È l’alba e sulla laguna una timida luce inizia ad aprirsi la strada tra le ultime tenebre. Eccoti, sospesa tra cielo ed acqua. Irreale la tua bellezza, sogno ispiratore di pittori e poeti. Immortale ed eterna, come le acque del tuo sposo che abbracciano le tue riviere e i tuoi canali.
Tocco le tue sponde; una nebbia mattutina ti avvolge e ti rende ombra alla mia vista; percorro le tue strette calli, immergendomi in te, fino a giungere al tuo rivo alto, scintillante come neve agli occhi. La mente vola nel tempo, quando ad unire le sponde non vi era il marmo ma il legno; quando tu, novella sposa del mare, ti rendevi a tua volta ponte, unendo mondi diversi tra loro. Storie e identità allora iniziarono ad intrecciarsi e a conoscersi, arricchendosi a vicenda, quando le tue navi solcavano le acque adriatiche ed egee, giungendo in Terrasanta e a Bisanzio, nel Ponto e in Crimea e poi oltre, lungo le vie carovaniere, sino agli estremi confini dell’Asia, quando tuo figlio Marco si fece araldo del tuo nome, allora rispettato e temuto. E il cuore mi pulsa e viaggia al ricordo della grandezza dei tuoi figli, commerciati e soldati, navigatori ed esploratori, commuovendosi mentre riflette sul coraggio e sul sacrificio delle tue figlie, madri sole coi mariti lontani per venture, votate all’educazione dei figli e alla cura dei degli anziani patroni, dimenticate dai manuali ma non dalla laguna che ne abbraccia il ricordo.
La nebbia si dirada. Eccoti. Dinnanzi mi appare il tuo tempio, ove riposa l’evangelista tuo protettore, custodito dai dorati mosaici e dalle guglie. Prezioso scrigno della tua gloriosa storia. Guardo i trionfanti cavalli di Lisippo; contemplo le vite dei patriarchi nel nartece, mi immergo nell’intimo dell’aureo interno ammirando la vita del redentore e dei santi, con occhi pieni di stupore e meraviglia sino ad abbagliarsi di fronte alla pala dorata che troneggia sull’altare.
Esco, convocato dall’eco delle onde. Ecco a meridione l’alto picco sulla loggia del Sansovino e al suo fianco l’arca custode di sapienza, sbocciata dal dono di Bessarione; ecco a settentrione il seggio del tuo antico governo e il trono dei tuoi duchi. E sotto il cammino del sole che abbaglia, vedo stagliarsi le tue colonne; il candido San Teodoro, trafiggente il drago, e San Marco, ruggente sul Vangelo. Voci antiche sembrano chiamarmi; seguo la riva, dove danzanti gondole mi salutano; mi volto un istante, nutrendo il mio sguardo coi templi candidi della laguna, omaggiando San Giorgio e la nostra Signora della Salute; per un attimo mi fermo, fissando il globo della punta dove giungevano le navi al tuo porto chiedevano asilo, ma il richiamo del tuo cuore mi ossessiona.
Ed eccolo, il tuo cuore, custodito dai bianchi leoni di Delo, dal quale un tempo sorgevano come astri le tue galee e le tue galeotte, agognanti il mare; è ancora lì, dopo secoli, a rimembrare come i tuoi popoli, veneziani o istriani, dalmati o veneti, mai temessero guerre o tempeste. Fra piogge e marosi le tue prore partivano e tornavano, colme di tesori e merci, di spezie e tessuti, di sapienza e conoscenza; le acque ti salutavano, loro regina di pace e ricchezza, ma anche guida in battaglia e guerra. Rammenti le sfide e i duelli contro San Giorgio e la Mezzaluna, i martiri di Negroponte e Famagosta, la gloria di Trapani e di Lepanto. Ricordi le insegne con le sei fiamme sventolare vittoriose sui porti di Zara e Cattaro, di Creta e Corfù, dove un leone alato ruggente veniva eretto, garante di ordine e giustizia. E come fosti vittoriosa per mare, così fu sulla terra; ancora risuonano le trombe sulla piana di Maclodio e tremano le nevi del Cadore al ricordo del Liviano; si odono ancora il canto trionfante sugli scudi del carro rosso e quello sui figli invasori di Santo Stefano; e laddove la sconfitta s’impose, sempre ruggente ti rialzasti battagliera, come a Chioggia così sull’Adda.
Il pensiero delle gesta vittoriose mi spinge ad omaggiare i tuoi figli più nobili; entro in San Zanipolo, sotto lo sguardo fiero del cavaliere di Bergamo, ed ammiro le arche dei grandi. Ecco le tombe dei dogi, dei Mocenigo e dei Morosini, dei Vendramin e dei Valier; vedo il Pisani vincitore dei liguri grifoni e il cavallo trionfante del Giustiniani dal pugno di ferro; omaggio l’urna di Bragadin martire e la tomba di Sebastiano, del turco vincitore . I più grandi qui riposano, onorati dall’arte dei migliori, dalle pitture dei Palma e di Tiziano alla scultura dei Lombardo e del Vittoria.
Perché non fosti solo regina dei mari ma anche patrona delle arti, delle quali ora ho sete. M’immergo nelle tue calli, alla cerca dei tesori che nelle sue “scuole” e nelle tue chiese son custodite; eccomi agli Schiavoni ad omaggiare il San Giorgio del Vittore e quindi in San Giovanni ad contemplare il Bellini e i miracoli della Croce; mi reco ai Frari ad onorare il “nuovo Fidia” e subito dopo entro in San Rocco, dove la grandezza del Tintoretto si manifesta.
Quanti i nomi da ricordare e citare mentre cammino lungo i tuoi canali; da Tommaseo letterato a Goldoni commediografo sino a fratello Sarpi, che difese le tue ragioni contro il seggio di San Pietro.
È tardi; si avvicina il tramonto e il mio cuore si fa pesante. Penso alle tue ultime sere prima che il crepuscolo del corso straniero ti avvolgesse. Non fosti vinta con la spada ma con la subdola arte del tradimento. Cammino accanto al tempio che costudisce il tuo ultimo doge, il povero friulano che si assunse la responsabilità della tua fine e che pagò con calunnie per il resto di una vita che, benché potesse altrimenti, scelse di restare con te fino all’ultimo respiro. Con te che fosti onorata dai tuoi nemici dell’aquila nera, mentre il leone alato chiudeva gli occhi fra le lacrime dei tuoi figli a Zara, Cattaro e Perasto.
Lascio le tue sponde per i miei sentieri, camminando verso il tramonto ma volgendomi indietro per ammirarti ancora, sospesa tra acqua e cielo, dove ora iniziano a spuntar le stelle che da milleseicento anni splendono sopra la Serenissima città di San Marco.
Nicolò Dal Grande