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IL TRIBUNALE DEL RAZIONALISMO MATERIALISTA. Di Madame Janus

Venni dallo splendore
e torno allo splendore
cos’è questo?

Hoshin

Pandemos designava ciò che sovrastava il popolo, le genti. Aveva origine dagli Dèi immortali, era semanticamente polivalente, ma era pur sempre la volontà umana, tradotta anche nell’azione politica, che rispondeva ad una situazione inaspettata. L’attestata incapacità di comprendere le antinomie della vita ha preso nuove strade, creando nuovi mostri. Volontariamente o meno.

In un contesto di valori tradizionali la morte è il termine necessario di una dialettica che comporta un vivere rinnovato, fino alla possibilità di una vera e propria trasformazione, di un’esperienza radicalmente altra.

Il razionalismo materialista imperante oggi, la cui origine più diretta è il positivismo ottocentesco, è in comparazione a tradizioni religiose millenarie un nuovo modo di considerare e interpretare il mondo, per cui la vita è intesa un mero accidente dovuto al caso – nella teoria è esplicito che l’evoluzione delle specie è dovuto al caso –  che ha determinato una nuova direzione della volontà umana.

Cos’è l’uomo? Non chi è un uomo, valutazione soggettiva a cui ognuno è chiamato in conseguenza delle esperienze offerte dalla contingenza, alla sensibilità o all’ambizione, al filtro culturale che possiede. Il nuovo mito della materia come origine e scopo di tutto ha portato l’uomo, con il contributo della scienza empirica, dei risultati delle sue applicazioni, e di tutte le teorie meccanicistiche, ad un nuovo orientamento esistenziale, ad essere il proprio produttore di senso, oppure a negare che ne esista alcuno. Un uomo nutrito da nuove angosce e dall’attaccamento feroce a se stesso. Vivere più a lungo possibile, non importa come, pare ormai un dogma. L’uomo è davvero diventato sapiens. E quando le angosce proliferano, un potere costituito può utilizzarle per soggiogare le persone.

Non è questione di negare le acquisizioni della scienza, ma circoscriverne la portata. La scienza non può che essere sicura del proprio metodo di indagine, di ciò che riesce ad osservare e quantificare, dove la verità di oggi non è detto che sia quella di domani. Il metodo determina come si conosce e cosa si conosce. Un’interminabile approssimazione alla realtà – o meglio agli aspetti colti strumentalmente – per cui si può parlare di certezze relative comunque sempre passibili di falsificazione.

Il discorso riverbera in ogni direzione: la decifrazione del reale vincola l’esperienza all’orizzonte in cui identifica il possibile.

L’interesse nell’Europa dell’Ottocento per una comprensione dei fenomeni sensibili che si estendesse oltre l’osservazione del visibile, fu una risposta alle teorie meccanicistiche, all’affermarsi dell’interpretazione positivista e del nuovo mito del Progresso. Emerse il pensiero dei Naturphilosphen – Schilling, Herder, Novalis, ed altri, che richiamavano Leibniz, Paracelso, la teosofia tedesca, e più lontano ancora la dottrina platonica dell’anima del mondo propensi ad un approccio intuitivo per il quale nelle dinamiche del mondo agiscono anche forze non conoscibili dalla ragione, e per il quale la natura non è inerte ma intelligente e in continua interazione con l’uomo a più livelli, trama in cui traspare l’invisibile. Un eco di concezioni molto antiche, per le quali non esisteva un mondo oggettivo indipendente dal modo in cui l’uomo lo comprendeva nel suo esserci e nel suo agire. Il dato empirico poteva essere un indizio, mai un fine. Erano sottintese le potenzialità celate nella mente e nel cuore umano che permettono alle energie divine di intervenire: credere per inverare, grazie alla concentrazione dell’attenzione ottenuta con varie tecniche, agendo per corrispondenze, per simpatia sulla natura.

La ricerca formale degli artisti, etichettati come romantici o decadenti, in opposizione all’accademismo e implicitamente al razionalismo positivista che attraversa l’Ottocento è nell’insieme sospinta anche dall’incremento dell’interesse per l’inspiegabile e per l’occulto, che non di rado coincideva con il desiderio di esperienze disvelanti l’invisibile, una reazione anche al razionalismo che si era propagato nel Cristianesimo dalla Riforma. Karl Huysmans descrive l’arte come decadente partendo dai suoi contenuti: immagini dell’incubo, fantasmi e vampiri, creature che affondano le radici nel folclore riproposte come metafore della mente umana e delle sue alterazioni, sonnambulismo e corpi agonizzanti, ma anche presenze angeliche custodi del sogno, elementi del bestiario medievale, mondi fatati di cavalieri e streghe. Era il rimosso, il Sacro, che si impossessava dell’immaginazione. Quest’arte che ha conosciuto interpreti come Gustave Moreau, Max Svabinsky, August Brömse, František Kupka, Albert von Keller, e molti altri, non mancava di un’espressività sensuale emancipata, palesando il fascino dell’antichità egizia, dei misteri nascosti nei codici alchemici, dei modelli esemplari del ciclo del Graal. Nostalgia per un mondo magico ancora lontano dal frastuono della macchina, una cultura europea non domata dall’eredità dei lumi.

L’homo sapiens è l’animale razionale definito dal positivismo, Tribunale che non ammette appelli, balzato all’onore delle cronache contemporanee. L’homo religiosus è invece abitato dall’intuizione del Sacro, tradotta sia in uno spazio comunitario simbolicamente significativo e quindi reale, in cui l’azione rituale è la conferma di un patto stabilito agli inizi, quanto di un impegno etico, sia nell’ascesi che alimenta il desiderio di una reintegrazione nell’invisibile agli occhi, origine dell’immanente, condizione primordiale, l’estasi, un’impossibilità per la razionalità, giudicata un’illusione o un’impostura per evadere idealmente dalla labilità dell’esistere.

Nonostante esiste un terreno per una parziale conciliazione, vi è uno scarto irriducibile tra l’aspirazione e la consapevolezza dell’homo religiosus e l’intendimento, il sentimento, e gli scopi che poggiano sul razionalismo materialista, acuito nell’azione politica che mira al controllo sociale riscrivendo i paradigmi dei comportamenti consentiti.

Madame Janus

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