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I QUADERNI DI AVALLON. IL TAMBURO E L’ESTASI. Di Madame Janus

La categoria di “sciamanico” è da tempo utilizzata da etnologi, antropologi, e studiosi delle religioni, in contesti ben lontani dalla sua iniziale collocazione tra popolazioni altaiche e siberiane. La parola diffusa dall’inglese shaman, derivata dal russo šaman, è stata presa in origine dalla lingua tungusa parlata nell’Asia settentrionale. Con questo termine, rapportabile anche se non equivalente ad altri nelle lingue dei popoli abitanti le zone più disparate del globo, adottato per comodità di schema e semplificazione, vengono indicate tutte quelle tecniche, in differenti ambiti culturali, che portano a un non ordinario stato di coscienza, sia che questo venga realizzato con l’assunzione di sostanze psicotrope, prese con tempistiche ben codificate, che modificano la capacità percettiva e cognitiva, sia che venga ottenuto con il digiuno, l’isolamento, la mortificazione corporea per deprimere le sostanze fisiche, o con la frenesia di movimenti ripetitivi e ritmati da canti o da suoni, per eccellenza quello del tamburo. Tamburo che può essere costituito da materiali e forme diverse a seconda delle tradizioni locali, e che presso taluni popoli racchiude un complesso simbolismo cosmologico. Quel che conta comunque è che lo sciamano sia in grado di trascendere l’esperienza ordinaria entrando nell’invisibile mondo degli spiriti, per ottenere un nuovo modo di vedere e conoscere incarnando così un potere. Lo sciamano diviene tale per elezione, dopo una visione lucida o dopo un sogno che lo richiama alla vocazione, concomitante di solito a una drammatica crisi esistenziale, seguita di norma da un tirocinio con uno sciamano più anziano che gli consente di stabilizzare quella intuitività e sapere che lo rende capace di mediare tra il mondo naturale e il mondo soprannaturale. Questo è di per sé di valore morale neutro, può essere impiegato per gli scopi più diversi, messo a disposizione della comunità e reso intelligibile nelle procedure e nei suoi effetti dalla struttura culturale. Uno sciamano è infatti anche un guaritore, assistito da uno o più spiriti guida che lo conducono nei casi felici ad estirpare le cause della malattia nel mondo ultraterreno. Non si può per altro dimenticare che la parola “sciamano” ha anche spesso indicato, a causa di un pregiudizio razionalista, tutti quei personaggi fortemente ambigui, spesso ciarlatani, che con il pretesto di guarire o risolvere problemi mirano a un lucroso guadagno.

Secondo Eliade, di cui si deve ricordare il lavoro ineludibile sullo sciamanesimo, l’aspetto centrale della questione è che si tratta tra i popoli più diversi di tecniche dell’estasi. A ben vedere l’idea di sciamanico così proposta, ed accettata anche in questo interessante numero dei Quaderni di Avallon, include ogni aspetto magico-religioso che travalica la coscienza ordinaria, cosa che rende impossibile incontrare una religione che non presenti l’elemento sciamanico. La ricerca dell’estasi attraverso l’ascesi è pratica universalmente nota. Non può lasciar spazio al dubbio che la casta sacerdotale nelle grandi religioni nasca anch’essa a scopo di mediazione, intesa quantomeno in origine come tramite del potere di vivificare il rituale e di attualizzarne le premesse. In assenza di questo concreto potere il culto decade in quel formalismo il cui valore rimane affettivo e simbolico, costitutivo comunque di un orientamento etico comunitario. Luigi de Anna afferma nel suo condivisibile intervento nei Quaderni che «lo sciamanesimo è radicato nel profondo di ogni civiltà, ma col progredire dell’acculturazione in Occidente, esso comincerà a indicare la diversità dei popoli “primitivi” rispetto al modello dominante considerato essere “civile”».

Ridurre lo sciamanesimo a quella che genericamente viene intesa come magia o stregoneria, per non dire dell’accostamento a credenze folkloriche nei vampiri o nei lupi mannari, è un errore causato dall’idea che lo sciamano possegga poteri miracolosi, tra cui il dono di volare, l’ubiquità, e che possa cambiare di forma e presentarsi talvolta in sembianze animali, una credenza popolare e persistente in talune etnie. Queste metamorfosi vanno ad indicare stati di coscienza alterati durante il “volo” ultramondano dello sciamano. Che da questi stati di coscienza possano verificarsi apparizioni di vario genere nella materia, non può sorprendere perché in tutte le credenze arcaiche la realtà, con i suoi molteplici livelli comunicanti, non è ricondotta al solo mondo corporeo. In Europa è piuttosto al remoto tempo dei druidi che bisogna guardare, o ancora a pratiche divinatorie diffuse in ambito etrusco, greco, e romano, se si vuole rintracciare modalità che paiono vicine allo sciamanesimo. Analogie che ricorda Andrea Piras nel suo contributo nei Quaderni sono rinvenibili anche nell’antica Persia, ad esempio nei riti esorcistici che utilizzavano le piume di falcone, o esplicitamente nell’invocazione di Zarathustra che impetrando il favore divino chiede di ottenere la vista penetrante del cavallo, del pesce e dell’avvoltoio.

La comparazione diviene senz’altro più stringente tra lo sciamano artico, il curandero peruviano o il medicine man, l’uomo sacro, dei nativi nordamericani. Un tratto essenziale rinvenibile in comune è quello d’intendere il mondo umano non chiuso in se stesso, ma in continua e reciproca influenza con il mondo degli spiriti, nell’interazione con potenze invisibili senza età che alcuni uomini particolarmente dotati possono conoscere e utilizzare armonizzandosi con esse. Così non sorprende che tra gli eschimesi il successo di una caccia o di una pesca dipendeva dall’aver correttamente svolto il rituale per attirare il favore degli spiriti tutelari degli animali, non meno che dal comportamento e dal pensiero della donna rimasta lontana dall’azione. Questo aspetto d’interdipendenza condotto fino all’estremo dell’irragionevolezza è un’altra chiave di lettura necessaria per accostarsi a tutti i popoli cosiddetti primitivi. La collocazione geografica, il fronteggiare risorse limitate di un territorio, l’asperità o meno della natura, la presenza di certi animali e non di altri, il tipo di economia, se caratterizzata dall’agricoltura o dal nomadismo, hanno sempre avuto un ruolo determinante nel racconto mitico e nello strutturare le credenze. Come d’altronde l’istruzione orale, per cui nel rituale conoscere le giuste parole e la giusta intonazione di un canto risveglia alla presenza del sacro. Un altro aspetto determinante dello sciamanesimo è dunque la sua collocazione culturale, poiché è difficilmente pensabile tradurre fuori dal contesto in cui sono nate le tecniche che gli sono proprie.

Madame Janus

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