Una volta le “Lune di Miele” si chiamavano così perché almeno chi poteva permettersele faceva in modo che durassero quattro settimane, cioè appunto un mese lunare. Siamo alla vigilia della Quaresima, poiché il 17 sarà il Mercoledì della Ceneri. La scommessa da fare potrebbe essere: durerà di più il governo Draghi o la Quaresima? Certo, a giudicare dall’unanimità quasi totale delle forze politiche (ma qualche smagliatura qua e là si comincia a vedere…) e dai toni entusiastici dei media, questo governo durerà Millant’Anni: Berlusconi lo aveva già dichiarato, a scatola chiusa e ancor prima della designazione ufficiale del presidente incaricato, che questo sarebbe stato “il governo dei migliori”.
Ora, i “migliori” li abbiamo visti: certo sono molti, e vedrete fra poco l’alluvione dei viceministri e dei sottosegretari. Tutto come da copione, peraltro: ai ministri “tecnici”, che non sono almeno ufficialmente espressione di alcuna forza politica, debbono affiancarsi altresì i rappresentanti delle “forze di governo”, cioè appunto quasi tutti. Allegria! Siamo un paese dove i “migliori” sono schiacciante maggioranza.
Certo, qualche motivo di perplessità sussiste. Appena qualche giorno fa l’Italia pareva sull’orlo della tragedia, tra il Covid che rialzava la tesa (e continua a rialzarla) e una crisi di governo che sembrava essere stata irresponsabilmente scatenata e alla quale poi tutti o quasi hanno reso omaggio. Sembrava che ormai la maggioranza si stesse sfaldando mentre chi premeva per “voltar pagina” si divideva tra chi pretendeva un serio mutamento di forze interne al governo e chi auspicava con forza nuove elezioni.
Poi i cieli si sono aperti e ne è disceso il Redentore, salutato dalla durissima reprimenda del presidente della Repubblica nei confronti dell’inadeguatezza della classe politica (la quale ha incassato senza discutere correndo spensieratamente in soccorso al vincitore, secondo un vecchio sport nazionale).
In tanta euforia, nessuno si è chiesto se la crisi di governo e la sua rapida, felicissima risoluzione non abbiano, per caso, anche alcuni motivi nella situazione politica internazionale. Certo, in Italia non si fa politica estera: la si considera tanto poco che nessuno ha reagito alla conferma di Di Maio agli Affari Esteri: un dicastero-chiave, in tutti i paesi seri; un dicastero quasi inutile in Italia, un paese occupato militarmente da USA e NATO e la politica estera del quale si fa a Washington, o per l’ordinaria amministrazione all’interno dell’immensa “Città Proibita” dell’Ambasciata USA di Via Veneto.
Invece, in quel settore, le cose si stanno movendo rapidamente: e l’équipe del presidente Biden non ha perso tempo nel riavviare la tradizionale politica estera del Partito Democratico sulla collaudata base dell’interventismo umanitario. Certo, esso dovrà essere composto con il ribadito impegno multilateralista: ma si sa che questa è pura accademia. In realtà, la Casa Bianca, dopo la parentesi di Trump, si avvia a ricollegarsi al collaudato principio secondo il quale l’interesse del mondo coincide con quello degli Stati Uniti. Quando Renzi, all’indomani della vittoria democratica in USA, aveva acceso la miccia della crisi di governo, qualche osservatore un po’ più attento aveva pur fatto notare che tra le frecce ch’egli teneva pronte per il suo arco c’era la possibile nomina a Segretario Generale della NATO: e la NATO da alcuni mesi è in grande fermento (noi seguiamo la cosa ogni settimana) mentre gli USA si apprestano a provocare crisi (per il momento diplomatiche ed economiche) tanto con la Cina quanto con la Russia. L’alibi è sempre lo stesso, i diritti umani, le questioni morali: Hong Kong, Navalny eccetera; e ora si aggiunge anche la denunzia nei confronti dell’Iran che starebbe di nuovo lavorando al nucleare (che per definizione, quado si tratta di quel paese, è sempre e soltanto “militare”, nonostante sia nota la sorveglianza alla quale l’Iran è sottoposto da parte degli organismi internazionali). Inutile replicare che, quanto a diritti umani, certi governi prima di sbirciare in casa d’altri dovrebbero sistemare certe loro magagne, dal carcere di Guantanamo al caso Assange. Ma su ciò i nostri media appaiono singolarmente distratti.
Così come su una piccola cosa, una dichiarazione del tutto normale che il presidente Draghi si è lasciato sfuggire e che non è state ripresa da alcun organo d’informazione: egli ha ripetutamente parlato della necessità di una politica “atlantista” ed “europeista”. Ora, l’atlantismo pesa come un macigno sulle nostre coscienze, sulle nostre libertà e sulle nostre tasche: fino ad ora nessuno osava metterlo in discussione ma nemmeno se ne parlava. Tutto andava avanti così, con la tacita complicità e i pesanti esborsi. Oggi, però, si fa un passo avanti qualificato: ci si schiera esplicitamente in un momento di forte crisi.
Qualcuno potrebbe chiedersi se Draghi non sia per caso un uomo “di fiducia” arrivato “proprio” adesso e “anche” per questo. E qualcun altro potrebbe replicare che magari è arrivato in questo momento soprattutto per questo. Per i prossimi mesi, si prepara un futuro iperatlantista in politica estera e sempre più disposto a una nuova “ammucchiata centrista” in politica interna. Il “connubio” e la “convergenza” sono vecchi arnesi della politica italiana, dall’età sabauda in poi. E alla “serrata al centro” sembrano disposti Berlusconi che guarda sempre più a Renzi come al suo delfino, Renzi stesso e larghe porzioni forse dei politici, senza dubbio degli ex-simpatizzanti pentastellati. Che faranno Salvini e i suoi colonnelli, alcuni dei quali sembrano ben disposti con atterraggio al centro “atlantista ed europeista” autorevolmente auspicato da Draghi?
Magari, c’è una nuova DC nel nostro futuro.
Franco Cardini