Approvato il DL 127/2021 sul cosiddetto “Super green pass”, rimangono intatti i problemi bio-giuridici di fondo, sebbene da parti di molti si continui a negare la problematicità di provvedimenti simili affermando che essi sono non già violazione dei diritti, ma una loro mera regolamentazione.
Nonostante ciò, il green pass sia nella sua versione normale che in quella super presenta diversi problemi in quanto scientificamente e giuridicamente infondato.
Sotto il primo profilo, infatti, non soltanto la realtà sta dimostrando, come nel caso olandese, o come nel caso del Vespucci, o come nel caso della docente di Milano, che il vaccino non esclude né il contagio, né, addirittura, il ri-contagio, semmai limita la sintomaticità, le complicanze e la mortalità da covid, ma per di più che proprio scientificamente non c’è alcuna certezza che il vaccino escluda in modo categorico e totale la contagiosità, specialmente in relazione alla rampante variante delta.
In questa direzione, oltre la cronaca riportata dal Wall Street Journal su ciò che sta accadendo in Israele in cui il 60% dei nuovi ospedalizzati ha già effettuato la doppia dose vaccinale, si deve ricordare il punto n. 11 del documento dell’AIFA in cui si chiarisce che la questione è ancora in fase di studio e che si possa parlare soltanto di plausibilità e non di certezza in merito ai rapporti tra vaccino ed esclusione del contagio.
Il Green pass, dunque, da un punto di vista scientifico non fornisce alcuna garanzia di ritrovarsi tra persone non contagiose, poiché la cronaca, la scienza e, soprattutto, la realtà non hanno ancora fornito tali garanzie.
Sotto il profilo giuridico, inoltre, non si possono privare dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti alcuni soggetti per tutelare quelli degli altri.
Delle due l’una: o i diritti fondamentali sono tali, e lo sono sempre e per tutti, cioè sostanzialmente pre-ordinamentali (tanto che la Carta costituzionale utilizza il verbo “riconoscere” e non “costituire”), pre-costituzionali, ultra-statali, sovra-politici, meta-normativi, poiché ancorati e ancorabili alla struttura ultima dell’essere umano, ovvero alla sua umanità, essendo cioè il riflesso giuridico della sua dimensione ontologica, oppure non lo sono e quindi diventano manipolabili o eliminabili in base alle circostanze anche se emergenzialmente giustificate.
Per quanto sia vero che la stessa Costituzione consenta delle limitazioni, per esempio per la tutela della pubblica incolumità, è anche altrettanto vero che ammettere le compressioni non significa ammettere anche le eventuali soppressioni, come parrebbe fare l’introduzione del Green pass che esclude senza limiti dalle attività lavorative o ricreative chi fosse sprovvisto di copertura vaccinale, peraltro in un contesto normativo quale è quello attuale che non prevede l’obbligo vaccinale anti-Covid. Il rigore sul punto, infatti, data la particolare importanza e sensibilità della materia, dovrebbe essere totale e inderogabile, e soprattutto – almeno per il Green pass – scientificamente supportato, cosa che, come già visto, non è per nulla.
Un ulteriore profilo giuridico di una certa rilevanza, sebbene inspiegabilmente ignorato dai più, emerge con non poca evidenza, cioè che il green pass costituisce un obbligo di fatto e non di diritto alla vaccinazione, essendo cioè sprovvisto di quelle garanzie e di quegli accorgimenti necessari per tutelare proprio il diritto alla salute.
L’obbligo vaccinale di fatto, a differenza di quello di diritto, peraltro non tutela compiutamente e giuridicamente la popolazione poiché non si prevede alcun indennizzo per gli eventuali effetti collaterali legati alla inoculazione del vaccino medesimo. Insomma, l’obbligo vaccinale di fatto introdotto con il green pass creerebbe un “dovere” sul cittadino senza assicurargli la tutela effettiva dei suoi diritti e senza che a tal dovere faccia da corrispettivo una equa responsabilità morale, giuridica ed economica delle istituzioni che lo intendono sanzionare.
Del resto proprio la Corte costituzionale, di recente, nel bel mezzo della crisi pandemica del 2020, ha statuito, con la sentenza 118/2020, che l’indennizzo per effetti collaterali deve necessariamente estendersi anche ai vaccini soltanto consigliati (come per ora sono quelli anti-Covid) purché, oltre l’ovvio effetto causale tra inoculazione e danno all’integrità psico-fisica, sussista un affidamento del paziente in base a una campagna pubblica di vaccinazione (requisito evidentemente presente nel caso della vaccinazione anti-Covid, specialmente se indotto dal green pass).
Il green pass – e tanto meno il super green pass – allora non è per nulla espressione di solidarietà e responsabilità, ma costituisce un vero e proprio pasticcio giuridico che invece di essere lodato da alcuni giuristi dovrebbe essere da questi massimamente biasimato poiché contrario alla scienza, alla giurisprudenza (addirittura di rango costituzionale) e al senso stesso del diritto.
Aldo Vitale