L’idea di una “Europa dei popoli” è ormai sulla bocca di tutti. Si affoga quasi sempre nella retorica, senza mai approfondire la tematica. Normale che poi ci si ponga domande sul corretto significato di questo slogan. La questione è semplice: occorre più Platone e meno Calvino. Platone si proponeva come sostenitore di un’aristocrazia spirituale, concetto poi ripreso da Evola, che evitasse il più possibile il ricorso allo strumento legislativo, indicatore di una corruzione dell’anima. Una corruzione il cui percorso inarrestabile è iniziato con il calvinismo, dottrina che poneva l’homo economicus come soggetto di una nuova aristocrazia, fondata quindi sul capitale. Culmine di questa decadenza è l’americanismo, artefice di una globalizzazione dei costumi che ci ha portato a seguire il dogma “nasci-consuma-crepa”, riducendoci appunto a uomini-consumatori, standardizzati e infarciti da falsi bisogni. Nostro compito è riportare al centro l’essere umano, senza perseguire alcun falso dogma monetarista o statalista. Come Platone affermava che si possono riscoprire le idee eterne alberganti nell’iperuranio, l’uomo deve appunto riscoprire in primis la sua identità. Un’identità europea che oggi è sopraffatta da un ente materiale e ingannatore, l’attuale Unione Europea, essa stessa frutto della corruzione di stampo americano. Poiché il nostro compito non è però dominare tutte le maree del mondo, come diceva il maestro Tolkien, ma rendere il terreno fertile per chi verrà dopo di noi, è necessario non autoproclamarsi rivoluzionari e rimanere il più possibile nella realpolitik. Si può pertanto provare ad abbozzare un nuovo disegno di Europa.
Competenze: il modello Stato-Nazione di stampo otto-novecentesco è ormai obsoleto, oltre che dannoso. Essendo accompagnato da una visione troppo spesso hegeliana, che vede in esso l’unico strumento possibile per raggiungere la libertà, si crea facilmente l’equivoco di una religione di Stato, che lo pone quindi come l’altra faccia della medaglia del dio denaro, riducendo l’uomo a schiavo di un’eresia materiale. I confini di un regno come di un impero sono sempre stati mobili nel corso della storia, al contrario di quelli dello stato nazione, diviene naturale per noi, quindi, avere piuttosto l’Europa come punto di riferimento, casa plurimillenaria che ha formato l’uomo. Ovviamente non possiamo immaginare un governo unico e centrale per l’immensa area che va da
Lisbona a Vladivostok (considerando comunque che la Russia, più che un membro dell’Europa, può più realisticamente costituirne il principale partner). Bisogna pertanto riprendere in mano il principio di sussidiarietà. Le identità regionali consolidate hanno il diritto pre-politico di rendersi indipendenti dagli Stati centrali e centralisti con i quali non condividono una sintonia culturale ed economica.
Con un’Europa diversa da quella attuale (ossia un’Europa fondata sulla Troika che non ha ancora superato la competizione tra Stati membri, quindi un’Europa fallita), le regioni in questione non vivrebbero il problema della competizione con le potenze straniere. Le regioni (per noi da identificare come piccole patrie) diventerebbero infatti il cuore pulsante della nuova Europa, che dovrebbe proporsi come un insieme di realtà confederate. Ogni regione conserverebbe infatti una certa autonomia fiscale e culturale, mentre alla “nazione” Europea spetterebbe sostanzialmente la tutela dei diritti fondamentali, la difesa e la regolamentazione delle politiche monetarie e degli scambi internazionali.
La crisi Russia/Ucraina/Nato fa risaltare come la NATO sia un’organizzazione ormai obsoleta, in quanto strumento dannoso per la nostra Europa. La Russia non è il nostro nemico ma un partner naturale ma per interessi angloamericani ci troviamo a promuovere sanzioni a nostro danno verso il paese governato da Putin. Serve una politica di difesa Europea che sia strategica agli interessi del nostro continente. In campo economico dobbiamo uscire dallo spauracchio del debito pubblico con le politiche di austerity che hanno tagliato le gambe all’Europa in termini di crescita economica. La stabilità è sicuramente uno dei capisaldi del programma, ma non può essere l’unico. Non può dipendere esclusivamente dall’austerity, ma deve essere accompagnata da un’incentivazione alla crescita economica, il cui motore è costituito da una fitta rete di piccole-medie imprese. Sono perciò necessarie politiche a sostegno della produzione locale e che penalizzino la delocalizzazione della produzione. Per una rinegoziazione del debito a condizioni accettabili, è imprescindibile porre un controllo politico sulla BCE, la cui maggioranza del direttorio deve necessariamente essere composta da rappresentanti eletti dagli Stati membri. Parimenti, occorre che i governi riacquistino i titoli del debito pubblico ceduti ad enti privati in conflitto di interessi e spesso protagonisti di attività speculative sui Paesi stessi. Occorre inoltre abolire la valutazione delle attuali società di rating come parametro per l’acquisto dei titoli. Infine, per far fronte alla disparità economica dei paesi dell’UE, la soluzione non è l’immediata uscita dall’Euro, che comporta elevati rischi nel breve periodo. Può invece essere l’introduzione di una moneta complementare ad esso, valida per gli scambi interni, emessa da una banca dipendente da un controllo pubblico che garantisca la stabilità del cambio con l’euro. In questa prospettiva, si può pensare di dividere l’Europa in tre macro-zone economiche: una mediterranea, una centrale e una orientale. Queste considerazioni sono solo alcuni punti su cui costruire strutturalmente l’Europa
Ma a noi appare chiaro che la rivoluzione debba contemplare prima di tutto lo spirito. Non si potrà mai giungere ad un’Europa equa, anche economicamente, se non si rivaluta l’importanza del sacrificio o, più semplicemente, del servizio. Una Comunità necessita della dedizione degli uomini che la compongono. Colui il quale, svincolandosi dalle logiche utilitaristiche, tornerà a prestare un servizio di qualsiasi tipo senza pretendere nulla in cambio, potrà dirsi vero rivoluzionario. La politica è appunto servizio: per ricostruire l’Europa, anche pulire i pavimenti diventa indiscutibilmente un’arte nobile. Con buona pace dei calvinisti
Fabrizio Fratus