Al generale François-Athanase Charette de la Contrie (1763-1796), detto il Re della Vandea, è attribuito un discorso che ad oggi, nella sua brevità essenziale, è considerato una delle più significative distinzioni tra la visione tradizionale e concreta della patria, prodotto della civiltà cattolica, e la concezione moderna della patria, astratta e figlia delle teorie illuministe: «La nostra patria sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi. La nostra patria è la nostra Fede, la nostra terra. Ma la loro patria, che cos’è? Lo capite voi? Vogliono distruggere i costumi, l’ordine, la tradizione. Allora, che cos’è questa patria che sfida il passato, senza fedeltà, senz’amore? Questa patria di disonore e irreligione? Per loro, sembra che la patria non sia che un’idea; per noi, è una terra. Loro, ce l’hanno nel cervello: noi la sentiamo sotto i nostri piedi, è più solida. È vecchio come il diavolo il loro mondo che dicono nuovo e vogliono fondare sull’assenza di Dio. Si dice che siamo i fautori delle vecchie superstizioni…fanno ridere! Ma di fronte a questi demoni che rinascono di secolo in secolo, noi siamo la gioventù, signori! Siamo la gioventù di Dio. La gioventù della fedeltà!»
Le popolazioni della Vandea, insieme a quelle di altri dipartimenti vicini, furono protagoniste di una strenua resistenza controrivoluzionaria in opposizione al nuovo governo di Parigi. I vandeani accolsero con sdegno l’oltraggiosa esecuzione di Luigi XVI il 21 gennaio 1793, e già l’anno precedente vi erano stati i primi sollevamenti popolari. La grande insorgenza scoppiò nel marzo del 1793, dopo che la Convenzione Nazionale aveva imposto la leva obbligatoria per 300000 uomini e gli attacchi alla Religione erano divenuti insopportabili. Seppur male armati, i ribelli cattolici vinsero più volte i soldati rivoluzionari, ma infine, con la battaglia di Savenay (23 dicembre 1793), le armate repubblicane riuscirono ad avere la meglio sui rivoltosi; ne seguì l’atroce repressione protrattasi dall’estate del 1793 alla primavera del 1794. Grande in Europa fu lo scandalo per le stragi compiute in quelle terre, anche in Italia quelle notizie tremende non caddero nel silenzio e nel 1799 fecero esclamare allo scrittore legittimista Vittorio Barzoni (1767-1843)[1]: «Dio immortale! Ma che avea fatto a que’ Mostri la Vandea per meritarsi un sì terribile eccidio!»[2]
In realtà vari gruppi di «vandeisti»[3] rifiutarono di arrendersi e proseguirono la guerra sino al trattato di La Jaunaye (17 febbraio 1795). Le ostilità ripresero nuovamente nel 1795 e il 24 giugno ebbe inizio la seconda guerra di Vandea, destinata a protrarsi per un anno.
Con il nome di Vandea Militare si indicava un’area che copriva i dipartimenti della Vandea, della Loira Atlantica, di Maine-et-Loire e delle Deux-Sèvres.
La successiva guerra, la terza, iniziò il 26 ottobre e si concluse con l’armistizio di Pouancé, il 17 dicembre 1799.
La quarta guerra di Vandea cominciò nel marzo del 1813 e conobbe una tregua quando, il 6 aprile 1814, salì sul trono Luigi XVIII (1755-1824). Tuttavia, dopo il ritorno al potere di Napoleone con i Cento Giorni (20 marzo-8 luglio 1815), il 15 maggio 1815 la guerra riprese e seguitò sino alla battaglia di Waterloo (18 giugno 1815).
L’emblema che ha reso celebre la controrivoluzione della Vandea è il cuore rosso in campo bianco sormontato dalla Croce: esso simboleggia i Sacri Cuori di Gesù e Maria, ai quali i vandeani rivolgono un culto particolare che risale all’attività missionaria iniziata nel 1711 da San Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716)[4], che scrisse: «Avranno in bocca la spada a due tagli della parola di Dio e porteranno sulle spalle lo stendardo insanguinato della Croce, il crocifisso nella mano destra, la corona nella sinistra, i sacri nomi di Gesù e di Maria sul cuore, la modestia e la mortificazione di Gesù Cristo in tutta la loro condotta. Ecco i grandi uomini che verranno e che Maria formerà su ordine dell’Altissimo, per estendere il suo dominio sopra quello degli empi, idolatri e maomettani»[5].
Nello scorso secolo, l’archeologo e incisore Louis Charbonneau-Lassay (1871-1946) si è dedicato all’analisi degli emblemi dei combattenti vandeani; 3 anni fa la casa editrice Il Cerchio ha ripubblicato il suo libro Simboli templari Il Sacro Cuore del Torrione di Chinon attribuito ai Cavalieri del tempio e oggi propone ai suoi lettori una nuova traduzione del saggio Simboli della Vandea Emblemi ed insegne dell’armata controrivoluzionaria, che raccoglie diversi articoli dello studioso apparsi sulla rivista Regnabit.
Come è stato anticipato, in Vandea le prime tensioni nacquero all’inizio del 1792, il 27 luglio di quell’anno i “patrioti”[6] di Bressuire cercarono di imporre la coccarda tricolore agli abitanti dei paesi limitrofi, evento che generò i primi spargimenti di sangue. Allora, chiarisce Charbonneau-Lassay, il Sacro Cuore doveva ancora fare la sua comparsa sui campi di battaglia. Il 19 agosto, i contadini vandeani invocarono «il ristabilimento della piena autorità del Re come il solo mezzo per restaurare l’ordine sociale e la libertà religiosa. Gli insorti si diressero ben presto verso il castello di Pugny, residenza del Marchese di Mauroy, già colonnello del reggimento del Medoc, per eleggerlo loro capo […]. Non lo trovarono, ma ottennero dal suo sovrintendente la bandiera del vecchio reggimento: di seta bianca tempestata di gigli d’oro, con al centro le insegne reali. La scritta Vive le Roi che vi si legge a tutte maiuscole potrebbe esser stata aggiunta successivamente»[7], fu questo il primo stendardo dei combattenti cristiani. Nella Francia dell’Ovest i Blancs (i cattolici) si opposero ai Bleus (i rivoluzionari); accanto ai rosari e alle croci comparvero quindi le coccarde e le sciarpe bianche, che da quel momento sino al secolo successivo divennero un segno di riconoscimento dei legittimisti. Più tardi, «Due soli mesi dopo la morte del Re, il 13 marzo [1793], un contadino di un piccolo villaggio nell’Anjou, Jacques Cathelineau, di Pin-en-Mauges, riunì nella propria fattoria i ventisette giovani della sua parrocchia coscritti per l’arruolamento e li fece giurare di esser disposti a morire piuttosto che servire la Repubblica persecutrice; essi l’acclamarono loro capo e poi, come lui, si misero un rosario attorno al collo e si cucirono sul risvolto del vestito un Sacro Cuore»[8]. Si trattava perlopiù di piccole pezze, talvolta realizzate con mezzi di fortuna, ma la gloriosa battaglia era cominciata.
Furono molti gli uomini e le donne che negli anni furono condannati a morte per aver confezionato o distribuito dei Sacri Cuori e nei capitoli del testo è mostrata più volte l’eterogeneità di queste effigi (spesso chiamate impropriamente “scapolari”)[9], di cui l’iconografo chiarisce e distingue le origini e i significati.
Il libro dello storico francese è corredato da immagini inedite, a suo tempo raccolte pazientemente presso svariati archivi e collezioni; fra questi ritrovamenti spicca il diploma dell’Ordine di San Michele degli Chouans che può aiutare a far luce sulla presenza di una società (più o meno segreta) costituitasi tra i ranghi dei realisti. Un paragrafo è dedicato anche al Cuore del Poitou: «da almeno due secoli si era diffuso nel Poitou un gioiello locale, unico nel suo genere […]: è il Cuore del Poitou, semplice o doppio, oggi noto con l’errata denominazione di “Cuore vandeano”. Dico “errata” in quanto questo gioiello è più antico della creazione del termine geografico Vandea, e inoltre venne anticamente portato sia nella diocesi di Poitiers che nell’odierno territorio di quella di Luçon»[10].
Lo studioso si spinge sino alla spedizione della Duchessa di Berry, Maria Carolina di Borbone (1798-1870), che nel 1832 cercò l’appoggio dei vandeani a favore di suo figlio Enrico V (1820-1883), Conte di Chambord, contro l’usurpatore Luigi Filippo di Borbone-Orléans (1773-1850). Un nuovo tentativo di rivolta che però non ebbe il successo sperato e si concluse con una sconfitta.
Frutto del lavoro di un simbolista di primo livello, Simboli della Vandea costituisce un valido strumento interpretativo da affiancare a una storia completa dell’insorgenza francese.
Riccardo Pasqualin
[1] Riguardo la figura di questo polemista reazionario chi scrive si permette di rimandare a R. PASQUALIN, Il Leone di Lonato Saggi su Vittorio Barzoni (1767-1843), Il Torchio, Padova 2019 (di cui prossimamente è prevista una seconda edizione).
[2] VITTORIO BARZONI, Memorabili avvenimenti successi sotto i tristi auspicj della repubblica francese, edizione prima, Andreola, Venezia 1799, p. 88.
[3] Così si usava scrivere all’epoca, si veda ad esempio la traduzione italiana del libro di Walter Scott (1771-1832) Quadro della rivoluzione francese, pubblicata nel 1827.
[4] Si veda soprattutto il suo Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, che però fu pubblicato solo nel 1843: «Maria è il mezzo più sicuro, più facile, più breve e più perfetto per andare a Gesù Cristo, e si offriranno a lei anima e corpo, senza nessuna riserva, per appartenere nello stesso modo a Gesù Cristo.
Ma chi saranno questi servi, schiavi e figli di Maria? Saranno fuoco ardente, ministri del Signore, che metteranno dappertutto il fuoco del divino amore, saranno frecce acute nella mano potente di Maria per trafiggere i suoi nemici come frecce in mano a un eroe».
[5] LUIGI MARIA GRIGNION DE MONTFORT, Trattato della vera devozione alla Santa Vergine.
[6] Questo era il titolo che si erano attribuiti i rivoluzionari.
[7] LOUIS CHARBONNEAU-LASSAY, Simboli della Vandea Emblemi ed insegne dell’armata controrivoluzionaria, Il Cerchio, Rimini 2020, pp. 16-17.
[8] L. CHARBONNEAU-LASSAY, op. cit., p. 18.
[9] In origine lo scapolare era la sopravveste da lavoro utilizzata dai monaci benedettini per non consumare l’abito monastico. Successivamente il termine è andato a indicare la lunga striscia di stoffa rettangolare, pendente sul petto e sulla schiena (e talvolta munita di un cappuccio), indossata dai religiosi di alcuni ordini monastici.
[10] L. CHARBONNEAU-LASSAY, op. cit., p. 64.