Questo magnifico libro presenta differenti saggi su alcune etnie native, ciascuna con le proprie peculiarità culturali e cultuali. Un libro che cerca di liberare da pregiudizi e stereotipi, e in cui è presentato il lavoro di studiosi che quando non sono aborigeni, hanno a lungo vissuto nelle riserve indiane.
Il legame tra questi differenti popoli nativi è dàto dall’attenzione rivolta al sacro grazie a cui si coltiva quella sensibilità spirituale che suscita un modo differente di vedere e ascoltare il mondo. Un orientamento della mente e del corpo che può inverare poteri trasformativi su molteplici livelli della vita, individuali e collettivi. Il potere della conoscenza sacra è l’elemento centrale della vita religiosa. In un’epoca contemporanea connotata dal pensiero razionalistico e materialistico, dalle scienze naturali e dall’industrializzazione, i nativi sono testimoni viventi di un mondo dove al centro dell’esistenza è ancora la tradizione millenaria.
Il contatto con i coloni europei nel XVI secolo fu la causa della diffusione di malattie prima sconosciute che decimarono le popolazioni del Nordamerica. Gli invasori europei diffusero la falsa idea che gli aborigeni fossero quasi estinti dal continente, non solo per giustificare l’indebita appropriazione delle terre, ma anche per trovare un pretesto alla violenza ed ai soprusi volti ad annichilire le culture e le religioni native, bollate come stregoneria o come superstizioni neolitiche. Lungi dall’essere definitivamente scomparsi, alcuni popoli hanno saputo produrre innovazioni e riaffermare tradizioni per lungo tempo soppresse. Nel libro si viene a sapere della persecuzione della Società del Tabacco degli Absaroke da parte del governo degli Stati Uniti, che prese il possesso delle piantagioni per fini commerciali. La Società del Tabacco aveva un complesso cerimoniale grazie al quale gli aborigeni ricercavano l’esperienza diretta del potere sacro (maxpe). Il bando del tabacco comunque non produsse arretramento nella ricerca delle visioni e comunicazioni col soprannaturale indotte dal prolungato digiuno o elargite in sogno. Una pratica magico-religiosa tra gli Absaroke è la capanna sudatoria, rito purificatorio e luogo più adatto per evocare sincerità di propositi. Per i Lakota il medesimo rituale è il rinnovamento della vita, di grande importanza e preludio ad ogni altro, che fa entrare in contatto con le forze che emanano da Wakantanka, noto anche come Tobtob “quattro volte quattro” con riferimento alle potenze soprannaturali che controllano il cosmo. Anche tra i Lakota “piangere per una visione”, l’invocare una visione spirituale nello stato di veglia della coscienza, è considerato essenziale. Tra i Navajo la tradizione si esplicita nella continua mutazione di un ordine dinamico, dove se la santità si può acquisire non è uno stato permanente, e il mondo soprannaturale e quello umano non sono due categorie distinte. Per assicurare la vitalità perpetua del cosmo l’essere umano ha la responsabilità di condurre con integrità la propria vita e praticare i rituali della tradizione.
Continuando nella lettura del libro si scopre che alla fine del XIX secolo, per arginare il proselitismo dei missionari cristiani e mediare l’acculturazione, nacque la Chiesa Nativa Americana, ovvero il peyotismo sacramentale, che cercò di integrare le esigenze e l’esperienza del sacro nativa con elementi della cultura e religione europea. Si legge anche dell’importanza della ritualità iniziatica femminile tra gli Apache Mescalero, e la dettagliata narrazione di una complessa cerimonia, che viene eseguita ogni due anni durante dieci giorni dalla prima luna piena di Settembre, chiamata la Danza del Salto tra gli Yurok, il cui scopo è di armonizzare i contrasti, risanando il mondo e l’identità tribale, significato non separabile dall’esperienza che trasforma l’uomo nel suo intimo. La medesima idea di armonia è il fondamento della religiosità dei Tlingit, un’ordine non mantenuto da un dio ma da un insieme di regole per pensare e comportarsi adeguatamente nei confronti degli spiriti potenti dell’Universo e di tutte le forme di vita, anche animali, da cui gli elaborati rituali per placare l’anima della preda uccisa durante la caccia. Tra gli eschimesi Yupik troviamo un simbolismo universale, quello del cerchio con un punto al centro, ellam iinga, “l’occhio della consapevolezza”, grazie al quale avviene la comunicazione tra il mondo corporeo e quello soprannaturale. L’atto di racchiudere in un cerchio viene inteso al fine di produrre una visione spirituale più intensa o per proteggere dal male. Le maschere circolari rituali riprendono questo simbolismo in cui, oltre al foro centrale, sono dipinti cerchi concentrici rappresentanti i differenti livelli dell’Universo. Tutti gli esseri viventi costituiscono un cerchio infinito di nascita e rinascita, hanno un’anima immortale su cui si regola l’interazione. Non differentemente la ritualità dei Creek non cerca l’abolizione delle differenze, ma la loro accurata articolazione nel rinnovamento dell’equilibrio sociale e spirituale, ravvisando nella sostanza del mondo un’opposizione di contrari, un orientamento che ha consentito di assimilare anche nuove idee. Così la cerimonia del mais verde che pure conserva una simbologia millenaria ha assunto nuovi significati e nuovo valore, come i mutamenti di un organismo vivente. La costante problematicità rimane quella dell’adattamento a cangianti contingenze storiche, uscendo dall’equivoco d’intendere le tradizioni religiose come statiche nel tempo.
Madame Janus