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CONFLITTO UCRAINO: È GUERRA ALL’EUROPA. Di Valerio Savioli

Ucraina tra passato e presente. Una breve – e non esaustiva – panoramica

L’Ucraina, che significa “terra di confine” o “confine” in base alla terminologia russa, sebbene sia stata più volte nella sua storia oggetto di importanti contese, è parte integrante della storia russa: è la culla della civiltà russa – gli stessi ucraini sono detti anche piccoli russi­.

Intorno all’anno 1000 nasce la Rus di Kiev germe originario della Russia stessa anche a livello religioso perché proprio qui che si collocano i fondamenti cristiano ortodossi. Nel corso dei secoli l’attuale Ucraina sarà terra di frontiera e di contesa tra Tatari e Impero Ottomano ma anche da parte del Regno di Polonia e poi dell’Impero Zarista.

L’identità russa si forgia attraverso il patriarcato ortodosso di Mosca che ne è diretto erede.

Dopo il crollo dei principati russi di Kiev e Novgorod sotto i tatari, i territori ucraini odierni vivranno per qualche secolo sotto la Confederazione Polacco-Lituana sino alla guerra russo-polacca del 1654-1667 (trattato di Andrusovo): i russi strappano le terre ucraine sino al fiume Dnepr: sono terre da sempre etnicamente russe, e sempre lo sono state. Da quella data vivranno sotto Mosca sino alla caduta dell’Urss.

Rimane fuori una parte, quella occidentale, la Rutenia che entrò a far parte dell’Impero Asburgico ed è quell’Ucraina cosiddetta “occidentale”, dove si coltiveranno anche importanti sentimenti nazionalistici, che oggi vive in profonda antitesi con quella orientale. Gravissime guerre civili saranno protagoniste durante la Grande Guerra, a seguito della Rivoluzione Bolscevica, che porteranno alla nascita di diversi staterelli. Seguirà la tragedia della carestia dell’Holomodor del 1932 che provocherà milioni di morti. La vittoria dell’Armata Rossa nel secondo conflitto mondiale porterà a un’importante espansione territoriale da parte dell’Unione Sovietica che inaugurerà poi, a sua volta, la stagione della Guerra Fredda.

Solo dal 1991 l’Ucraina appare sullo scenario internazionale come Stato indipendente di cui Leonid Kravchuk fu il primo presidente, dopo la caduta del Muro di Berlino e il crollo dell’Urss. L’Ucraina è un paese diviso, per semplificare, tra un Ovest cattolico-uniate e tendenzialmente russofobo e un Est cristiano-ortodosso e russofono.

Trame occidentali

Il cosiddetto Occidente, rappresentato da Nato e UE, ha sempre sostenuto la parte nazionalista (sebbene terzaforzista nei fatti collaborativi con l’Occidente nei confronti della Russia), esacerbando le tensioni interne al paese, con l’obiettivo – vediamo oggi nefasto – di spingere l’allargamento della Nato (o perlomeno della sua influenza) più possibile verso est.

Nel 2004, l’UE allargò la sua sfera a dieci nazioni: Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria (già membri del Patto di Varsavia) e le tre repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania, negli stessi anni sia la Romania, che la Bulgaria entrarono nella Nato. Nel 2008, durante il vertice Nato tenutosi a Bucarest, al quale sarebbe seguito il conflitto russo-georgiano, si palesarono le pressioni americane per l’ingresso nella Nato dell’Ucraina e, appunto, della Georgia[1]. Fu poi il turno del Kosovo, che dichiarò la sua indipendenza dalla Serbia. Questo fu un duro colpo per la Russia che si è sempre considerata una storica protettrice dell’integrità serba.

Ed è proprio quando si parla di Kosovo (Febbraio 2008) e di Georgia (Seconda Guerra dell’Ossezia del Sud – Agosto 2008) che non possiamo non notare le evidenti analogie con quello che sta accadendo in queste ore in Ucraina, tenendo ben presente i concetti di autodeterminazione dei popoli e di diritto internazionale (utilizzati in maniera strumentale dell’Occidente, scegliendo cinicamente caso per caso) e della tutela degli interessi nazionali: in entrambi i casi Washington ha lavorato sottotraccia per dividere e indebolire l’Europa e, di conseguenza, contrapporla alla Russia.

Sul caso specifico georgiano, un recentissimo articolo del professor Cardini risulta illuminante quando sostiene: “Ma che c’entra ora la Georgia?, diranno i miei venticinque lettori. C’entra: e per capirlo tornate con la mente, o italiani dalla corta memoria, al Putsch organizzato nel 2008 dagli occidentali per fare in modo che quel paese caucasico mollasse la Russia e passasse armi e bagagli – “libera volontà popolare”, senza dubbio: come quella ucraina d’oggi… – alla compagine NATO, il che avvicinò di parecchie migliaia di chilometri i missili a testata nucleare dall’obiettivo moscovita. […] Ma non vi sembra che la manovra che allora condusse la Georgia all’interno della NATO somigli dannatamente a quella che più tardi ha fatto sì che l’Ucraina di oggi sembri ardentemente desiderosa di entrarvi (ma quanto c’entra, in tutto ciò, l’autentica libera volontà dei popoli georgiano e ucraino, e quanto quella di eterodiretti gruppi golpisti?), e che la questione Georgia-Ossezia meridionale-Abkhazia somigli dannatamente a quella Ucraina-Donbass, e che in entrambi i casi la Russia altro non abbia fatto e non faccia se non tutelare i suoi confini da una minaccia pilotata da Oltreoceano? [2]

Nel 2009, sotto la presidenza del premio Nobel Obama, Albania e Croazia entrarono nella Nato e ripresero i negoziati per integrare Georgia, Montenegro, Kosovo, Moldavia, Ucraina nell’Alleanza Atlantica.

Questa espansione, di fatto militare, prevedeva l’installazione di impianti missilistici (e non solo) di difesa e attacco, sempre più prossimi al territorio russo, costruendo, anno dopo anno, un vero e proprio cordone di sicurezza militare teso ad accerchiare la Russia.

Le radici del contendere

In Ucraina l’elezione di Viktor Yanukovich[3] nel 2010, il quale vinse con un piccolo scarto e che dimostrava plasticamente la forte divisione interna al paese, fu un premier che tentò di promuovere forme di integrazione economica e commerciale tra il sistema ucraino e quello russo e altri paesi del CSI.

Nel 2012 l’Ucraina firmò con l’UE un accordo (Deep and Comprehensive Free Trade Agreement[4]) che prevedeva l’adesione di Kiev a un trattato di libero commercio con i Paesi europei e che instradava di fatto il paese verso la sfera di influenza occidentale e con tutte le conseguenze, anche geopolitiche, come il possibile ingresso nella Nato, ed economiche come l’integrazione sempre più invasiva di un sistema liberista[5].

L’Ucraina era stato fino al 2013 un paese che aveva vissuto il compromesso tra oligarchi e proletari, barcamenandosi tra la Russia e l’Ue.

Il giorno stesso in cui il governo ucraino decise di non aderire al DCFTA la “folla, sobillata da Radio Free Europe, scende in piazza a Kiev per protestare[6]”.

Le proteste di piazza Maidan proseguirono ingrandendosi a dismisura[7], fino a degenerare dopo la dichiarazione di Yanukovich di accettazione di un lauto prestito offerto dalla Russia all’economia ucraina.

Il 21 febbraio del 2014, un giorno dopo la strage di Via dell’Istituto ad opera di alcuni cecchini[8] appostati sui tetti dell’Hotel Ucraina e del Conservatorio di Kiev, un patto tra governo e opposizione portava alle elezioni anticipate entro l’anno, tuttavia, la tensione crebbe però a tal punto che lo stesso Yanukovich fu costretto alla fuga.

In merito alle sommosse di piazza si è poi parlato delle forti influenze occidentali, capaci di veicolare enormi flussi di denaro (“gli Stati Uniti hanno investito cinque miliardi di dollari per dare all’Ucraina il futuro che merita”) a sostegno delle rivolte di piazza[9].

Il primo provvedimento del governo ad interim appena insediato fu quello relativo alla soppressione della lingua russa in tutto il paese.

In quelle ore concitate e legate all’insediamento di quello che fu definito da G. Mettan: “il frutto di un putsch [a Kiev di matrice occidentale nda] e di un tradimento[10]”, la Crimea[11] (russa già dalla fine del XVII secolo) lasciò l’Ucraina per tornare alla Russia. In seguito all’intervento diretto delle forze armate russe venne tenuto un referendum sull’autodeterminazione della penisola dove vinse il “sì” al 95%, formalizzando ufficialmente l’adesione alla Russia.

L’intervento russo in Crimea comportò l’applicazione, da parte dell’Occidente, di sanzioni economiche.

Il 2 maggio 2014 fu il giorno della strage di Odessa e fu una di quelle date che sarebbero rimaste nella memoria dei russi e del presidente Putin, il quale la ricordò giusto un paio di giorni fa in un suo discorso pubblico: quel giorno alcuni manifestanti filorussi sostenitori dell’indipendenza del Donbass, trovarono rifugio presso la Casa dei Sindacati, alla quale fu appiccato un incendio dai nazionalisti[12] ucraini e fu impedito ai manifestanti di uscire. 48 persone trovarono la morte.

Conseguenze: la crisi del Donbass

In Ucraina orientale, dove è predominante la componente russofona (nello specifico presso le regioni di Donec’k, Luhans’k e Charkiv, territori ricchi di carbone e grandi acciaierie e roccaforti ortodosse strettamente legate al patriarcato moscovita), scoppiarono disordini e rivolte che portarono a un vero e proprio conflitto, da alcuni analisti definito “a bassa intensità”. Anche in quest’occasione fu indetto un referendum[13] che portò all’indipendenza delle regioni in rivolta.

Il Protocollo di Minsk (5 settembre 2014) e Minsk II (11 febbraio 2015) segnano un passo fondamentale verso una maggiore e ampia autonomia delle cosiddette zone separatiste, oltre che una distensione, sebbene non rispettata mai del tutto, del conflitto che si stima abbia causato, in questi anni, circa venticinquemila morti tra civili e militari russi, ai quali va aggiunto più di un milione e mezzo di civili sfollati e cinquemila soldati ucraini caduti.

Brevi considerazioni geopolitiche

Sotto l’aspetto geopolitico, tenendo sempre presente che è la forza (e la volontà di potenza) il vero e unico regolatore delle relazioni internazionali, se all’inizio della presidenza Biden ci si poteva aspettare un ritorno a quell’idealismo di stampo “wilsoniano” che vede gli USA a tornare poliziotto del mondo, vessillo intriso di umanitarismo a senso unico (a proposito vogliamo parlare del ruolo dell’Onu?), nello specifico della crisi Nato/Ucraina si assiste piuttosto all’applicazione statunitense della strategia già messa in atto dal consigliere per la sicurezza nazionale Usa per quattro anni, teorico della politica internazionale e diplomatico Zbiniew Brezinski, la dottrina Brezinski: geopolitica dell’isolamento della Russia, pensata in seguito all’invasione russa dell’Afghanistan nel 1979, senza dimenticare che separare la Russia da qualsiasi intesa con l’Europa è una vecchia ossessione dei maggiori think tank americani, convinti che un’eventuale intesa continentale possa minacciare definitivamente l’egemonia americana.

In quest’ottica non possono essere menzionati il tasto dolente della dipendenza energetica da parte dell’Europa: secondo Avvenire “L’Ue avrebbe riserve fino ad aprile (o al massimo all’estate). Nel 2020 il 43,3% del gas naturale importato dall’Italia proveniva dalla Russia. Si punta ad aumentare le forniture da Algeria e Qatar”[14]. La geopolitica dell’energia nel Vecchio Continente passa infatti dai gasdotti, dalla loro realizzazione e dal loro utilizzo. E’ notizia recente che la Germania, principale partner della Russia, non attiverà il Nord Stream 2, gasdotto ormai ultimato. Olaf Scholz parla di “seria violazione” del diritto internazionale da parte di Mosca e annuncia che a queste condizioni “la certificazione del gasdotto North Stream 2 non può andare avanti[15].”

Infine, ulteriori minacce di espellere la Russia dal circuito di pagamento elettronico SWIFT, sono state fatte palesare, dai principali esponenti Nato, in un’ottica di una partita a scacchi che vede nell’approccio economico ma anche nella cosiddetta cyberwar la prosecuzione del conflitto con diversi strumenti.

L’Ucraina sempre più verso l’UE/Nato

Dopo il governo ad interim di Oleksandr Turcynov, durato qualche mese, sarà Petro Poroshenko a trionfare alle elezioni di giugno 2014. A pochi giorni dal suo insediamento egli firmò l’accordo di associazione tra UE e Ucraina definendolo “un giorno storico”, ribadendo inoltre l’intenzione di Kiev di entrare nella NATO: nello specifico la Nato, nata nel 1949 con l’intento di costituire un’alleanza atlantica che rappresentasse e difendesse il cosiddetto “mondo libero” contro la minaccia socialista, ha sempre rappresentato, nel concreto la presenza statunitense in Europa, defraudando del tutto il vecchio continente di una politica estera autonoma.

È proprio di questi giorni lo scoop del quotidiano Der Spiegel in merito alle promesse mai mantenute di non allargarsi verso est, come riporta il quotidiano Italia Oggi[16]:

tra i documenti citati, spicca per importanza quello scovato nei British National Archives di Londra dal politolo americano Joshua Shifrinson, che ha collaborato all’inchiesta del settimanale tedesco e se ne dichiara «onorato» in un tweet. Si tratta di un verbale desecretato nel 2017, in cui si dà conto in modo dettagliato dei colloqui avvenuti tra il 1990 e il 1991 tra i direttori politici dei ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania sull’unificazione delle due Germanie, dopo il crollo di quella dell’Est. Il colloquio decisivo, riporta Der Spiegel, si è svolto il 6 marzo 1991 ed era centrato sui temi della sicurezza nell’Europa centrale e orientale, oltre che sui rapporti con la Russia, guidata allora da Michail Gorbaciov. Di fronte alla richiesta di alcuni paesi dell’Est Europa di entrare nella Nato, Polonia in testa, i rappresentanti dei quattro paesi occidentali (Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania Ovest), impegnati con Russia e Germania Est nei colloqui del gruppo «4+2», concordarono nel definire «inaccettabili» tali richieste. Il diplomatico tedesco occidentale Juergen Hrobog, stando alla minuta della riunione, disse: «Abbiamo chiarito durante il negoziato 2+4 che non intendiamo fare avanzare l’Alleanza atlantica oltre l’Oder. Pertanto, non possiamo concedere alla Polonia o ad altre nazioni dell’Europa centrale e orientale di aderirvi». Tale posizione, precisò, era stata concordata con il cancelliere tedesco Helmuth Khol e con il ministro degli Esteri, Hans-Dietrich Genscher.

Nella stessa riunione, rivela Der Spiegel, il rappresentante degli Stati Uniti, Raymond Seitz, dichiarò: «Abbiamo promesso ufficialmente all’Unione sovietica nei colloqui 2+4, così come in altri contatti bilaterali tra Washington e Mosca, che non intendiamo sfruttare sul piano strategico il ritiro delle truppe sovietiche dall’Europa centro-orientale e che la Nato non dovrà espandersi al di là dei confini della nuova Germania né formalmente né informalmente».

Gorbaciov, ultimo leader dell’Unione sovietica, disse che Helmuth Khol gli aveva assicurato che la Nato «non si muoverà di un centimetro più ad est». Identica promessa, aggiunse in un’altra occasione, gli era stata fatta dall’ex segretario di Stato Usa, James Baker[…].

Gorbaciov, nell’intervista concessa il 7 maggio 2008 al The Daily Telegraph, dichiarò che “gli Americani ci promisero che la NATO non sarebbe mai andata oltre i confini della Germania dopo la sua riunificazione, ma adesso che metà dell’Europa centrale e orientale ne sono membri, mi domando cos’è stato delle garanzie che ci erano stare accordate? La loro slealtà è un fattore molto pericoloso per un futuro di pace perché ha dimostrato al popolo russo che di loro non ci si può fidare”.

Crisi attuale

Arriviamo così ad oggi e al presidente in carica Zelensky, il politico e comico di professione e di dichiarata fede europeista (UE) fu eletto nell’aprile del 2019.

Nel corso dell’attuale crisi ucraina, il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin ha ripetuto più volte, a giusto titolo, “che Mosca era stata imbrogliata, e palesemente ingannata” dagli Stati occidentali, i quali avevano assicurato che l’Alleanza del Nord Atlantico non si sarebbe allargata “neppure di un centimetro a est”. A queste affermazioni, il Segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha replicato seccamente, affermando che “nessuno, mai, in nessuna data e in nessun luogo, aveva fatto tali promesse all’Unione Sovietica”, dichiarazioni poi rivelatesi infondate, come comprovato poco sopra.

A grandi linee quanto proposto dalla Russia per evitare un’escalation è una “finlandizzazione” dell’Ucraina e nello specifico:

▪️ escludere l’ulteriore espansione della NATO e l’adesione dell’Ucraina all’alleanza

▪️ non dispiegare unità militari e armi al di fuori dei paesi in cui si trovavano nel maggio 1997 – tranne in casi eccezionali con il consenso della Russia e dei membri della NATO

▪️ abbandonare qualsiasi attività militare della NATO in Ucraina, Europa Orientale, Transcaucasia, Asia centrale

▪️ non schierare missili a medio e corto raggio dove possono colpire il territorio dell’altra parte

▪️ non condurre esercitazioni e altre azioni con più di una brigata nella zona di confine concordata, scambiare regolarmente informazioni sulle esercitazioni militari

▪️ confermare che le parti non si considerano nemici, consolidare l’accordo per risolvere pacificamente tutte le controversie e astenersi dall’uso della forza

▪️ impegnarsi a non creare condizioni che potrebbero essere percepite come una minaccia dall’altra parte

▪️ creare una hotline per i contatti di emergenza

A seguito di queste richieste si sono susseguite trattative e incontri diplomatici che hanno avuto come unico risultato quello di evidenziare, ancora una volta, la condizione dell’Unione Europea come gigante economico e nano geopolitico. Il nodo delle trattative e degli incontri si è svolto esclusivamente tra la Nato (Usa) e la Russia, dove la prima, per voce di J. Stoltenberg è rimasta ferma nelle sue posizioni: “se la Russia vorrà meno Nato, avrà più Nato.”

La Duma – il parlamento russo – ha chiesto, pochi giorni fa, l’annessione del Donbass nella Federazione Russa.

In merito troviamo opportuno riportare nuovamente le parole comparse sul portale di geopolitica Domus Europa, di Franco Cardini: “Non c’è dubbio che il passaggio dell’Ucraina alla NATO modificherebbe di parecchio i rapporti di forza nella zona; che costituirebbe un rischio per la Russia; da qui le istanze russe di “finlandizzazione” dell’Ucraina, per compensare in qualche modo il vulnus generato dall’ormai consumato e a quel che pare irreversibile strappo tra Mosca e Kiev.[17]

Europa dove sei?

Il risultato finale è lo sgretolamento dell’Europa, stritolata dalla tenaglia americana[18] e russa e il tramonto delle sue velleità e della sua volontà di potenza e di esistenza, ormai definitivamente calate nella parte e nel ruolo di ricca e stanca periferia dell’Impero.

Lo spirito di Yalta vive e per l’Europa è una pessima notizia.

[1] Sulle analogie tra crisi georgiana e crisi ucraina si è recentemente espresso lo storico Franco Cardini: Ma non vi sembra che la manovra che allora condusse la Georgia all’interno della NATO somigli dannatamente a quella che più tardi ha fatto sì che l’Ucraina di oggi sembri ardentemente desiderosa di entrarvi (ma quanto c’entra, in tutto ciò, l’autentica libera volontà dei popoli georgiano e ucraino, e quanto quella di eterodiretti gruppi golpisti?), e che la questione Georgia-Ossezia meridionale-Abkhazia somigli dannatamente a quella Ucraina-Donbass, e che in entrambi i casi la Russia altro non abbia fatto e non faccia se non tutelare i suoi confini da una minaccia pilotata da Oltreoceano?

[2] https://www.francocardini.it/minima-cardiniana-366-1/

[3] Yanukovich verrà poi, per una seconda volta dopo il 2004 (Rivoluzione Arancione), rovesciato definitivamente nel 2014 (Euromaidan), con pesanti influenze occidentali.

[4] Secondo lo storico Paolo Borgognone, il DCFTA serviva dunque come cavallo di Troia per introdurre, tramite l’adesione di Kiev alla zona di libero commercio con la UE, la Nato in Ucraina” cfr. P. Borgognone Goodbye Globalism, il Cerchio 2021

[5] Le condizioni per accedere al DCFTA erano particolarmente severe sotto il piano economico e sociale, prevedendo un prestito del FMI cui avrebbero fatto seguito grandi tagli di bilancio e un aumento del 40% delle bollette del gas.

[6] F. Bovo, M. Greco, A. Lattanzio, Battaglia per il Donbass, Anteo Edizioni, Cavriago, 2014

[7] Il golpe di piazza Maidan costò la vita a 23 agenti ucraini di pubblica sicurezza, uccisi dai rivoltosi, il ferimento di 932 poliziotti.

[8] I cecchini si rivelarono poi “contractors georgiani […] che in quell’occasione furono assoldati da un membro del governo americano […] con lo scopo di produrre il più alto numero di vittime possibili”. Cfr Y. Colombo, Kiev 2014: chi sparò a Maidan?. Il Manifesto, 15 febbraio 2018. Questi contractors furono pagati per i loro servizi: “due pagamenti: il primo di 10 mila dollari e il secondo di 50 mila. Per ogni parlamentare dell’opposizione ucciso avrebbero ricevuto altri 1.000 dollari supplementari”. Cfr. G. Micalessin, La versione dei cecchini sulla strage di Kiev […]. Il Giornale 15 novembre 2017

[9] https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/10/ucraina-come-si-fa-un-golpe-moderno/907785/

[10] G. Mettan, Russofobia. Mille anni di diffidenza. Introduzione di F. Cardini, Sandro Teti Editore, Roma, 2016.

[11] 68 anni fa, Krusciov fece passare la Crimea dalla Russia all’Ucraina. Nel 1921 fu costituita la repubblica autonoma di Crimea, che divenne parte della Repubblica sovietica russa e non della Repubblica sovietica ucraina. Nell’estate del 1945, la repubblica autonoma di Crimea fu trasformata nella regione della Crimea come parte della RSFSR. Il 19 febbraio 1954 il Presidium del Soviet Supremo dell’URSS trasferì la regione della Crimea dalla RSFSR alla RSS ucraina, motivando questa decisione con “questioni economiche” e “prossimità territoriale”. Nel gennaio 1991 si tenne un referendum in cui il 93% degli abitanti della Crimea votò per la restaurazione della repubblica autonoma di Crimea, cioè per la secessione dalla SSR ucraina. Nell’agosto del 1991, nonostante i risultati del referendum, il Consiglio Supremo della SSR ucraina dichiarò l’indipendenza dell’Ucraina, e la Crimea con lo status di repubblica autonoma rimase parte dell’Ucraina indipendente.

[12] Citando un estratto di P. Borgognone nell’analisi dei disordini di Euromaidan e successivi: “I ribelli si fanno forti del supporto delle ONG, degli USA, della UE e di altri Paesi, rappresentanti sul campo, tra gli altri, da Bernard Henry Levy e da John McCain. Guidati dai neonazisti di Svoboda e Pravy Sektor i rivoltosi cominciarono a uccidere i poliziotti” Goodbye Globalism. Il Cerchio, Rimini 2021.

[13] Referendum che non fu riconosciuto dall’Ucraina

[14] https://www.avvenire.it/economia/pagine/che-succede-se-la-russia-chiude-i-rubinetti-del-gas-all-europa-e-all-italia

[15]https://www.huffingtonpost.it/esteri/2022/02/22/news/ue_verso_sanzioni_mirate_alla_russia_scholz_stop_al_nord_stream_2_-8810600/

[16] https://www.italiaoggi.it/news/lo-scoop-di-der-spiegel-sull-impegno-nato-di-non-espandersi-a-est-si-basa-su-un-verbale-desecretato-che-2552642

[17] https://www.francocardini.it/minima-cardiniana-366-1/#more-3550

[18] “Queste sono le forme attraverso le quali il ciclo si chiude, il crollo si completa. Russia ed America sono due indici e due facce convergenti di una stessa cosa. Da organismo umano, come era quando era retto dalla luce e dall’autorità delle caste superiori, il corpo retrocede al tipo di un organismo sub-umano acefalo. Avvento della bestia senza volto.” J. Evola Americanismo e bolscevismo, in Nuova Antologia, maggio-giugno 1929

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One thought on “CONFLITTO UCRAINO: È GUERRA ALL’EUROPA. Di Valerio Savioli

  1. L’ aggressività degli americani bianchi è cosa risaputa. Non smentiscono le loro origini di galeotti indesiderati sul continente e cacciati dalla Regina d’Inghilterra. Hanno fondato gli Stati Uniti a suon di guerre, con la depredazione dei territori degli indigeni e sul loro massacro. Sono ancora tali, mania di espansione delinquenziale. La statua della libertà nella baia di Manhattan a New York è lo specchietto per le allodole.

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