UN TENTATIVO DI DECODIFICAZIONE
“Una volta ancora il nostro paese è stato colpito da un attacco terroristico islamista. Una volta ancora questa mattina tre nostri connazionali sono morti a Nizza, nella basilica di Notre Dame e chiaramente è la Francia che è attaccata. Il sostegno di tutta la nazione va ai cattolici”.
Queste le drammatiche parole rivolte dal presidente francese Emmanuel Macron subito dopo l’orribile attentato di Nizza. Il “terrorismo islamista” è indicato come il responsabile; l’attacco è diretto contro la Francia, ma specificamente anche contro i cattolici (e non è la stessa cosa).
Che cosa sta succedendo? La carneficina di Nizza arriva dopo il crimine di Parigi. È la Francia, e (per adesso) solo la Francia sotto tiro? E l’attacco è diretto ai cittadini francesi – come parrebbe dato che il primo colpito è stato un insegnante – o ai credenti cattolici? È possibile, dietro le squallide figure dei fanatici esecutori, delineare l’immagine dei mandanti, o siamo in presenza di un proliferare di azioni criminali insensate, perpetrate da fanatici isolati, prive di coordinamento? Che cosa significa con precisione “attacco terroristico islamista”? Ormai dovrebbe esser chiaro a tutti che l’aggettivo “islamista” non è più sinonimo di musulmano. Il musulmano è il fedele della religione islamica, ormai quasi un miliardo e settecento milioni di persone. L’islamista è viceversa un estremista politico-religioso impegnato nel provocare lo scontro violento tra Islam e resto del genere umano: le due roccaforti delle centrali islamiste sono identificabili nelle due organizzazioni di al-Qaeda e del Daesh, detto anche ISIS, in concorrenza tra loro ma entrambe appartenenti al mondo musulmano-sunnita: i musulmano-sciiti, forti soprattutto in Iran, hanno sì organizzazioni militari (come gli Hezbollah libanesi) ma non compiono attentati terroristici e i capi delle loro confraternite sono concordi (come del resto quasi tutti quelli dei gruppi sunniti) nel condannare il terrorismo assassino.
Le notizie provenienti dalla Francia ci hanno colto, ammettiamolo, di sorpresa. Erano alcuni mesi che di “terrorismo islamista” non si sentiva più parlare. Si sa, le notizie non circolano e non hanno rilievo tanto in funzione della loro importanza obiettiva, quanto del peso che questo o quel centro di opinion making hanno interesse a dare a ciascuna di esse. Ora, gli esperti e gli osservatori più attenti sapevano e sanno bene che i gruppi islamistico/jihadisti hanno continuato ad essere attivi e a colpire: soprattutto in Afghanistan, in Pakistan, in Iraq, in Siria, in Africa: insomma, nel mondo totalmente o prevalentemente musulmano. Lì ci sono stati anche episodi recenti di un’agghiacciante terribilità: ci sono andati di mezzo, speso, dei bambini. Ma l’opinione pubblica occidentale non era e/o non è interessata a tutto ciò: tutte le vittime sono uguali, certo, ma vi sono di più e di meno “uguali” delle altre.
A ciò aggiungiamo che, nel mondo vicino- e mediorientale, negli ultimi mesi si sono verificati alcuni eventi in relazione ai quali si è pensato che fosse opportuno, come si diceva una volta in tram, “non parlare al manovratore”. In Afghanistan e in Iraq si sono avviati colloqui tesi a uscire dalla guerra civile endemica, come del resto è accaduto per la situazione caucasica allorché Putin ha invitato a Mosca rappresentanti azeri e armeni proponendosi quale mediatore.
Ma nel Vicino Oriente è in atto una manovra ancora più importante. Si sta organizzando, ed è già a buon punto, una grande alleanza tripartita fra Stati Uniti, Arabia Saudita e Israele per la pacificazione definitiva dell’area. Anche gli emirati della penisola arabica sono stati invitati al tavolo delle trattative, e l’Egitto resta in posizione di attesa. Ora, sappiamo per certo che sia al-Qaeda sia Daesh ricevevano appoggio economico e militare da ambienti arabi anche vicini ad alcuni di questi governi che ora puntano a una politica di pace: e ci sono sul tappeto grossi e golosi piatti, quali la questione dei gasdotti mediterranei. Per cui è normale che certi gruppi terroristici, in realtà non troppo lontani dai centri di potere, adesso tacciano o vengano fatti tacere. Resterebbe semmai l’incognita dei palestinesi, gli esclusi, probabilmente le vittime che saranno isolate e lasciate a piedi in seguito alla convergenza arabo-israeliana favorita dagli USA. Ma i palestinesi non interessano a nessuno e nessuno li tutelerà.
Senonché, a questo festino della pace futura manca qualcuno. C’è un Convitato di Pietra. O, se preferite, una “fatina cattiva” che non è stata invitata. È il leader turco Erdoğan, che non a caso ha immediatamente accusato Macron di aver acceso lui la miccia del nuovo scontro adottando nel suo paese misure che hanno umiliato i credenti musulmani. E, diciamo la verità, in ciò può aver avuto qualche ragione, anche se in Occidente tutti hanno fatto quadrato attorno all’Eliseo, dimenticando che la politica di Macron è anche pesantemente “laicista”, il che non offende solo i musulmani.
Comunque il gioco del “sultano” è chiaro: ed è in linea con il ritorno di Santa Sofia al suo ruolo di moschea. Erdoğan vuole riempire un vuoto che in questo momento l’Arabia Saudita ha lasciato vuoto, presentandosi come il paladino dell’Islam sunnita: contro “l’eresia” sciita, certo, ma anche contro la “blasfemia” occidentale. Ma il leader turco è troppo abile per compromettersi contro il terrorismo. E ha presa sulla diaspora turca, anche se molto meno con gli arabi e i maghrebini.
D’altronde, da dove possono venire i nuovi adepti del terrorismo armato? In parte, lo sappiamo: sono i frustrati delle banlieues, soprattutto i giovani senza istruzione e senza lavoro, e quelli dell’ultima generazione d’immigrati: a volte aizzati da imam che vengono dagli ambienti fondamentalisti (e qui Macron ha ragione a chiedere controllo e chiarezza), ma altre al contrario privi anche d’istruzione religiosa e che non frequentano le moschee.
E il sindaco di Nizza Christian Estrosi, con i suoi toni duri e l’abusata ma anche fantasiosa etichetta di islamo-fascismo (già usata in qualche ambiente fondamentalista-occidentalista, ma con scarso effetto)? Folklore: Estrosi fa la faccia feroce e mostra i muscoli perché da una parte ha paura di perdere consensi “a destra”, dall’altra vuol evocare lo spirito resistenziale contro quello che Umberto Eco ha chiamato Il fascismo eterno in uno dei suoi ultimi scritti che, francamente, non è dei suoi migliori.
L’attentatore di Nizza, Brahim Aoussaoui, un tunisino di 21 anni, era sbarcato a Lampedusa alla fine del settembre scorso. Agli inizi di ottobre era stato bloccato grazie ai controlli e portato in Puglia per le procedure di identificazione dei cittadini extracomunitari. Dopo la fotosegnalazione effettuata a Bari, era stato inserito nei terminali per “illecito ingresso in territorio nazionale”. Nei suoi confronti era stato emesso un decreto di respingimento del prefetto di Bari, accompagnato da un ordine del questore ad abbandonare l’Italia entro sette giorni, ma non era stato disposto il trasferimento in uno dei Centri per i rimpatri poiché non c’erano segnalazioni. Non è mancata, ovviamente, la strumentalizzazione politica dell’attentato, con la Lega di Salvini pronta a porre sul banco degli imputati il ministro degli Interni, Luciana Lamorgese, una polemica della quale avremmo fatto volentieri a meno.
Qualsiasi “etichetta” destinata a ridurre il terribile episodio a una singola voce nel catalogo degli orrori rischia di condurci fuori strada. In un’interessante intervista pubblicata su Formiche.net qualche giorno prima dell’attentato, il sociologo francese Olivier Roy, uno dei massimi esperti di terrorismo “islamista” al mondo, riferendosi all’omicidio del professore di liceo Samuel Paty per mano di un jihadista ceceno, continua a non credere allo “scontro di civiltà”. Il vaso, secondo lui, è “traboccato” con la decisione di Macron di schedare gli Imam, all’interno della quale si inseriscono le tensioni tra il presidente francese e Recep Tayyip Erdoğan, che “sta usando la leva religiosa e quella dell’immigrazione per tenere sulle spine l’Europa”. Non esiste, secondo Roy, una matrice terroristica organizzata: “Sono lupi solitari. Fino al 2015 il terrorismo islamista in Francia aveva chiare connessioni con la jihad all’estero e gruppi come Al Qaeda o Daesh. Da allora i protagonisti sono singoli individui, che usano armi artigianali come i coltelli e non hanno a disposizione potenti esplosivi. Gran parte delle cellule dormienti non è riemersa”.
In Francia, sempre secondo Roy, è in corso uno scontro tra laicità e religione, un aspetto che va ben oltre l’Islam. Non dimentichiamo che Macron, subito dopo l’attentato, ha espresso prima di tutto solidarietà e sostegno a “tutti i cattolici”. Ipocrisia? Probabilmente sì. “La stretta di Macron sulle scuole religiose riguarda anche i cattolici. Questa rigidità sta consegnando le chiavi della religione ai radicali e non permette all’Islam mainstream di farsi spazio”, continua Roy. Che spiega così il fatto che tali episodi non si manifestino nel nostro paese: “Ci sono due ragioni. Il primo è l’assenza di una seconda generazione di immigrati. È qui che si rifugiano i radicalizzati in Europa. Il secondo tocca al cuore il problema francese: in Italia la religione è accettata, non censurata. Questa è la chiave per mettere all’angolo gli estremisti”.
Roy si rifà dunque al problema dell’“islamizzazione del radicalismo”, piuttosto che della “radicalizzazione dell’Islam”. Al problema degli arrabbiati, dei disadattati, degli sbandati, dei disperati, dei disorientati – vuoti e disperati dentro –, “vittime” del nostro Occidente sempre più proteso verso il benessere da una parte e fonte ormai inesauribile di infelicità dall’altra. Brahim Aoussaoui, l’attentatore di Nizza, si era avvicinato alla religione da circa due anni, isolandosi quasi completamente. Di famiglia molto povera, lui stesso era un emarginato che annebbiava la coscienza tra alcol e droga. Nulla, ovviamente, può giustificare l’orrore del quale si è macchiato. Ma è pur vero che liquidare il triplice omicidio come un “attacco all’Occidente”, un “attacco alla Cristianità”, un attacco alla Francia o, più in generale, all’Europa, rischia di trasformarsi in un abbaglio. E il gesto di un folle isolato non può neanche essere etichettato come terrorismo, tantomeno “islamico”. Non sappiamo, ovviamente, quale possa essere stata la scintilla che ha scatenato la sua follia omicida: se le vignette pubblicate da “Charlie Hebdo” – la cui “libertà di stampa” è stata più volte sostenuta e garantita dallo stesso presidente Macron –, se la sua disperazione, se un cieco desiderio di vendetta senza nome. Quella “scintilla” di cieca violenza che, in definitiva, ne richiama tantissime altre, almeno tra quelle che trovano ampio spazio sui media e che, in fin dei conti, non hanno ancora una risposta: le stragi nelle scuole, per esempio, da Columbine a Parkland negli Stati Uniti. L’ultima da citare è accaduta proprio stanotte, durante la festa di Halloween, a Quebec City, in Canada, dove un ventenne – da notare l’età degli attentatori, giovanissima –, in abiti medievali e apparentemente armato di una spada, ha ucciso due persone ferendone altre cinque (queste sono le notizie aggiornate nel momento in cui scriviamo). Pista terroristica, gesto di un folle sono le due “ipotesi” al vaglio degli inquirenti. E se invece esistesse un denominatore comune tra Nizza, Quebec City e moltissimi altri luoghi dell’orrore? Da ricercare, magari, in un disagio crescente che contamina l’esistenza delle giovani generazioni alienate, senza scopo e senza futuro, radicando in loro il seme della follia? L’errore più grande che possiamo fare è voltarci dall’altra parte e liquidare il tutto con una semplice e comoda etichetta. Per esempio, l’orrore di Nizza come una delle tante conseguenze del “fenomeno migratorio”.
Franco Cardini e David Nieri