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UN'INTERESSANTE SENTENZA SUL DIRITTO ALLA VITA. Di Roberto De Albentiis

L’Italia, da due anni e precisamente dal 22 dicembre 2017 con la l. n. 219, ha introdotto nel proprio ordinamento le c.d. dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT), o come sono informalmente note “testamento biologico”, al termine di una lunga e polemica discussione, peraltro non chiusa e più che mai attuale; presentate dai suoi estensori (il governo democratico Renzi) come un qualcosa di diverso dall’eutanasia – anche per tranquillizzare l’elettorato cattolico in vista delle successive elezioni politiche, il quale a queste ultime si è ben ricordata di tutte le leggi non certo cattoliche targate PD – e, all’opposto, dalla parte pro-life come una sorta di via italiana all’eutanasia e, infine, dai radicali, come un qualcosa simile ad un primo passo verso l’eutanasia stessa, esse sono piuttosto la dimostrazione di come, volendo accontentare tutti, si finisca in realtà per scontentare tutti e pure perdere le elezioni, così come sono la dimostrazione della veridicità del piano inclinato: difatti, una volta e nonostante tutto approvate, esse si sono rivelate insufficienti, ed ecco quindi radicali ed esponenti del M5S presentare proposte e ddl per introdurre l’eutanasia vera e propria (vedasi qui  https://www.repubblica.it/cronaca/2018/10/25/news/mantero_m5s_ecco_il_mio_disegno_di_legge_sull_eutanasia_-209961499/ ).

Se dal punto di vista civilistico la situazione è questa, dal punto di vista penalistico assistiamo al rischio di vedere dichiarato incostituzionale l’art. 580 c.p. (istigazione o aiuto al suicidio), la norma codicistica che, assieme all’art. 579 c.p. (omicidio del consenziente), aveva sempre disciplinato i casi di eutanasia e guidato il giudicante nel dirimere tali spinose e dolorose questioni; dopo il caso e il processo di primo grado riguardante la morte in Svizzera di Fabiano Antoniani (DJ Fabo) ad opera di Marco Cappato, la Consulta, cui il Tribunale di Milano aveva introdotto un giudizio di legittimità costituzionale sull’articolo del Codice Penale in questione, ha rinviato la decisione dal mese di ottobre scorso al mese di settembre prossimo venturo. Singolare è non tanto il rinvio, meramente tecnico, ma la quantità di pagine adottate per scrivere una mera ordinanza che richiederebbe poche righe, segno quindi che il tema è dibattuto e non pacifico. Non solo. Stupisce (ma questo pare essere l’andazzo, di sempre maggiore liquidità, relatività e soggettività del diritto, e non più di disciplina oggettiva delle cose) come la Corte, nel pronunciarsi temporaneamente in attesa della discussione definitiva, abbia astratto dal caso concreto che ha dato origine alla questione di legittimità, operando una vera e propria e, a parere dello scrivente, indebita opera ermeneutica di capovolgimento dell’ordine dei fattori, dal momento che è la norma generale oggettiva da doversi applicare prudentemente al caso soggettivo concreto, e non il contrario. Ma c’è di più: la Corte, coerente con il ruolo sempre più creativo, se non veramente legislativo, della giurisprudenza degli ultimi decenni, ha imposto al Parlamento un termine affichè modifichi (in qual senso si capisce bene…) la norma impugnata. Si legga qui la, certo migliore dello scrivente, posizione del Centro Studi Livatino (https://www.centrostudilivatino.it/dj-fabo-e-il-suicidio-assistito-oggi-ludienza-alla-corte-costituzionale/ e https://www.centrostudilivatino.it/a-sei-mesi-dal-d-day-del-suicidio-assistito-non-si-vedono-segnali-di-vita/ ).

Questo per quel che riguarda l’Italia (e lo scrivente si era occupato proprio delle DAT su questo sito appena licenziata la legge, vedasi qui https://domus-europa.eu/?p=7362 ); è interessante, allora, andare oltrAlpe, dal momento che siamo inseriti in un sistema europeo (UE, CEDU, Consiglio d’Europa), e che la prospettiva comparatistica e internazionalistica è oramai dominante. Ci si riferirà ad una sentenza pronunciata in Germania, Paese che, con l’Italia, dal punto di vista giuridico, ha sempre avuto un saldo legame (come non citare la Pandettistica e i rapporti tra BGB e Codici Civili?), e certamente, proprio da una prospettiva di comparazione e di circolazione dei modelli giuridici e dei formanti giurisprudenziali, tale sentenza, anche perché proveniente dalla suprema Corte Federale di Giustizia tedesca, sarà interessante da essere riportata.

Questi, molto succintamente, i fatti: la suprema assise (paragonabile alla nostra Corte di Cassazione, anche nei rapporti con la Corte Costituzionale) si è dovuta occupare di un caso di alimentazione tramite Peg. Un uomo, ammalatosi di demenza senile, era stato appunto alimentato in questa maniera per cinque anni, e il figlio aveva citato il medico curante sostenendo che la nutrizione artificiale avesse solo prolungato la malattia, ed esigendo vieppiù un risarcimento per il dolore e le spese di cura e assistenza. Era stato concesso al figlio ricorrente un indennizzo di 40mila euro, ma la Corte Federale ha ribaltato il giudizio, perché lo stato di sopravvivenza reso possibile dall’alimentazione “contrasta con lo stato che si sarebbe verificato se la dieta artificiale fosse stata sospesa, cioè la morte.”. Ancora e soprattutto, la vita, spiega la Corte, non è mai un danno, stabilendo anzi che “il giudizio sul suo valore non è aperto a terzi. Per questo motivo, è vietato considerare la vita come una perdita”, anche nel caso sia provata da una malattia. Dal Paese che, durante il governo nazionalsocialista, divenne tristemente famoso per l’Aktion T4, lo sterminio dei disabili e dei malati, peraltro con parole e slogan straordinariamente simili a quelli liberali e radicali (“vite indegne di essere vissute”, “qualità della vita”, etc), e da uno dei Paesi europei considerati faro del diritto e modello legislativo e giurisprudenziale, questa pronuncia (che si aspetta presto di leggere in traduzione per intero, per il momento questo sito pare essere il primo che ne abbia parlato – vedasi qui http://www.puntofamiglia.net/puntofamiglia/2019/04/09/la-vita-umana-un-diritto-da-preservare-anche-contro-la-malattia-a-dirlo-la-cassazione-tedesca/– , e questo sito che ospita lo scrivente è quindi il secondo in Italia) è non solo interessante, ma benvenuta.

In un Occidente impazzito, nemico della vita ed eutanasico, questa sentenza pare aprire un pur minimo barlume di speranza, statuendo l’indisponibilità e la non monetizzazione e non giudicabilità e sindacabiltà da parte di terzi della vita, e andando in direzione contraria al c.d. danno da nascita indesiderata o da vita malata e indesiderata, come pare oggi diffuso. Ci si augura quindi che, in un mondo di circolazione del diritto, circoli anche una sentenza del genere, aprendo magari una nuova prospettiva di considerazione e valorizzazione della vita, della malattia e del dolore, sperando soprattutto che possa richiamare in causa e ribadire l’indisponibile e assoluto valore della vita senza se e senza ma.

Così pare, c’è un giudice a Berlino.

                                      Roberto De Albentiis

                                           

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