Condividi:

Share on facebook
Share on twitter
Share on linkedin
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on email

Esplora:

L’INCOMPRENSIONE EBRAICA PER L’ESEGESI SCRITTURALE DI GESU’. Di Luigi Copertino – Parte seconda

Verità cristiana dell’Antico Testamento nella prospettiva escatologica della storia

Seconda Parte

Il Tempio del Signore

L’escatologia ebraica postbiblica è legata all’idea della ricostruzione del Tempio in Gerusalemme, unico luogo dove, per la prospettiva ebraica, la Sekinah, la Presenza Reale, di Dio, può manifestarsi. Il Tempio, quello costruito da re Salomone e distrutto per responsabilità degli ebrei zeloti durante l’assedio romano dell’anno 70 d. C., era situato nel punto dove oggi sorge la Cupola della Roccia, la terza moschea per santità del mondo islamico. L’islam è annunciato nel Genesi ma non nella linea messianica dell’Alleanza che, invece, si sviluppa dalla figliolanza legittima di Abramo in Isacco tra la cui discendenza nascerà Gesù: «Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco. Io stabilirò la mia alleanza con lui come alleanza perenne» (Gn. 17,19). Ismaele, il figlio illegittimo di Abramo e della schiava egiziana Agar, è il capostipite biblico degli arabi, tra i quali nascerà Muhammad, profeta post-litteram al quale, non essendo la sua la linea dell’Alleanza, non è stata concessa la visione dell’al-Ghayb, cui fa riferimento la sura 7 del Corano, ossia il Logos di Dio, il Mistero Divino per eccellenza. Nel disegno divino di salvezza, il ruolo di Muhammad sembra essere quello di una preparazione dei discendenti di Ismaele alla Seconda Venuta di Cristo che essi, come gli ebrei, riconosceranno nella Sua Divino-Umanità soltanto nei tempi escatologici. Il Signore benedice Ismaele dicendo «Lo renderò fecondo e molto, molto numeroso: dodici principi egli genererà e di lui farò una grande nazione» (Gn. 17,20) ed ancora «Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar … e le disse: “… Non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo (…). Alzati, prendi il fanciullo … perché ne farò una grande nazione” (…). E Dio fu con il fanciullo che crebbe ed abitò nel deserto e divenne un tiratore d’arco» (Gn. 21,17-20). Sembra dunque che i seguaci della fede islamica stiano svolgendo, oggi, il ruolo di custodi dei Luoghi Sacri di Gerusalemme onde impedirne la profanazione da parte dei fondamentalisti ebrei, in attesa che anche i mussulmani si convertano a Cristo scoprendo che di Lui, quale Logos Figlio di Dio, parla il Corano.

La Cupola della Roccia è così chiamata perché situata nel luogo dove, secondo la Tradizione, Abramo è stato trattenuto dall’angelo del Signore nell’atto di sacrificare il figlio legittimo Isacco  in olocausto a Dio. Il Patriarca, fedele al Signore che lo aveva ordinato, benché con dolore, aveva accettato di obbedire al comando dell’offerta sacrificale del suo unico figlio legittimo, Isacco. Ma il Signore lo fermò additandogli quale vittima un ariete. Evidente il messaggio di Dio: ad Abramo che non ha esitato all’idea di dare in olocausto il figlio, il Signore donerà in Sacrificio Perpetuo il suo Unico Figlio, l’Ariete/Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo, per la salvezza sua e di tutte le famiglie umane sparse sulla terra.

Quando, subito dopo la cacciata dei mercanti dal Tempio, rispose ai farisei con Lui indignati, che gli chiedevano con quale autorità avesse fatto quel gesto, «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv. 2,19), Gesù non ha profetizzato soltanto la Sua Resurrezione ma ha identificato Sé stesso con il Tempio, con la Sekinah di Dio. Ha proclamato, in altri termini, la Sua Divinità. E i farisei, che lo ascoltarono, compresero benissimo il senso del suo discorso. Compresero perfettamente, anche se rifiutarono di accettare, che se il Tempio è Lui allora non c’è più necessità del Tempio di pietra ed il Santo Sacrificio può essere attuato ovunque, come infatti accade nell’Eucarestia cristiana. La Presenza Reale di Dio, la Sekinah, non dipende da un luogo geografico – «E’ giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre» (Gv. 4,21) – ma è universale e si manifesta ovunque perché Essa è la Sua Persona che si rende presente eucaristicamente in qualsiasi luogo venga celebrata la Santa Messa ossia rinnovato il Santo Sacrificio della Croce.

La Casa di preghiera per tutte le genti

Nell’episodio evangelico della purificazione del Tempio, Gesù legittima la cacciata dei mercanti citando la Scrittura: «Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri» (Mc 11,17). Nostro Signore, come detto, durante il suo peregrinare terreno non ha fatto altro che esegesi. La sua citazione mette insieme due passi della Scrittura. La prima parte è un richiamo di Isaia 56,7 mentre la seconda parte richiama il passo del profeta Geremia nel quale Dio dice «È forse una spelonca di ladri ai vostri occhi questo tempio che prende il nome da me?» (Ger 7,11) rimproverando gli Israeliti che venivano da tutte le parti a prostrarsi al Tempio di Gerusalemme ma che non seguivano con il cuore la Sua Volontà.

Il testo di Isaia 56,7 è straordinariamente chiarificatore. Fa parte di una serie di oracoli di salvezza legati al  quarto carme del Servo del Signore (Is. 52-13-53,12). In quel testo il profeta annuncia che nella futura comunità dei redenti saranno inclusi anche due tipologie di persone, gruppi marginali nella società del tempo, che per la Legge Mosaica erano tenuti separati dalla comunità degli Israeliti. Si tratta degli stranieri e degli eunuchi: «Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: “Certo mi escluderà il Signore dal suo popolo!”. Non dica l’eunuco: “Ecco, io sono un albero secco!”. Poiché così dice il Signore: “Agli eunuchi che osserveranno i miei sabati, preferiscono le cose di mio gradimento e restano fermi nella mia alleanza, io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un posto e un nome meglio di figli e figlie; darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato. Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio santo monte e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saliranno graditi sul mio altare perché il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,3-7).

Questo testo si comprende ancor meglio alla luce dei versetti iniziali del c. 56. Nei versetti iniziali –  «Così dice il Signore: “Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché prossima a venire è la mia salvezza; la mia giustizia sta per rivelarsi”» – , Dio, ammonendo gli israeliti affinché sia fatta la Sua Volontà, pronuncia una beatitudine: «Beato l’uomo che così agisce, e il figlio dell’uomo che a questo si attiene, che osserva il sabato senza profanarlo, che preserva la sua mano da ogni male» (Is 56,2). In questi versetti è detto “uomo/figlio dell’uomo” e non giudeo o figlio di Israele. Ai due gruppi marginali sono chieste né più né meno che le stesse cose richieste ad un israelita, amare il prossimo e praticare la giustizia. Nessuna distinzione tra l’ebreo ed il non ebreo.

E’ stato uno studioso israelita, il Prof. Greenberg, a notare come di fronte all’apertura universale del passo di Isaia, per contrasto, l’interpretazione che ha prevalso nella letteratura rabbinica è in genere totalmente restrittiva. Il passo di Isaia 56,7 è citato una ventina di volte nel Talmud, sia in quello Babilonese che in quello Palestinese, e nei vari Midrashim (interpretazioni omiletiche della Scrittura) eppure, secondo Avigdor Shinan, Professore dell’università ebraica di Gerusalemme, ogni volta l’espressione “Gerusalemme casa di preghiera per tutti i popoli” è riferita esclusivamente al popolo ebraico. La spiegazione offerta dal Prof. Shinan guarda alla polemica tra giudei e cristiani che nei secoli ha condizionato le reciproche posizioni teologiche, ebraica e cristiana. In altri termini, i rabbini consideravano la santità di Gerusalemme una cosa esclusiva per il popolo ebreo e non volevano condividerla con cristiani ed islamici. E’ interessante notare che questa pretesa è quella che anche oggi ha ispirato la proclamazione della Citta Santa quale esclusiva capitale dello Stato sionista di Israele, con l’appoggio del presidente americano Donald Trump (gli Stati Uniti sono il braccio armato della politica sionista). Eppure la spiegazione dell’autorevole studioso israeliano non coglie l’essenza del problema ed è quindi riduttiva. Troppo facile dire che lungo i secoli la polemica ha orientato l’interpretazione dimenticandosi del senso escatologico che traspare dall’intera Scrittura e che vediamo, soprattutto oggi, svolgersi sotto i nostri occhi.

Intorno al Tempio di Gerusalemme si stanno esplicitando, quasi un secolo, vicende della storia della salvezza che fanno comprendere come mai quella attuale nel Vicino Oriente non è una guerra geopolitica ma implica realtà di ordine superiore connesse con l’adempimento finale del destino di Israele. Che non sarà di trionfo mondiale come pensano oggi gli ebrei religiosi, i sionisti e gli evangelici cristiano-sionisti americani. Ma sarà il compimento salvifico del percorso spirituale e storico del “resto di Israele” mentre le speranze pseudo-messianiche dell’ebraismo postbiblico, e del suo parto politico sionista, naufragheranno. Tutto sembra dire che questo naufragio avverrà con una catastrofe finale per l’Israele sionista. Il discorso escatologico di Gesù – «quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua devastazione è vicina» (Lc. 21,20) – non è riferito solo agli eventi dell’anno 70, debitamente adempiutisi secondo la sua predizione, ma va oltre il momento contingente ed è rivolto anche all’orizzonte escatologico finale. Infatti, le profezie devono essere sempre lette come rivolte al futuro anche se occasionate da eventi specifici e circoscritti nel tempo. Israele sta correndo, con velocità sempre più forte, verso la sua catastrofe finale ma il suo “resto” si salverà: nella Scrittura quella del “resto di Israele” è una teologia ben fondata che richiama la forza dei soli israeliti fedeli a Dio nel riprendere il cammino dopo ogni dolorosa purificazione storica.

In 1 Re 8,41-43 è riportata la bella preghiera di Salomone in occasione dell’inaugurazione del Tempio da lui ricostruito: «Ugualmente uno straniero, che non è del tuo popolo Israele, qualora venga da un paese lontano per amore del tuo nome… tu ascoltalo dal cielo, dal luogo della tua dimora, e soddisfa tutte le richieste dello straniero, perché tutti i popoli della terra conoscano il tuo nome, ti temano come Israele tuo popolo…». La preghiera è stata esaudita, benché in modo inaspettato per lo stesso Salomone. In Cristo, infatti, anche gli stranieri sono giunti al Tempio – che è la Sua Persona, eucaristicamente presente ovunque – e sono stati ammessi nell’Alleanza.

Ciononostante, l’ebraismo postbiblico, o almeno alcune sue correnti politicamente armate, si ostina nell’idea della ricostruzione del Tempio di Gerusalemme per ripetervi l’olocausto della giovenca rossa e lo sgozzamento pasquale degli agnelli, affinché Dio mantenga la sua promessa di innalzare Israele al primato etico-politico sul mondo. I rabbini più pii, legati alla pura tradizione ebraica ed avversi alla deriva sionista dell’ebraismo, denunciano da tempo l’essenza blasfema di questi progetti riedificatori covati dal sionismo religioso. Alcuni gruppi dell’ebraismo tradizionale, come ad esempio i “Neturei Karta” (Guardiani della Città), additano i progetti sionisti come un prometeico “forzare la mano a Dio”. Un prometeismo che essi, sulla scorta delle proprie tradizioni talmudiche, temono foriero di disastri per il popolo ebreo.

Il “tempo dei pagani”

Il grande scrittore e filosofo russo Vladimir Sergeevič Solov’ëv, nel suo “Il racconto dell’Anticristo”, scritto nell’anno 1900, pochi mesi prima della morte, richiamò una antica tradizione cristiana, che ha il suo fondamento nelle parole di Gesù in Gv. 5, 43 «Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste». Secondo questa tradizione cristiana il regno dell’Avversario di Cristo, ad imitazione di quello del Redentore, sarà universale e alla sua realizzazione coopererà allegramente il popolo ebreo, tornato in Palestina, nella convinzione di collaborare all’avvento dell’era messianica come la immagina la prospettiva propria del giudaismo. Nel racconto di Solov’ëv solo una minoranza di cristiani – anche qui un “resto” – guidati dal Papa Pietro II si opporrà al dominio globale dell’Imperatore del Mondo, nonostante ogni sua profferta anche allettante. Tuttavia, con evidente connessione con la teologia della storia di matrice paolina, Solov’ëv assegna proprio agli ebrei, che lo avevano accolto come loro Messia, il ruolo di smascheratori dell’Anticristo, quando scoprono che egli non è circonciso. Dopodiché essi riconoscono nel Cristo della Seconda Venuta il Vero Messia.

In Solov’ëv risuona la profezia di Paolo di Tarso: «Se infatti il loro rifiuto ha segnato la riconciliazione del mondo, quale potrà mai essere la loro riammissione, se non una resurrezione dai morti? (…) l’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato …» (Romani 11,15; 11, 25-26). Il convincimento di san Paolo, a riguardo dell’indurimento di una parte di Israele fino a che tutte le genti non saranno entrate in Cristo nell’Alleanza, per giungere alla salvezza di tutto Israele, ossia dell’Israele teologale che è composto sia da ebrei che da gentili, deriva direttamente dalle parole profetiche di Gesù riportate da Luca in 21,24 nel discorso escatologico di Nostro Signore «Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti».

E’ innegabile che la Città Santa sia rimasta in mano dei gentili per duemila anni fino al dopoguerra, quando essa è tornata in possesso degli ebrei nello Stato sionista. Ma sarebbe errato giungere ad interpretare questi avvenimenti come l’annuncio della restaurazione del regno di Davide secondo la prospettiva dell’ebraismo postesilico che è stata mutuata, con adattamenti in senso pseudo-cristiano, dai predicatori cristiano-sionisti americani come, ad esempio, Lewis David Allen per il quale «Il Messia regnerà dal trono ristabilito di Davide a Gerusalemme. Risorto, Re Davide sarà co-reggente assieme a Cristo. Israele occuperà una posizione di gloria e dominio sulle nazioni del mondo. I Cristiani rinati si uniranno al Messia e ai dirigenti di Israele nell’amministrare il regno di Dio sulla terra» (“Can Israel Survive in a Hostile World?”, New Leaf Press, Green Forest, AR, USA 1994, p. 150).

Il giungere a compimento del “tempo dei pagani” è, in verità, il sopraggiungere della fine dell’Anno di Grazia del Signore durante il quale la Porta dell’Ovile Santo – ossia Gesù Eucaristico «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,9) – è rimasta aperta per tutti gli uomini di buona volontà, siano essi gentili o ebrei. Con il compimento del tempo dei pagani – che è quello nel quale l’Israele carnale è stato reciso dall’Olivo affinché vi fossero innestati i gentili – si chiuderà l’Anno Sabbatico della Misericordia che precede il tempo della Giustizia. Non si tratta affatto della restaurazione del Tempio di Gerusalemme e del Regno di Israele, che invece è manifestazione dell’Iniquo, quanto piuttosto del trionfo salvifico di “tutto Israele” ovvero della Chiesa – la Chiesa degli ebrei, tali sono infatti Maria e gli apostoli e tanti israeliti giunti a Cristo nel corso dei secoli, e dei gentili ex pagani – che è il Nuovo Israele continuazione dell’Antico Israele nella sua realtà ed essenza teologale, quindi non etnica né politica.

Piuttosto vi sarebbe da notare che è proprio la sicumera riedificatoria sionista, ovvero la prospettiva millenarista sottesa all’idea della ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, ad esporre gli ebrei a gravi pericoli, perché Dio non si fa forzare la mano dall’uomo e respinge da Sé i superbi e gli orgogliosi. Ricostruire il Tempio ebraico nella Città Santa significa abbattere l’islamica Cupola della Roccia, con quali conseguenze belliche in termini geopolitici e di sconvolgimento epocale ben si può immaginare.

Non solo. La Tradizione cristiana ha sempre interpretato le parole di Gesù in Lc. 21,24, nella loro connessione con quelle in Gv. 5,43, quale annuncio del sopraggiungere dei tempi della manifestazione dell’Impostore. Tempi dunque messianici ma nel senso di quel che deve precedere la Parusia di Nostro Signore  ovvero l’“impostura anti-cristica”, rammentata dal Catechismo della Chiesa Cattolica ai paragrafi n. 675, 676 e 677. Il fatto che il ritorno degli ebrei in Terra Santa sia avvenuto mentre il mondo andava globalizzandosi in una organizzazione umanitariamente totalitaria, respingendo al contempo la fede in Cristo – «Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?» (Lc. 18, 8) – ci mostra il segno dello svolgimento storico delle parole profetiche di Gesù nel quadro escatologico, annunciato nel Libro dell’Apocalisse, del dominio mondiale dell’Umanità Autodeificata (Gn. 3,5). Ossia ciò che oggi chiamiamo globalizzazione: «le fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione. L’adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello immolato» (Ap. 13,7-8) ed ancora «Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricci e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei» (Ap. 13, 16-18).

Il Tempio escatologico, quello Vero

Se, dunque, la ricostruzione del Tempio di pietra  in Gerusalemme lungi dall’essere l’annuncio dell’arrivo del Messia sarebbe piuttosto, laddove fosse realizzata, un inquietante segno del manifestarsi dell’Iniquo, dell’islamico Al- Dajjal, non bisogna pensare che escatologicamente sia irrilevante la questione templare. Ma come la Vera Gerusalemme è quella celeste così anche il Vero Tempio è trascendente. Esso coincide con la Persona dell’Agnello che siede sul trono della Gerusalemme celeste all’atto della sua kenotica manifestazione, ovvero della sua discesa dall’Alto, per trasfigurare la creazione che le andrà incontro guidata dalla schiera festante dei santi, dei salvati, inneggianti a Dio. Come gli israeliti accolsero acclamanti Gesù, al momento del suo ingresso messianico nella Gerusalemme terrena all’inizio della settimana santa della Sua Pasqua di Dolore, così alla fine dei tempi gli eletti acclameranno l’Agnello intronato e glorioso nella Gerusalemme celeste di cui Egli in Persona è il Tempio.

Il Libro dell’Apocalisse, richiamando le immagini dell’Albero della Vita e dell’Acqua Viva già del Libro del Genesi nonché l’immagine della Gerusalemme messianica delle profezie messianico-escatologiche dei profeti di Israele – da Isaia a Daniele, da Zaccaria ad Ezechiele –, che l’ebraismo postbiblico interpreta erroneamente come riferite alla Gerusalemme terrena, lo attesta

«Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparse e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà ‘Dio-con-loro’. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate”. E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”; e soggiunse: “Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci. Ecco sono compiute! Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine. A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita. Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio. Ma per i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gl’immorali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. E’ questa la seconda morte» (Ap. 21, 1-8),

ed ancora

«Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: “Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello”. L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. (…). Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello. Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza. Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, perché non vi sarà più notte. E porteranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni. Non entrerà in essa nulla d’impuro, né chi commette abominio o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello. Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dall’Agnello. In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni» (Ap. 21, 9-27; 22, 1-2),

in contrapposizione al marchio, senza del quale non si potrà né vendere né comprare, chiaro riferimento ad un potere finanziario globale, che l’Impostore imporrà ai suoi adoratori sulla mano e sulla fronte, come segno della loro appartenenza alla città terrena trans-nazionale e trans-frontaliera, la “Cosmopolis” unificata sotto il suo dominio universale, anche gli abitanti della Gerusalemme celeste porteranno un marchio sulla fronte ma tale marchio sarà il Nome dell’Agnello da essi adorato

«E non vi sarà più maledizione. Il trono di Dio e dell’Agnello sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli» (Ap. 22, 3-5).

Lo “sterminio delle nazioni”

Perché, dunque, per tornare da dove abbiamo iniziato, quel giorno, nella sinagoga di Nazareth, Gesù alla lettura della prima parte della profezia messianica di Isaia non fece seguire, per lo sdegno e lo scandalo dei suoi ascoltatori, anche le altre parti? La Bibbia fa spesso riferimento allo “sterminio delle nazioni”, dei popoli pagani ed idolatri. Anche nell’Apocalisse di Giovanni ritroviamo questa immagine. Presso gli israeliti, privi della consapevolezza della prospettiva cristologica, intrinseca alla Scrittura ma non ancora palese prima dell’Incarnazione – solo i Patriarchi ed i Profeti ebbero accesso per via mistica alla Verità del Cristo Venturo, come attesta Gv. 8, 56 «Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» – era prevalso un approccio esegetico secondo il quale il Regno futuro di Israele sarebbe stato il dominio politico universale del popolo ebraico, quindi l’affermazione del primato mondiale di Israele su tutti gli altri popoli e del diritto ebraico ad “attuare la Vendetta del Signore nel Giorno della Giustizia del Dio di Israele” sui goym che non si fossero piegati al “regno di Dio sulla terra”.

Per questo, presso gli ebrei del suo tempo, l’immagine dello “sterminio delle nazioni” non era cristologicamente interpretata in riferimento al futuro Giudizio Escatologico Universale, all’Ottavo Giorno ossia quello nel quale i capri e le pecore, il grano e la zizzania, saranno separati sulla base dell’amore profuso nella vita di ciascuno: «Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt. 25, 31-46).

Gesù, dopo i primi versetti, non andò oltre nella lettura di Isaia perché sapeva benissimo quanto l’esegesi invalsa presso gli ebrei avesse frainteso quella profezia, come tanti altri passi biblici. Egli non volle aggiungere, nelle intelligenze traviate, confusione a confusione.

Il paradosso sta nel fatto che, come abbiamo detto, effettivamente l’idea di un “giudizio” che è “vendetta” di Dio, “punizione” dell’idolatria conseguente al peccato, e quindi l’idea di un “supplizio” o “sterminio” degli idolatri, dei pagani, è biblicamente fondata, proprio perché essa ha a che fare con il Giudizio Universale dell’Ultimo Giorno. Ma non ha nulla a che vedere con presunti primati, morali o anche politici del popolo ebraico, bensì con la sentenza definitiva di salvezza o di condanna in conseguenza del giudizio cui tutti gli uomini e tutti i popoli, non esclusi gli ebrei, saranno sottoposti. Sicché i salvati come i dannati saranno “una grande moltitudine di ogni popolo e lingua”. Sterminio delle nazioni pagane, certamente, ma inteso come il giudizio escatologico di condanna per chiunque, ebreo o gentile, rigetti l’Alleanza in Cristo con Dio o di salvezza per chiunque, ebreo o gentile, in quella Alleanza vivrà e morirà per l’Amore Divino.

Lo attesta, ancora una volta, il Libro della Rivelazione, richiamando l’immagine isaiana di Dio “vendemmiatore” che stritola i popoli pagani nel torchio della Sua Giustizia

«Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava “Fedele” e “Verace”: egli giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all’infuori di lui. E’ avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio. Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro. Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le genti. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell’ira furiosa del Dio onnipotente. Un nome porta scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori. Vidi poi un angelo, ritto sul sole, che gridava a gran voce a tutti gli uccelli che volano in mezzo al cielo: “Venite, radunatevi al grande banchetto di Dio. Mangiate le carni dei re, le carni dei capitani, le carni degli eroi, le carni dei cavalli e dei cavalieri e le carni di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi”. Vidi allora la bestia e i re della terra con i loro eserciti radunati per muover guerra contro colui che era seduto sul cavallo e contro il suo esercito. Ma la bestia fu catturata e con essa il falso profeta che alla sua presenza aveva operato quei portenti con i quali aveva sedotto quanti avevano ricevuto il marchio della bestia e ne avevano adorato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo. Tutti gli altri furono uccisi dalla spada che usciva di bocca al Cavaliere; e tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni» (Ap. 19, 11-21).

Ma allo sterminio degli idolatri, alla vendetta di Dio sull’idolatria ossia sulla falsa gnosi ofidica che sedusse l’Adamo nel Giardino dell’Eden (Gn. 3,5), si contrappone la salvezza universale riservata agli eletti provenienti da ogni parte e da ogni popolo ed ora membra vive del Corpo Mistico dell’Agnello ossia cittadini della Gerusalemme celeste

«Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello”. (…). Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: “Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?”. Gli risposi: “Signore mio, tu lo sai”. E lui: “Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap. 7, 9-17).

L’Anno di Grazia e la Misericordia di Dio

Prima del Giorno della Giustizia, tuttavia, ci è stato concesso in Gesù Cristo un Anno di Grazia, un Anno di Misericordia, corrispondente al tempo tra la Prima e la Seconda Venuta del Verbo. Chi non vorrà approfittare di esso dovrà poi passare per la porta dura e stretta della Giustizia Divina. Ed è questo che intendeva dire Isaia nella sua profezia messianica, ai suoi tempi non ancora adempiuta, e che gli ebrei, ancora ai tempi di Gesù, non avevano compreso e tuttora non comprendono.

Rivelandosi ad una umile suora polacca, vissuta nella prima parte del XX secolo, suor Faustina Kowalska, oggi canonizzata ed universalmente conosciuta, Nostro Signore ha chiesto l’istituzione, nella domenica in albis, la prima domenica dopo la Santa Pasqua, della Festa della Divina Misericordia e, avvicinandosi, stando alle sue parole, i tempi della Giustizia, ha dettato le norme del Culto della Divina Misericordia che consta della omonima Coroncina e dell’Adorazione di Cristo nell’immagine che riproduce la forma nella quale Egli è apparso alla Kowalska e dalla stessa fatta dipingere, sotto sua guida, da un pittore. Un’immagine, attualmente molto nota, che raffigura Gesù in tunica bianca, con il braccio destro semi-elevato in segno di benedizione e la mano sinistra che scosta leggermente l’apertura della tunica all’altezza del Suo Cuore facendone sgorgare due raggi, uno rosso, corrispondente al Suo Sangue, ed uno bianco, corrispondente all’Acqua, che scaturirono dal Costato Trafitto sulla Croce.

«Questa Festa – ha detto Gesù a suor Faustina, come lei stessa ha riportato nel suo diario – è uscita dalle viscere della mia misericordia ed è confermata dall’abisso delle mie grazie. Ogni anima che crede e ha fiducia nella mia misericordia la otterrà. (…). Le anime periscono, nonostante la mia dolorosa passione. Concedo loro l’ultima tavola di salvezza, cioè la Festa della mia Misericordia. Se non adoreranno la mia Misericordia periranno per sempre. (…). Desidero che alla mia misericordia venga reso culto: do all’umanità l’ultima tavola di salvezza, cioè il rifugio nella mia misericordia. (…). Le fiamme della misericordia mi bruciano, desidero riversarle sulle anime degli uomini. Oh, che dolore mi procurano quando non vogliono accettarle! … Dì all’umanità sofferente che si stringa al mio cuore misericordioso e io la colmerò di pace. L’umanità non troverà pace, finché non si rivolgerà con fiducia alla mia misericordia. Figlia mia parla al mondo della mia misericordia. Che conosca tutta l’umanità la mia insondabile misericordia. Questo è un segno per gli ultimi tempi, dopo i quali arriverà il giorno della giustizia. Fintanto che c’è tempo ricorrano alla sorgente della mia misericordia, approfittino del Sangue e Acqua scaturiti per loro. Prima che io venga come Giudice giusto, spalanco la porta della mia misericordia. Chi non vuole passare attraverso la porta della misericordia, deve passare attraverso la porta della mia giustizia».

Giovanni Paolo II – la cui elevazione al soglio pontificio fu predetta da Gesù a suor Faustina facendo riferimento ad una guida per la Chiesa che sarebbe uscita dalla Polonia prima del Suo ritorno – è stato il Papa che ha canonizzato suor Faustina adempiendone anche il mandato divino di istituire la Festa voluta da Gesù. Per raggiungere questo scopo, Papa Wojtila dovette superare l’opposizione del Sant’Uffizio che aveva posto all’indice gli scritti della suora con l’erronea motivazione che dietro il culto da lei proposto si nascondesse una ideologia cristiano-nazional-polacca (il rosso ed il bianco dei raggi, nell’immagine del Gesù Misericordioso, furono ritenuti un riferimento ai colori della bandiera polacca). Una delle prime encicliche scritte da Giovanni Paolo II, che già da giovane praticava il culto diffuso da suor Faustina, è non a caso la “Dives in Misericordia” (1980), dedicata alla storia teologica della Verità della Misericordia Divina a partire, va sottolineato, dall’Antico Testamento approcciato con la giusta chiave esegetica cristologica.

Senza la chiave interpretativa fornitaci da Gesù Cristo, la Scrittura è suscettibile – come più volte purtroppo accaduto nel corso dei secoli – di pericolosissime distorsioni dalle tragiche conseguenze spirituali e storiche. Anche e soprattutto per i distorsori.

Luigi Copertino

Condividi:

Share on facebook
Share on twitter
Share on linkedin
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Dai blog