La Regione Lazio, a guida politica Zingaretti, si assume con orgoglio il ruolo di apripista in Italia, comunicando che, circa a metà del corrente mese, i cittadini che hanno ricevuto la vaccinazione anti-covid potranno scaricare online il “certificato vaccinale”. Questa certificazione – dichiara l’assessore regionale alla Sanità “potrà essere utile in futuro in base alle disposizioni che il governo o l’Ue vorranno emanare”. L’Agenzia che riporta la notizia commenta prudentemente: “ancora da capire quale ne sarà l’utilizzo”. Il certificato è, per natura, l’attestazione di un fatto o di una qualità. Nel caso, trattandosi dell’attestazione di un’avvenuta vaccinazione, potrà riuscire utile all’interessato per il suo personale futuro sanitario, un utilizzo fin d’ora possibile, per il quale non sembra necessaria nessuna ulteriore disposizione nazionale o europea. Tuttavia, e qui sta, allo stato, la differenza con il già esistente “fascicolo sanitario”, in ipotesi potrà anche servire per distinguere i vaccinati dai non vaccinati, nel caso che nuove disposizioni – appunto nazionali od europee – attribuiscano qualche conseguenza a questa distinzione.
Una eventualità considerata molto preoccupante dal nostro Garante della Privacy, che il 1° marzo ha emesso un comunicato stampa per richiamare l’attenzione di tutti, e del parlamento in particolare, sul fatto che i dati relativi allo stato vaccinale sono particolarmente delicati e comportano, quindi, il rigoroso rispetto della disciplina giuridica in materia di protezione dei dati personali. Difatti – si sottolinea – un loro utilizzo non corretto può avere gravi conseguenze per la vita e i diritti fondamentali delle persone con possibili discriminazioni, violazioni e compressioni illegittime di libertà costituzionali. E’, quindi, opinione del Garante che il trattamento di tali dati al fine di accesso a determinati locali o di fruizione di determinati servizi debba essere oggetto di una legge in grado di realizzare un equo bilanciamento tra l’interesse pubblico e quello individuale. In assenza di tale normativa – questa la conclusione – “l’utilizzo in qualsiasi forma da parte di soggetti pubblici e di soggetti privati fornitori di servizi destinati al pubblico, di app e pass destinati a distinguere i cittadini vaccinati dai cittadini non vaccinati è da considerarsi illegittimo”.
Nello stesso senso, a livello Ue, la Risoluzione del Consiglio d’Europa-Assemblea Parlamentare n. 2361 (2021), che in un più ampio contesto, riguardante l’intera materia vaccinale, inclusi l’approvvigionamento e la relativa contrattualistica, ha fissato i seguenti importanti principi: “assicurarsi che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno è politicamente, socialmente o altrimenti sottoposto a pressioni per farsi vaccinare, se non lo desiderano farlo da soli” (comma 7.3.1), “garantire che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato, a causa di possibili rischi per la salute o per non voler essere vaccinato” (7.3.2), “adottare misure tempestive ed efficaci per contrastare la disinformazione e l’esitazione riguardo ai vaccini Covid-19” (7.3.3), “utilizzare i certificati di vaccinazione solo per lo scopo designato di monitorare l’efficacia del vaccino, i potenziali effetti collaterali e gli eventi avversi” (7.5.2).
Il fatto è che non si tratta solo della regione Lazio e delle sue certificazioni vaccinali. A dispetto dell’appena ricorda Risoluzion a livello europeo si parla espressamente e addirittura si preparano “tavoli” e strumenti per la realizzazione di “passaporti sanitari digitali di immunità”, che potrebbero in un primo momento essere utilizzati per i viaggi internazionali, ma poi anche “richiesti in determinati contesti e all’interno di alcuni luoghi di lavoro”, come scrive in un post del 3 marzo Valeria Aiello, aggiungendo che “questo patentino di immunità contro Sars-Cov-2 potrebbe essere presto richiesto da autorità pubbliche ed enti privati per permette un graduale ritorno agli spostamenti”. Senza trascurare che già ora Israele “ha deciso di sperimentare l’utilizzo del cosiddetto “green pass”, un certificato rilasciato tramite un’app dal Ministero della Salute, che consente alle persone che hanno ricevuto due dosi (o che hanno superato l’infezione ma non possono ricevere il vaccino) di poter frequentare i luoghi di aggregazione”.
In realtà, non solo in Europa, ma a livello globale vi è tutto un intrecciarsi di iniziative e di incontri miranti a questa realizzazione, coinvolgendo governi nazionali (particolarmente attivi il Canada e – poteva mancare?- la Cina, che ha già realizzato una sorta di passaporto Covid, sia pure – pare – non (o non ancora) obbligatorio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’Associazione Internazionale del traffico aereo (IATA) e il Forum economico mondiale. Intanto si avanzano fin d’ora, in via preventiva, le giustificazioni di esiti inevitabilmente in radicale contrasto con le indicazioni del nostro Garante e del Consiglio d’Europa. Giustificazioni sia di natura economico/sanitaria: “Un approccio adeguatamente costruito per i passaporti di immunità potrebbe aiutare a limitare la diffusione di Sars-Cov-2, consentendo al contempo la ripresa delle attività sociale e la rivitalizzazione dell’economia globale”. Sia con riferimento al rapporto pubblico-privato: “se i governi non svilupperanno la capacità necessaria per implementare i passaporti di immunità, è probabile che le società private (ad esempio, le compagnie aeree e le grandi sedi di eventi) svilupperanno i propri requisiti e sistemi, portando potenzialmente a problemi legati all’equità, alla privacy e alla coercizione”.
In realtà i trattamenti sanitari più o meno obbligatori e soprattutto le vaccinazioni (con particolare vincolatività in ordine alla frequenza scolastica e ai viaggi in alcuni paesi) avevano, già prima dell’era Covid, una lunga storia alle spalle, cominciando da quella contro il vaiolo per finire con le 12 (più quattro solo raccomandate) previste dal cosiddetto decreto Lorenzin (convertito in legge il 18 luglio 2017). Tuttavia i prospettati “passaporti sanitari digitali di immunità”, se davvero potranno essere “richiesti in determinati contesti e all’interno di alcuni luoghi di lavoro”, acquisteranno una tale incidenza sulla vita quotidiana da dividere la popolazione, come nell’antica democrazia greca, in cittadini optimo jure (i vaccinati) e iloti (i non vaccinati). Secondo quanto riferisce l’attrice israeliana (di origine italiana) Dea in un’intervista a Vox Italia TV sta già accadendo nella tanto celebrata per la sua campagna vaccinale Israele, dove alle pressioni del governo per “costringere” tutti a vaccinarsi (l’intervistata parla di “coercizione” e di persone che che si sono vaccinate per non perdere il posto di lavoro) si sono aggiunte le iniziative di alcune grandi catene di supermercati, che ammettono nei loro negozi soltanto i possessori del green pass.
Si affaccia così all’orizzonte (un orizzonte terribilmente prossimo) un mondo nel quale chi rifiuta il vaccino non potrebbe avere un lavoro (quanto meno un lavoro che non possa essere svolto in solitudine e senza contatti con il pubblico), né viaggiare, né frequentare luoghi di aggregazione e incontrerebbe difficoltà perfino a entrare nei negozi (nei tristemente celebri cartelli di un tempo col “vietato l’ingresso” ai “cani” verrebbero aggiunti, in sostituzione dei “negri” o dei “marocchini”, i non vaccinati). Di fronte ad una simile prospettiva inevitabile per il giurista chiedersi se a legittimarla basterebbe una nuova legge Lorenzin o se questa non sarebbe affetta da palese incostituzionalità. Tuttavia è probabile che non molto dissimile sia la realtà che ci attende dietro l’angolo, che sarà legittimata da un decreto-legge mentre i vizi di costituzionalità verranno accantonati in base al principio di eccezionalità. Di fronte alle esigenze dell’economia anche le coscienze più rigorose saranno tranquillizzate dalla riflessione che in definitiva, a differenza dei negri o dei marocchini, i non vaccinati quando saranno stanchi della loro condizione di iloti non dovranno fare altro che accettare il vaccino per essere riaccolti, come il figliuol prodigo, a braccia aperte nella democratica comunità.
Francesco Mario Agnoli