico non posso fare a meno di pensare “all’inevitabilità della guerra futura” di Stalin…) bisogna però considerare che l’aggressione a tutto campo dell’Ucraina avrà sicuramente delle reazioni, non tanto dal mondo anglosassone, quanto da parte dei governi europei, molto più forti e drastiche rispetto a quanto sarebbe potuto avvenire in precedenza. Non solo, se prima il piano green economy e le fonti alternative sarebbero state in qualche misura uno specchietto per le allodole, adesso avere una via di rifornimento alternativa rispetto a Mosca diviene un problema strategico e di sicurezza: in parole povere il ponte eurasiatico verso il multipolarismo diventerà più sottile. Oltretutto, a dispetto degli entusiasmi che si sono sollevati sia tra molti conoscitori e apprezzatori del mondo russo, di fatto l’immagine pubblica della federazione russa e di Vladimir Putin esce completamente a pezzi e su più livelli: basti pensare al potere mediatico esercitato da influencer normalmente avulsi dalla politica, che però adesso, nella loro ingenuità, fondono la giusta e comprensibile condanna alla guerra con la difesa dell’Ucraina. Sembra poco, ma il consenso alle decisioni di governo e la possibilità di compattare l’opinione pubblica verso l’accettare decisioni inaccettabili, passa anche attraverso questo. Ma non di solo Occidente vive l’uomo: anche sul territorio della Federazione russa ci sono state diffuse manifestazioni contrarie al colpo di testa di Putin (pare, ma è piuttosto plausibile, represse con un’ondata di arresti), a conferma del fatto che i russi sono storicamente un popolo diviso tra ambizioni imperiali ed una natura intrinsecamente pacifica.  Di fatto, non si può non sottolineare come la scelta dell’offensiva abbia inevitabilmente spostato l’ago della bilancia morale della Federazione russa verso il torto, tanto più che le ripercussioni economiche delle sanzioni evidenzieranno quella che ad oggi è stata la più grande mancanza del governo di Putin, ovvero la creazione di un’economia domestica strutturata, dinamica e armonica.

In definitiva, possiamo dire che solo una cosa appare chiara: c’è grande incertezza e confusione sotto al cielo, ma un importante cambiamento degli equilibri geopolitici mondiali è ormai incombente. Dobbiamo solo sperare che non accada l’impensabile.

Andrea Giumetti.

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