IL POETA DEL MITO. OVIDIO E IL SUO TEMPO.
Di Francesca Ghedini, Carocci Editore.
Quello di Francesca Ghedini è un libro che permette l’approccio ad Ovidio anche a coloro che non lo hanno mai letto, e che è di sicuro interesse anche per tutti quelli che lo hanno studiato. Il testo indaga l’opera di Ovidio anzitutto a partire dal suo contesto storico romano per poi approfondire alcuni scritti dell’ampia produzione del poeta di Sulmona. Ovidio frequenta studi di oratoria per intraprendere una carriera legale e ricoprire incarichi pubblici ma fin da subito viene colto dalla Musa della poesia. A Roma frequentò i migliori ingegni del suo tempo, da cui fu molto stimato, e che anche dopo l’allontanamento forzato dalla città non gli negarono la loro amicizia. L’allontanamento segnò la vera cesura tra un prima, gaio, frivolo e mondano, e un dopo, più cupo, triste e solitario. Nel fervente contesto romano maturò uno dei più grandi poeti dell’antichità, capace non solo di creare personaggi indelebili, ma anche di influenzare l’immaginario occidentale e l’arte dal Rinascimento ad oggi. Come dimenticare che i miti narrati da Ovidio ispirarono pittori, scultori, incisori, arazzieri, ceramisti. E come non chiedersi se nell’elaborazione del suo flauto di Pan Picasso avesse presente l’episodio narrato per la prima volta proprio nelle Metamorfosi.
Ovidio fu straordinario conoscitore del grande patrimonio epico e mitico, e seppe reinterpretarlo cantando non solo l’amore e il dolore, ma anche la società in cui viveva. Quella della reinterpretazione dei poemi omerici era una moda nata nel mondo greco che non conobbe tramonto in tutta la letteratura antica.
A Roma Ovidio frequentò anche persone impegnate sul fronte politico nel circolo di Giulia Maggiore, figlia di Augusto, su posizioni antagoniste rispetto al potere dominante. Nel Ars Amatoria ovidiana, pubblicata dopo la relegatio della figlia dell’Imperatore, il poeta riscrive la storia d’amore tra Elena e Paride con il trasparente intento di difendere il libero comportamento sessuale e sentimentale di Giulia. E’ evidente che l’audace revisione del mito non potesse essere gradita ad Augusto perché metteva in discussione la legge vigente contro l’adulterio. Ovidio continuò la sua attività poetica a Roma fino al 8 d.C. quando fu esiliato: l’autrice ricostruisce le trame che fanno pendere da un senso ad un altro le motivazioni della decisione augustea. Si può, ad esempio, ritrovare una dissimulata critica al potere costituito nei poemi ovidiani che presentano Giove come amante insaziabile, predatore sessuale, protagonista di abusi e stupri, capace di ogni meschino inganno. Nel medesimo senso il lungo passo che il poeta mette in bocca a Pitagora in cui si ricorda la caducità dei destini dei popoli e delle città che sempre si trasformano in altro da sé. Ovidio profonde nel suo canto la conoscenza del patrimonio mitico così come era andato fissandosi nella tradizione da Omero in poi, a cui aggiunge la sua vivace fantasia capace non solo di sviluppare episodi minori, ma anche d’inventarne di nuovi. Così nelle Metamorfosi dopo aver illustrato la creazione del mondo, passa in rassegna le infinite trasformazioni del divenire attraverso episodi epico-mitici occupando centinai di versi. L’espediente che utilizza è quello della mise en abyme, vale a dire di storia nella storia, che gli consente di moltiplicare i livelli, inserendo una nell’altra le voci narranti, accostando o contrapponendo i diversi racconti. Nel dramma che Ovidio visse per l’allontanamento dalla città che tanto amava non smise di poetare ed anche i suoi più tristi pensieri continuarono a disporsi dall’esilio in eleganti ritmi. Gli spunti di vita quotidiana si ritrovano in tutti i libri dei Tristia e offrono informazioni sulla vita del tempo.
A Roma l’ostracismo comminato ai suoi libri, banditi dalle biblioteche pubbliche, non offuscò la fama che si era guadagnato; i suoi libri circolarono privatamente tanto che molti versificatori amavano fregiarsi di essere “poeta ovidiano”. Quando l’Impero si disgregò, i letterati guardarono a Ovidio come a un modello, non solo per l’effluvio dei suoi versi, ma per le lettere dall’esilio, che in quei tempi di stravolgimento ben si prestavano ad essere meglio comprese e imitate.
Angelica Ceoldo