“La valutazione dei dati di sieroprevalenza converge sul fatto che il Sars-CoV-2 è largamente diffuso globalmente. L’evidenza suggerisce che l’incidenza di letalità media è dello 0,15% e che l’infezione abbia riguardato 1,5-2 miliardi di individui a Febbraio 2021, con sostanziali differenze di diffusività e mortalità nelle differenti regioni del mondo”. European Journal of Clinical Investigation, 26 Marzo 2021. John P. Ioannidis, Stanford University.
Esistono sostanzialmente alcune domande non risolte a riguardo della pandemia: quando è iniziata la diffusione del nuovo coronavirus, se sia stata causata da una zoonosi o da ingegneria da laboratorio, e quanto diffuso il contagio sia stato fino ad oggi, quest’ultima questione quella che tratterò brevemente. La differenza negli studi di sieroprevalenza necessita secondo Ioannidis di “speciale precauzione in quanto esistono studi che stimano una bassa sieroprevalenza”, e questo perché “individui tipicamente asintomatici o lievemente sintomatici non ricorrono ai test” senza dimenticare che “la sensibilità dei test in questi ultimi può essere molto inferiore poiché possono sviluppare quantità non significative di anticorpi”.
La correzione nel conteggio delle morti per/con Covid è problematica. L’eccesso di mortalità riflette sia le morti per Covid che le morti a seguito delle misure restrittive prese – il rinvio di ospedalizzazioni e cure necessarie per altre patologie, una nuova precarietà economica che si ripercuote anche sulla salute fisica e mentale, le varie aumentate diseguaglianze già presenti nella possibilità di accesso a strutture sanitarie adeguate, ecc. – e più in generale altri fattori che non riguardano direttamente la pandemia, rendendo la comparazione, con la media di mortalità dei precedenti anni, ingenua ed almeno in parte fuorviante. La qualità degli studi di sieroprevalenza varia, così come i modelli matematici utilizzati. La meta-analisi a firma O’Driscoll stima che il 5,27% della popolazione di 45 nazioni abbia contratto il nuovo coronavirus al 1 Settembre 2020, ovvero 180 milioni di contagi su una popolazione di 3,4 miliardi di persone, non includendo nazioni assai popolose come Messico, Brasile, India, per cui è possibile ipotizzare che almeno il 10% di questa popolazione fosse stata contagiata al 1 Settembre 2020. Bobrovitz nel suo studio stima che gli individui contagiati al 17 Novembre 2020 fossero almeno 643 milioni. Ioannidis afferma che “probabilmente le persone contagiate dal Sars-CoV-2 erano globalmente intorno al miliardo a Novembre 2020 in comparazione ai 54 milioni di casi documentati”, quest’ultimo il dato preso in considerazione per le politiche di contenimento dei vari Paesi.
Più recentemente, in un articolo apparso il 16 Settembre 2021 sempre sul European Journal of Clinical Investigation, Ioannidis prende in esame nuovi studi di siero prevalenza che nella sola India arrivano ad una stima della popolazione contagiata dal Sars-CoV-2 al 68%, il 62% tra quella non vaccinata, a Luglio 2021, al 68% in Estonia a Giugno 2021, ed al 59% tra i non vaccinati in Polonia a Maggio 2021. Quindi, prosegue l’epidemiologo, “si può con cautela stimare che circa la metà della popolazione dei giovani adulti in USA e in Europa possa essere stata infettata”. Bisogna davvero intendersi: un contagio largamente più esteso significa una minore mortalità percentuale complessiva a causa della Covid-19, e di conseguenza una sopravvalutazione del pericolo per quel che concerne la popolazione nel suo insieme. Una malattia selettiva, il cui rischio di mortalità riguarda in stragrande prevalenza la popolazione anziana o con preesistenti criticità di salute, generata da un virus altamente trasmissibile e che pare diventarlo ancora di più con la nuova variante Omicron, a quel che si conosce al momento, con un tempo di raddoppio del contagio di 2,4 giorni, ma che pare determinare una sintomatologia decisamente più lieve della Delta (in Sud Africa dove la variante Omicron è ormai dominante si quantifica un tasso di ospedalizzazione del 50% inferiore rispetto alle precedenti ondate di Sars-CoV-2).
La valutazione sull’entità dell’incidenza di letalità può chiaramente cambiare nel tempo. Ioannidis afferma che “se i nuovi vaccini e terapie possono prevenire la morte tra i più vulnerabili, teoricamente l’incidenza di letalità può diminuire al di sotto della soglia dello 0,1%”.
In considerazione di quanto il virus sia stato molto più diffuso rispetto a quanto rilevato dai dati ufficiali e di quello che viene ammesso in merito anche da taluni “esperti” – è francamente impossibile accreditare esattezza allo studio che determina un’incidenza di letalità per la Covid dello 2,5% in Italia – la vera questione non riguarda più quanto sia estesa la vaccinazione, ma il fatto che sommando vaccinazione ad immunità acquisita naturalmente, la pandemia non dovrebbe più procurare alcuno stress a un sistema sanitario ben organizzato, con un numero ragionevole di posti letto e medici disponibili in proporzione al numero di abitanti. E questo pur valutando che la durata temporale dell’immunità potrebbe variare, anche in assenza di nuove varianti che presentino molte mutazioni, in un lasso di tempo che va dai 3 mesi ai 5 anni, almeno secondo alcuni studiosi. Al contrario, in accordo ad un articolo pubblicato su Nature il 26 Maggio 2021, “molti di coloro che sono stati infettati dal SARS-CoV-2 probabilmente produrranno anticorpi contro il virus per gran parte delle loro vite”.
P.A.
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