Vincent Lambert è un infermiere oggi quarantaduenne ospedalizzato perché tetraplegico a seguito di un incidente stradale avvenuto il 29 settembre 2008 e da allora in stato definito “gravemente vegetativo“ dall’équipe medica che lo segue e ne propone l’eutanasia mediante interruzione di alimentazione e idratazione, e, invece, di ”coscienza minima” dai familiari ostinati a mantenerlo in vita. Al di là delle definizioni, il dato certo è che Lambert non comunica col mondo esterno pur se vi sono indizi di qualche sua percezione, deve essere idratato e alimentato artificialmente, ma non è in fin di vita né affetto da malattia (nel senso proprio del termine) grave, incurabile o degenerativa. Per lui la Francia, fra ospedali, politica e giustizia, sta vivendo il suo caso Terry Schiavo o Eluana Englaro. Più Terry Schiavo, perché, come per la giovane americana, a volerne la soppressione è il coniuge, mentre i genitori si oppongono a una soluzione che appare sempre più prossima, dal momento che il dottor Vincent Sanchez, a capo dell’unità cerebrolesi dell’ospedale di Reims, ha informato la famiglia che “la sospensione dei trattamenti” (così definisce alimentazione e idratazione artificiale) “e la sedazione profonda e continua evocata dalla procedura collegiale avranno inizio nel corso della settimana del 20 maggio”.
Quella che si prospetta come la fase terminale dell’esistenza di Vincent Lambert ha avuto inizio mercoledì 24 aprile 2019 quando il Consiglio di Stato francese ha respinto l’appello dei genitori contro la sentenza del Tribunale amministrativo di Chalons-en-Champagne, che a gennaio aveva ritenuto conforme a legge la richiesta dell’équipe medica di interruzione di trattamenti attribuiti ad “ostinazione irragionevole”. Non ha avuto migliore fortuna la richiesta di sospensiva, respinta il 30 aprile dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che sul caso si era già pronunciata a favore dell’eutanasia il 5 giugno 2015 con una sentenza non unanime e all’epoca aspramente criticata dai giudici dissenzienti, spintisi ad affermare che la Corte ha perso il diritto di definirsi “coscienza d’Europa”.
A porre un inatteso ostacolo sul cammino verso la morte è intervenuto, il 4 maggio, il Comitato dei diritti delle persone handicappate, un organo con sede a Ginevra, che ha chiesto a Parigi di bloccare la sospensione di alimentazione e idratazione per il tempo necessario allo studio del caso, come previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’assemblea generale dell’ONU il 13/12/2006 e ratificata dalla Francia. Tuttavia non è affatto certo che il governo francese se ne darà per inteso. La ministra della Sanità, Agnès Buzyn, ha replicato che “giuridicamente parlando tutti i ricorsi sono stati esauriti e tutte le istanze giurisdizionali, sia nazionali che europee, hanno confermato che l’equipe medica incaricata della pratica è in diritto di interrompere le cure”. Quanto al Comitato dell’Onu, coinvolto dai familiari, ma che “si occupa di handicappati e non di persone in stato vegetativo come Vincent Lambert e ha chiesto di differire l’interruzione delle cure in base alla sola versione dei genitori, noi non siamo legalmente obbligati dalle richieste del Comitato, ma ovviamente terremo conto di quanto dice l’ONU e daremo una risposta”.
Se fosse una sentenza, esposto il fatto, sarebbe il momento di passare al diritto, iniziando dalla constatazione che in effetti i provvedimenti del Comitato handicappati non sono direttamente esecutivi negli ordinamenti giuridici degli Stati aderenti. Per altro come quelli della CEDU, sicché sarebbe irrazionale che la Francia, dopo avere richiamato a sostegno della propria posizione “l’istanza giurisdizionale europea” (appunto la CEDU), rifiutasse quella, “mondiale”, del Comitato, nei cui confronti ha analoghi obblighi, volontariamente assunti con la ratifica di una Convenzione, che, appunto in quanto mondiale, potrebbe essere considerata più vincolante di una soltanto continentale. Quanto al sospetto di incompetenza avanzato dalla Buzyn con la distinzione fra persona handicappata e persona in stato vegetativo è ovvio che la decisione spetta al Comitato. Al momento la concessione della misura cautelare della sospensione lascia intendere che il Comitato ritiene il ricorso conforme, quanto meno sotto il profilo formale e ad un primo esame, ai richiesti criteri preliminari di ricevibilità.
L’ipotesi più verosimile è che Parigi, prima di dare la risposta “a quanto dice l’ONU” lasci il tempo al dott. Sanchez di portare a compimento “la sedazione profonda e continua” del suo assistito, riservandosi magari di addebitargli in seguito un’eccessiva frettolosità. Se invece terrà fede agli impegni assunti con la ratifica e si avvarrà del previsto termine di sei mesi per le proprie deduzioni la questione della ricevibilità dovrà essere oggetto di un esame più approfondito. Corte e Comitato concordano, difatti, nel ritenere irricevibili i ricorsi riguardanti un caso già esaminato (o in corso d’esame) pur non se non sono mancate le deroghe specie in presenza di ricorsi diversamente motivati[1]. E’ questo un punctum dolens
Quanto al merito (se ci si arriverà) tutto sembra dipendere dalla soluzione di un quesito, sovrapponibile a quello proposto dalla Buzyn ai fini della competenza, da affrontare prima in fatto, con un accertamento tecnico, poi in diritto. In fatto, per stabilire se la situazione in cui versa Vincent Lambert sia scientificamente definibile di “stato vegetativo” o invece, supposto che la distinzione sia scientificamente valida, di “coscienza minima” (non è escluso che il Comitato possa ritenere superfluo tale accertamento col fare propria la definizione di “stato vegetativo” già recepita dalla CEDU). In diritto, per accertare se la situazione del Lambert comunque definita (anche lo “stato vegetativo” può configurarsi come handicap) lo collochi fra i soggetti che hanno diritto all’applicazione della Convenzione. Accertamento potenzialmente risolutivo di tutti gli aspetti della questione, inclusa la controversa problematica (non affrontata dalla CEDU nella decisione del 2015) sulla natura o non di “trattamenti sanitari” dell’alimentazione e dell’idratazione forzate, dal momento che l’art. 25/lettera f) della Convenzione obbliga gli Stati a “prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di cure e servizi sanitari o di cibo e fluidi”.
Francesco Mario Agnoli
P.S.: Con professionale sollecitudine il mattino del 20 maggio l’équipe sanitaria che ha in cura Vincent Lambert gli “ha staccato la spina”, come hanno riferito, soddisfatti, i mass-media (in realtà non c’erano spine da staccare, semplicemente sono state interrotte alimentazione e idratazione, dando inizio al processo di morte per fame e sete). Quanto al Comitato dell’ONU Macron ha detto che un presidente della Repubblica non si occupa di queste cose. Inaspettatamente se ne sono invece occupati i giudici della Corte d’Appello parigina, che, o più rispettosi della vita umana o più sensibili agli obblighi internazionali della Francia, hanno accolto l’estremo ricorso dei genitori e ordinato l’immediato ripristino di alimentazione e idratazione.
[1] Non è questa la sede per approfondire un aspetto che non riguarda direttamente il caso Lambert, ma sembra opportuno segnalare i problemi posti dal moltiplicarsi di istanze giurisdizionali non organicamente collegate fra loro, con conseguente possibilità di conflitti e, per i soggetti interessati di scegliersi, il giudice che più gli conviene. Una situazione per molti aspetti simile è data dalla coesistenza in Europa della Corte di Giustizia europea e della CEDU di cui ci si è occupati in uno scritto in corso di pubblicazione nella versione cartacea di Domus Europa.