PUTIN A DAVOS E LE PREOCCUPAZONI DEI BUONI DEMOCRATICI
Quando parla il tiranno, la gente dabbene si domanda dove andremo di questo passo a finire. E lo hanno fatto parlare a Davos, nel consesso dei Grandi (e Molto Facoltosi) Sapienti della Terra. Una provocazione per tutti i buoni democratici. Fortuna che da noi i media gli abbiano messo la sordina.
Comunque, è stato uno scandalo. Ha detto che per risolvere i problemi del mondo occorre una cooperazione internazionale seria e spregiudicata; che la tecnologia ve tenuta d’occhio nel nome del benessere comune e che esiste un “partito della Silicon Valley”; ha segnalato i pericoli del neoliberistico Washington Consensus; ha messo in guardia a proposito dell’avanzata in tutto il mondo del processo di concentrazione della ricchezza, della scomparsa delle élites qualificate e della proletarizzazione delle masse, con il collaterale fenomeno dell’allargarsi della forbice tra i pochissimi arciricchi (persone, famiglie o lobbies che siano) e i troppi superpoveri; ha denunziato gli squilibri e le ingiustizie della “crescita globale”, che coincide soprattutto con una crescita della miseria e dello sfruttamento; ha sottolineato la coincidenza tra impoverimento di massa e degrado della cultura media.
Insomma, un discorso scandaloso e aberrante, degno appunto di un tiranno.
Resta solo una domanda che tutte le persone di buona volontà debbono a questo punto porsi con perentoria chiarezza:
COME CI SI ISCRIVE AL PARTITO DELLA TIRANNIA?
DAVOS, 27 GENNAIO 2021
“L’UOMO NON DEVE ESSERE UN MEZZO, MA UN FINE DELL’ECONOMIA”
Lo scorso 27 gennaio il presidente russo Vladimir Putin ha preso parte al World Economic Forum di Davos, che si è svolto in collegamento streaming a causa della pandemia in corso. Il titolo del Forum di quest’anno (25-29 gennaio) è stato, significativamente, “The Great Reset”.
Il presidente russo si è appellato alla cooperazione internazionale per risolvere le emergenze che assillano il pianeta in un periodo durante il quale la pandemia ha acuito le disuguaglianze sociali; ha affrontato il delicato argomento della tecnologia – riferendosi direttamente al “partito della Silicon Valley” – e della sua diffusione a livello globale; ha ribadito la necessità del multilaterialismo nelle relazioni internazionali e ha evidenziato il ruolo di stabilizzazione e pacificazione svolto dalla Russia in varie regioni del pianeta.
Un messaggio in chiave antiliberale e di rivendicazione della ricerca del bene comune, contro le distorsioni neoliberiste dell’ideologia economica e finanziaria del cosiddetto Washington Consensus. Un messaggio quasi completamente ignorato dai media mainstream: proprio per questo motivo, abbiamo deciso di riportarne i passi salienti.
Il discorso di Vladimir Putin al Forum di Davos
“Il Forum di quest’anno si concentra sui profondi cambiamenti in atto sul pianeta. In effetti, è difficile ignorare le trasformazioni radicali che si stanno compiendo a tutti i livelli: nell’economia globale, nella politica, nella vita sociale e nella tecnologia. La pandemia, diventata una sfida fondamentale per tutta l’umanità, ha stimolato e accelerato i cambiamenti strutturali già in atto da tempo, evidenziando i problemi e gli squilibri del mondo. Ci sono tutte le ragioni per credere che i rischi di prossimi e futuri conflitti stiano aumentando”.
“Stiamo assistendo a una crisi dei modelli e degli strumenti di sviluppo economico. La stratificazione sociale si sta intensificando, sia a livello globale, sia all’interno dei singoli paesi. Questo conduce a una forte polarizzazione dell’opinione pubblica, provocando la crescita del populismo, del radicalismo e di altri estremismi”.
“Le istituzioni internazionali si stanno indebolendo, i conflitti territoriali sono in aumento e il sistema di sicurezza globale si sta deteriorando. Un conflitto globale, adesso, sembra impossibile in linea di principio. Significherebbe la fine della civiltà. Ma, ancora una volta, la situazione può evolversi in modi imprevedibili e incontrollabili, se ovviamente non ci si attiva per impedirlo”.
“Vorrei sottolineare che l’imbarbarimento sociale e la crisi dei valori si stanno manifestando a livello demografico un po’ ovunque: in questo modo, l’umanità rischia di perdere intere espressioni di civiltà e cultura”.
“La prima sfida è socio-economica. A giudicare dalle statistiche, nonostante le profonde crisi del 2008 e del 2020, gli ultimi quarant’anni possono essere definiti un successo per quanto riguarda l’economia a livello globale. Il PIL mondiale, a parità di potere d’acquisto, è raddoppiato in termini reddito pro-capite rispetto al 1980. La globalizzazione e la crescita interna hanno garantito una forte ripresa ai paesi in via di sviluppo, sottraendo alla povertà più di un miliardo di persone”.
“Tuttavia, la domanda principale riguarda la natura stessa di questa crescita globale, per stabilire chi ne abbia tratto i maggiori vantaggi. Naturalmente, i paesi in via di sviluppo hanno beneficiato della crescente domanda dei loro prodotti tradizionali, ma questa integrazione nell’economia globale non ha prodotto solo posti di lavoro e guadagni garantiti dall’esportazione. Ha comportato costi sociali ingenti, compreso un enorme divario nel reddito dei cittadini”.
“La globalizzazione ha determinato un aumento significativo dei profitti delle grandi multinazionali, principalmente aziende americane ed europee. La tendenza nelle economie sviluppate dell’Europa è, infatti, la stessa rispetto agli Stati Uniti. In definitiva, a chi giovano i profitti delle grandi multinazionali? All’uno per cento della popolazione”.
“Negli ultimi trent’anni, in alcuni paesi sviluppati il reddito di oltre la metà dei cittadini è rimasto fermo, mentre il costo dell’istruzione e dei servizi sanitari è aumentato. Sapete di quanto? Del triplo. Ciò significa che diversi milioni di persone, anche nei paesi ricchi, non hanno goduto di un aumento del reddito. E devono affrontare molti problemi, come mantenere loro stessi e i genitori in buona salute, oppure garantire ai figli un’istruzione di qualità”.
“Sono aumentate le persone che di fatto non hanno un lavoro. Ad esempio, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro stima che nel 2019 il 21% dei giovani del mondo, ovvero 267 milioni di persone, non ha studiato o lavorato in alcun modo. Queste distorsioni dello sviluppo socioeconomico globale sono il risultato diretto delle politiche perseguite negli anni ’80: politiche basate sul cosiddetto Washington Consensus che, con le loro regole non scritte, davano priorità alla crescita economica fondata su debito privato, deregolamentazione e basse tasse per i ricchi e le grandi imprese”.
“La pandemia ha solo acuito questi problemi. Lo scorso anno la recessione economica globale è stata la più grave dalla fine della seconda guerra mondiale”.
“È virtualmente impossibile stimolare l’economia con strumenti tradizionali a scapito dell’aumento del prestito privato. Il cosiddetto quantitative easing gonfia la bolla del valore delle attività finanziarie e porta a un’ulteriore stratificazione della società. Il crescente divario tra l’economia reale e virtuale è una vera minaccia che può portare a conseguenze gravi e imprevedibili”.
“Alcune speranze di poter riavviare il vecchio modello di crescita sono legate alla velocità dello sviluppo tecnologico. In effetti, gli ultimi venti anni hanno gettato le fondamenta per quella che è conosciuta come la Quarta Rivoluzione Industriale, che si basa sull’uso diffuso di intelligenza artificiale, soluzioni automatizzate e robotica. La pandemia ha notevolmente accelerato questi progressi e la loro attuazione. Tuttavia, questo processo genera nuovi cambiamenti strutturali: ciò significa che, senza un’efficace azione del governo, molte persone corrono il rischio di rimanere disoccupate. Queste appartengono sempre più spesso alla classe media”.
“La seconda sfida è socio-politica. I crescenti problemi economici e le disuguaglianze dividono la società, generano intolleranza sociale, razziale ed etnica. Sono i problemi reali che generano il malcontento”.
“I moderni giganti tecnologici e, soprattutto, digitali, hanno iniziato a svolgere un ruolo sempre più determinante nella società. Non sono più solo giganti economici; in alcune parti del mondo si pongono, di fatto, in concorrenza con gli Stati. Il loro pubblico è composto da miliardi di utenti che trascorrono una parte significativa della loro vita all’interno di questi ‘ecosistemi’. Dal punto di vista economico, la loro posizione di monopolio risulta ottimale per l’organizzazione dei processi tecnologici e del business. Ma in che modo un tale monopolio corrisponde all’interesse pubblico? Qual è il confine tra il successo delle imprese globali, i servizi e i benefici richiesti? È lecito sostituire legittime istituzioni democratiche, anzi, usurpare o limitare il diritto naturale delle persone di decidere autonomamente come vivere, che cosa scegliere, quale posizione esprimere liberamente?”.
“La terza sfida riguarda l’ulteriore aggravamento dei problemi internazionali. Alla fine, i problemi socio-economici interni irrisolti e crescenti possono incitarci a cercare un colpevole. Possiamo notare, per esempio, che il livello della retorica propagandistica è in aumento. Possiamo aspettarci che le azioni concrete diventino più aggressive, inclusa la pressione sui paesi che non si adeguano al ruolo di satelliti obbedienti ed eterodiretti: uso di barriere commerciali, sanzioni e restrizioni illegittime in ambito finanziario, tecnologico e dell’informazione”.
“È arrivato il momento di passare dalle dichiarazioni generali all’azione, a reali sforzi per ottenere sia la riduzione delle disuguaglianze sociali all’interno dei singoli Stati, sia la graduale convergenza del livello di sviluppo economico dei paesi del pianeta. A quel punto, non ci sarà alcuna crisi migratoria”.
“Il significato e l’importanza di tale politica, intesa a garantire uno sviluppo sostenibile e armonioso, è evidente. Si tratta di creare nuove opportunità per tutti, reali condizioni per lo sviluppo e la realizzazione del potenziale umano, indipendentemente da dove si è nati e dove si vive”.
“È finito il tempo dei tentativi di costruire un ordine mondiale centralizzato e unipolare. Nel mondo sono emersi e si sono fatti conoscere diversi poli di sviluppo con i propri modelli originali, sistemi politici e istituzioni sociali. E oggi è estremamente importante costruire meccanismi per coordinare i loro interessi, in modo che la diversità e la competizione naturale dei poli di sviluppo non si trasformino in anarchia e in una serie di conflitti prolungati”.
“Come sapete, a novembre è stata firmata una dichiarazione trilaterale tra Russia, Azerbaigian e Armenia. È importante che sia, nel complesso, attuata in modo coerente. Siamo riusciti a fermare lo spargimento di sangue, a garantire un cessate il fuoco completo e ad avviare il processo di stabilizzazione. La comunità internazionale e, senza dubbio, i paesi coinvolti nella risoluzione della crisi devono ora aiutare le aree colpite ad affrontare le sfide umanitarie del ritorno dei profughi, la ricostruzione delle infrastrutture distrutte e la protezione e il restauro dei monumenti storici, religiosi e culturali”.
“Dobbiamo aiutare le nazioni che hanno bisogno di sostegno, comprese quelle africane. Sto parlando di aumentare i test e le vaccinazioni. Constatiamo che la vaccinazione di massa è ora accessibile principalmente ai cittadini dei paesi sviluppati, mentre centinaia di milioni di persone in tutto il mondo non hanno nemmeno la speranza di beneficiare di tale protezione. In pratica, questa disparità può rappresentare una minaccia generale, perché, com’è noto ed è stato ripetuto più volte, l’epidemia continuerà a protrarsi e persisteranno sacche incontrollabili”.
“Non ci sono confini per infezioni e pandemie. Dobbiamo quindi imparare dalla situazione attuale e proporre misure per aumentare l’efficacia del sistema di sorveglianza per la comparsa di queste malattie nel mondo e l’evoluzione di queste situazioni. Un altro settore importante in cui dobbiamo coordinare il nostro lavoro e quello della comunità internazionale nel suo insieme, è la protezione del clima e della natura del nostro pianeta”.
“Sappiamo tutti che la competizione, la rivalità tra paesi nella storia del mondo non è cessata, non si ferma e non finirà mai. In effetti, differenze e conflitti di interesse sono un elemento naturale per un organismo complesso come la civiltà umana. Tuttavia, nei momenti critici questo non ci ha fermato, ma, al contrario, ci ha incoraggiato a unire i nostri sforzi nelle direzioni più importanti e decisive. Mi sembra che stiamo vivendo proprio in un periodo simile. È molto importante valutare onestamente la situazione, concentrarsi non su problemi immaginari ma reali. In questo modo, ne sono certo, riusciremo ad affrontare con dignità le sfide del terzo decennio del ventunesimo secolo”.