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CORTE COSTITUZIONALE: EMERGENZA DA COVID NON OLTRE IL 31 DICEMBRE 2021? Di Francesco Mario Agnoli.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 213 dell’11 novembre 2013, nonostante abbia ad oggetto specifico la temporanea sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti giudiziari di rilascio di immobili, quindi un argomento a prima vista d’interesse abbastanza marginale (tranne che per i proprietari di case e negozi dati in affitto a inquilini morosi), ha sollecitato contrastanti interpretazioni ben al di là dei suoi ristretti confini. La ragione è che si tratta di Covid, perché il governo ha sospeso le procedure esecutive in questione a causa delle difficoltà economiche conseguenti al lockdown e agli altri provvedimenti di contrasto all’epidemia. In realtà sembrerebbe esservi poco da discutere dato che la Corte ha respinto tutti i dubbi di costituzionalità sollevati dalle ordinanze di remissione dei Tribunali di Trieste e Savona se non fosse che la parte finale della motivazione garantisce una decisione di opposto segno se ci sarà una prossima volta, qualora cioè la sospensiva (già più volte prorogata – con varianti – nel corso del 2021 sia pure con varianti) venisse protratta oltre il 31 dicembre 2021 attualmente prevista. Un avvertimento da alcuni inteso come una presa di posizione della Corte a favore della chiusura entro tale data di tutti gli aspetti dell’emergenza sanitaria/pandemica. Interpretazione respinta da chi, puntando sulla lettera del dispositivo, che dichiara inammissibili o infondate tutte le eccezioni sollevate, iscrive la Corte fra i paladini della legislazione emergenziale e del suo futuro protrarsi.

Pacifico che le norme oggetto della sentenza riguardino esclusivamente le locazioni, anzi le connesse procedure esecutive di rilascio, a partire dal decreto legge n. 18/2020, che ne ha disposto la generale sospensione dal 17 marzo 2020 al 31 dicembre 2020 (per l’esattezza di questo d.l., il primo della serie, la Corte si occupa solo in motivazione, perché le ordinanze di rimessione, riguardano le proroghe del 2021). Ugualmente le norme costituzionali ed equivalenti (artt. 3, 77, 42, 24, 111 e 117/1° comma, art. 6 CEDU) vengono messe in gioco unicamente nel loro rapporto, diretto o indiretto, con questa materia. Ad allargare l’interesse a questioni più generali sono le motivazioni della sentenza, che pongono, nella lettura di molti, il problema se l’avviso rivolto al governo sulla necessità di cambiare strada riguardi unicamente la compressione dei diritti costituzionali connessi all’istituto proprietario, o sia invece estensibile, per identità di situazione, anche ad altri diritti compressi e limitati dalla legislazione “covidiana” come quello al lavoro, la libertà di movimento, di riunione, di manifestazione.Si tratta, difatti, di motivazioni che, pur con riferimento alla specifica materia e muovendo dall’esame dell’appena citato d.l. n. 18/2020, mettono al centro del ragionamento l’intera situazione determinata dalla pandemia. Scrive la Corte come non possa “non rilevarsi che l’iniziale sospensione, nella sua ampia portata riguardante tutti i provvedimenti di rilascio degli immobili, era motivata dall’eccezionalità della situazione determinata dal rapido diffondersi dalla pandemia da COVID-19, che ha creato un’inedita condizione di grave pericolo per la salute pubblica, costituendo essa un’emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari”. Il contagio si è presentato con tali caratteri di rapidità ed estensione da portare “a limitazioni di movimento e di attività nel rispetto di rigide regole di distanziamento e di adozione di dispositivi individuali di protezione” all’ “arresto di fatto di numerose attività economiche con conseguente difficoltà di ampi strati della popolazione, per fronteggiare le quali è stata posta in essere un’ampia e reiterata normativa dell’emergenza con l’impiego di consistenti risorse economiche nella logica della solidarietà collettiva”.

Per quanto riguarda il settore della proprietà immobiliare e i connessi diritti, difficoltà economiche e principio di solidarietà giustificano – si legge in sentenza – la scelta del legislatore di una temporanea sospensione dell’esecuzione di tutti i provvedimenti di rilascio degli immobili anche ad uso non abitativo, appunto “una delle tante misure adottate per fronteggiare l’emergenza. Da una parte occorreva evitare che le attività esecutive, oltre a gravare sui tribunali, ponessero le persone necessariamente in contatto con conseguente incremento del rischio di contagio. D’altra parte i soggetti destinatari dei provvedimenti di rilascio rischiavano di vedere, per loro in particolare, aggravarsi quella situazione di difficoltà, che pure era di portata generale, giacché, nelle locazioni abitative l’oggetto del rilascio sarebbe stato anche l’abitazione, con incidenza, quindi, su un diritto inviolabile (sentenze n. 128 del 2021 e n. 44 del 2020) e, nelle locazioni non abitative, il rilascio avrebbe avuto ad oggetto un esercizio commerciale o un’azienda con pregiudizio del diritto di iniziativa economica privata, che parimenti è tutelato (art. 41, primo comma, Cost.)”. Una misura che “appare quanto meno non manifestamente irragionevole”, perché in una eccezionale situazione di emergenza sanitaria “la discrezionalità del legislatore nel disegnare misure di contrasto della pandemia, bilanciando la tutela di interessi e diritti in gioco, è più ampia che in condizioni ordinarie”. Fra queste “giustificate” misure quella intesa ad evitare l’aggravamento delle difficoltà economiche con la perdita della casa di abitazione.

Tuttavia “il sacrificio per i locatori non poteva che essere temporaneo”, perché (a questo proposito la Corte già si era espressa con le sentenze n. 155/2004 e 310/2003) la prevalenza dell’esigenza del conduttore può essere giustificata “solo in presenza di circostanze eccezionali e per periodi di tempo limitati”. Bene, quindi, ha operato il legislatore col limitare, dopo il 31 dicembre 2020, la proroga della sospensione ai soli casi di morosità, che di norma derivano da “difficoltà di carattere economico-sociale che, anche se antecedenti alla pandemia, si sono verosimilmente aggravate con essa”. Si tratta però comunque di una misura emergenziale, giustificata, nell’immediato, dalla l’eccezionalità della pandemia da Covid-19 e per un limitato periodo di tempo, sicché l’attuale scadenza del 31 dicembre 2021, “deve ritenersi senza possibilità di ulteriore proroga, avendo la compressione del diritto di proprietà raggiunto il limite massimo di tollerabilità, pur considerando la sua funzione sociale”.

Come si vede, argomenti certamente riferibili, in particolare per quanto riguarda l’eccezionalità delle limitazioni e la loro durata, a tutti i diritti (alcuni dei quali indubbiamente più essenziali per la persona umana di quello proprietario) oggetto della legislazione pandemica, sicché, in via di principio, la discrezionalità del legislatore, pur se più ampia che in condizioni ordinarie, non può anche nei loro confronti spingersi oltre un certo limite. Tuttavia, pur se è vero che queste considerazioni valgono per tutti i diritti costituzionali in gioco, impossibile dedurne sia che la Corte ritenga esaurita nella sua totalità al 31 dicembre 2021 l’emergenza pandemica, sia che tale termine costituisca improrogabile scadenza per limitazioni diverse da quelle incidenti sul diritto di proprietà. Per quanto riguarda l’eventuale prosecuzione della situazione di emergenza sanitaria dopo il 31 dicembre si tratta di una eventualità espressamente presa in considerazione dalla Corte, che, a chiusura della motivazione (e del divieto di proroga), scrive ”Resta ferma in capo al legislatore, ove l’evolversi dell’emergenza epidemiologica lo richieda, la possibilità di adottare altre misure più idonee per realizzare un diverso bilanciamento, ragionevole e proporzionato”. Per il resto, a parte i diversi momenti di nascita delle limitazioni e i diversi aggiustamenti, il diritto proprietario nella forma in gioco presenta un contrasto originario – di base – fra i diritti del locatore e del locatario con conseguente necessità del loro bilanciamento. Questo non avviene, quanto meno non necessariamente, per gli altri diritti oggetto di limitazioni, che incidono ugualmente su tutti i titolari, incluso il caso della normativa riguardante, attraverso la disciplina del green pass, il lavoro, spesso accusata di creare discriminazioni fra lavoratori. Difatti, queste discriminazioni, se esistono, non dipendono, come avviene invece per le locazioni, da una originaria ed inevitabile contrapposizione di interessi fra i lavoratori (è evidente che il diritto al lavoro di Caio non contrasta, in via di principio, con l’identico diritto al lavoro di Tizio), ma, eventualmente da scelte sbagliate del legislatore “emergenziale”. “Eventualmente”, perché le considerazioni fin qui svolte riguardano solo le motivazioni della sentenza della Corte costituzionale e la loro estensibilità a ipotesi diverse per quanto concerne la durata dello stato emergenziale, ma non comportano apprezzamenti, né in bene né in male, sull’adeguatezza della normativa anti-Covid.

Francesco Mario Agnoli

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