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TRADIZIONE "GENE SOCIALE", ECCO L'ENCICLICA DI KIRILL. Di Dario Fertilio*

Insieme stanno e insieme, forse, un giorno cadranno: ma per ora l’aquila bicipite dello stemma russo sembra identificarsi con loro due, Vladimir Putin e il Patriarca Kirill. Perché il presidente della Federazione e il capo della chiesa ortodossa di Mosca marciano fianco a fianco nella costruzione di un progetto politico culturale su scala planetaria.

I lineamenti della loro alleanza emergono chiari nell’ampia intervista che Kirill ha rilasciato al giornalista Francesco Bigazzi e che ora appare con il titolo La missione dei cristiani nel mondo per l’editore Pagliai. Dove il modello tradizionale di collaborazione fra trono e altare, cioè il Cremlino e la Chiesa ortodossa, si traduce in un manifesto teologico e ideologico, rivolto a tutti coloro che intendono opporsi al mondo liberale di matrice occidentale.

Colpisce la schiettezza di Kirill, a suo modo paragonabile a quella di Bergoglio, ma in realtà affine allo spirito combattente di Wojtyla: nessun compromesso con lo spirito laico del tempo, difesa dei valori conservatori tradizionali, affermazione della identità nazionale russa e rivendicazione del ruolo pubblico della religione, definita «pilastro e partner dello Stato». Sullo sfondo, la sfida decisa alle velleità indipendentiste della chiesa ucraina, al punto da annunciare lo scoppio di una vera e propria guerra di religione, la prima dopo molti secoli entro i confini dell’Europa.

Non bisogna pensare a una riedizione del vecchio sistema sovietico in cui il Patriarcato funzionava da ruota di scorta del regime, tollerato purché non interferisse nella vita politica, e largamente infiltrato dai servizi segreti del Cremlino. I tempi sono cambiati e Kirill invoca una «non interferenza reciproca nei rapporti fra Stato e Chiesa», si fa promotore di una forte spinta ecumenica, maturata durante la sua esperienza di ministro degli esteri del Patriarcato, esalta come epocale l’abbraccio con Papa Francesco dell’Avana, primo passo verso il superamento del grande scisma avvenuto nel 1054. Ma si capisce che il suo vero alleato naturale, di poco più giovane e figlio come lui della vecchia Leningrado sovietica, non può che essere Vladimir Putin. Con lui, spesso ritratto al suo fianco nelle manifestazioni pubbliche solenni, Kirill condivide l’idea di uno Stato etico, nel quale l’uno «lavora per salvare l’anima», l’altro «per l’educazione morale dell’individuo». Dunque: no all’idea di abbassare l’età minima per il matrimonio, no all’aborto, rifiuto incondizionato delle unioni omosessuali e dell’eutanasia, approvazione dell’uso della forza contro il terrorismo, ruolo centrale ecclesiastico nell’educazione a scuola e nella assistenza spirituale alle forze armate, introduzione della teologia, alla pari con psicologia e filosofia, nei curricula universitari, pieno consenso all’enciclica di Papa Francesco sul rapporto fra difesa della natura e moralità umana.

L’avversario individuato da Kirill ha due facce: da un lato la globalizzazione che corrode le specificità nazionali, dall’altra il relativismo che porta con sé il soggettivismo assoluto e cancella l’idea del peccato: porre i diritti individuali al di sopra della parola di Dio è per lui «una eresia globale». Di qui l’affermazione, che suona certo inusuale alle orecchie occidentali, della Tradizione come «gene sociale» che aiuta a preservare il concetto stesso di verità assoluta, trasportando le informazioni indispensabili «da una generazione all’altra». E poiché nessun modello di civiltà è universale, non lo è nemmeno quello liberale, imperniato sui diritti umani: al contrario, questi ultimi possono servire da «armi politiche e propagandistiche» per ledere la sovranità di uno Stato, o anche per minare dall’interno i valori della tradizione (come, per fare un esempio, rivendicare il sacerdozio femminile).

Ecco, il protestantesimo radicale e laicizzato, simboleggiato dalla chiesa episcopale americana e da quella luterana di Svezia, sono per Kirill i sintomi di una malattia spirituale da cui è necessario preservare l’ortodossia. Ma non per chiudersi entro i propri confini: il messaggio è al contrario di forte proselitismo da perseguire in tutto il mondo, a cominciare dai Paesi asiatici post-sovietici, dove la Chiesa di Mosca si propone di contrastare l’estremismo islamista. E poi in Brasile, Paraguay e in genere in America Latina, per passare alla Cina e al Medio Oriente, tutti luoghi in cui l’attivismo ortodosso è in forte crescita. Diverso è il capitolo dell’Ucraina, dove le spinte nazionaliste locali hanno portato al distacco della chiesa di Kiev da Mosca, per ritornare sotto la storica protezione del Patriarca Bartolomeo a Costantinopoli. Kirill denuncia intimidazioni, chiusura di chiese fedeli a Mosca, passaggi forzati di altre – si parla già di oltre duecento – all’obbedienza ucraina. Una catastrofe «fratricida» – secondo le sue parole – dietro la quale non è difficile intuire l’appoggio ai separatisti filorussi del Donbas.

Perché, e qui forse si annida l’aspetto più destabilizzante del progetto del Patriarca di Mosca, l’ortodossia è proclamata come base etica del popolo russo. Ma quali sono i suoi confini? Non quelli della attuale Federazione post-sovietica, bensì altri, molto più ampi, da identificarsi col «mondo russo multinazionale», e dunque estesi non solo a Bielorussia e Ucraina, ma anche a Serbia e Bulgaria, ai Paesi asiatici e nordafricani dove i cristiani sono minacciati dai musulmani, e fino alle minoranze russofone, inquiete, dei Paesi baltici.

Il manifesto conservatore di Kirill è un asso nella manica del Cremlino, da calare sul tavolo dei grandi giochi internazionali. Essenziale nell’assetto del potere putiniano, e importante anche in politica estera, per via della forza di attrazione che esercita sui sovranisti dell’Occidente. In questa prospettiva, il presidente della Russia e il suo Patriarca si affiancano ma anche si fronteggiano, ben consapevoli delle utilità reciproche, ma anche del fatto che nessuno dei due può fare a meno dell’altro.

Dario Fertilio

Tratto da “Il Giornale” del 28/02/2019

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