Non di rado si è inteso l’albero natalizio come un’interferenza consumistica durante la festività cristiana del Natale. Si può ricordare che lo scambio di doni è parte importante del rituale sociale di molte culture tradizionali, e che il Natale si celebra nei giorni del Solstizio d’Inverno, periodo sacro anche in altre civiltà, momento propizio di comunicazione con l’invisibile, con gli spiriti, con la Trascendenza. L’albero fa riferimento a un complesso simbolismo religioso non estraneo allo stesso Cristianesimo. Si può asserire, come per altro fatto da vari studiosi, che il folklore mantiene in vita dei simboli che non più compresi subiscono un drammatico slittamento di senso.
L’epifania della Trascendenza in un albero è un motivo che si può ritrovare in un ampio numero di civiltà in varie regioni del mondo. L’albero è sacro in quanto presente nel mito delle origini, o perché nel rituale è potenza vivente, espressione di una forza invisibile presente in virtù dei suoi effetti. Se l’albero può essere un riferimento alla rigenerazione ciclica della vita vegetale è anche simbolo con differenti significati cultuali e rituali, prima di tutto quello di asse che mette in comunicazione differenti livelli di esistenza; inoltre l’albero è di solito un sempreverde, da cui l’idea di “qualcosa” sempre presente o in alternativa è comunque implicita l’idea che l’albero dà frutti. Per i Tatari di Abakan al centro della Terra esiste una gigantesca montagna sovrastata da un albero e la struttura dell’intero Universo è distribuita lungo quest’asse verticale. Per l’etnia Bamana l’intero Universo è una continuità di differenti livelli che prende la forma di un albero. Eloquente l’assimilazione della croce all’albero in talune rappresentazioni tardo medievali, ad esempio quella di Giovanni da Modena, dove il Cristo è crocifisso ad un albero. Il Buddha Siddharta Gautama raggiunge il Nirvana meditando presso un albero, in una sorta di continuità con la tradizione vedica in cui il Soma, o “bevanda d’immortalità”, veniva estratto da un albero sacro, l’Aśvattha. Yggdrasil è l’albero cosmico le cui radici affondano fino al cuore della terra dove si trova Mimir (il ricordo) in cui Odino ha lasciato in pegno un occhio. L’occhio divino è la conoscenza appresa dal ricordo, la reminiscenza del Sé.
Quando non è l’albero è un palo, un fusto privato dei rami che può essere scolpito con figure, come in talune culture tribali dove ancor più frequentemente è dipinto da simboli zoomorfi piuttosto che geometrici, da colori indicanti le direzioni dello spazio e le loro qualità: palo che attualizza l’asse cosmico e che lo sciamano risale durante particolari rituali. Si pensi al palo siberiano “l’idolo di Shigir” datato a circa dodicimila anni fa, non molto differente dai pali sciamanici ancora in uso. Noto è il palo centrale rituale della Danza del Sole tra gli aborigeni nordamericani. Tra gli Ojibwa per tradizione millenaria esistono quattro tipi di pali iniziatici, ciascuno con uno, due o tre anelli colorati in cima e il cui colore corrisponde ad uno stato evolutivo della coscienza; il quarto livello, quello della rottura del limite, del passaggio all’Incondizionato, è simboleggiato da due pali a forma di croce, dal Nord dove il Sole non si manifesta e dal colore nero, non meno che implicitamente da tutte le direzioni dello spazio e dall’insieme dei colori.
Nelle Upanishad si trova “il fiume senza età” a fianco dell’albero cosmico. Altro tema connesso è quello dei fiumi che sgorgano dall’albero cosmico, simbolo delle direzioni dello spazio, della differenziazione nel molteplice, e dei canali di energia (nadi) del corpo umano sintesi microcosmica dell’Universo, dove la purificazione delle nadi attiva la vajra-nadi, più nota come kundalini, naturalmente dormiente, che percorre l’asse cerebro-spinale e divora il tempo. Così nell’ambito dell’ascesi dello yoga i simboli religiosi sono potenzialità celate nell’essere umano. Kundalini risvegliata è un movimento di energia ascendente a spirale così da essere raffigurata come serpente, e se il serpente nella tradizione biblica è il tentatore di Eva – in ebraico Eva è tradotto con esistenza, vita – è anche il “battello” con la prua serpentina che Gilgameš incontrerà nel momento di attraversare le acque dell’Oceano, le acque (le forme) oltre il firmamento, direzione indicatagli da Siduri. Ma raggiunta l’altra sponda Gilgameš intende che “nulla permane. Dormienti e morti, quanto sono simili”. L’eroe archetipico di Uruk, conosciuto nella scrittura cuneiforme sumera, in parte divino e in parte umano, dopo varie temibili imprese e dopo aver attraversato la tenebrosa montagna Māšu, entra in un giardino-gioiello e incontra Siduri, “colei che fa il vino”, a cui Gilgameš chiede come trovare l’immortalità. Tema rapportabile all’Albero della Vita del Paradiso – in greco paràdeios significa giardino – ovvero nel centro dell’Universo, da cui emanano le potenze creatrici del Creatore, potenze che nella teologia bizantina di Gregorio Palamas sono conoscibili attraverso l’ascesi, nel mistico ritorno allo stato edenico. Che l’albero sia il medesimo della Scienza, della Conoscenza del Bene e del Male, oppure nascosto e difficilmente raggiungibile, non modifica l’ampiezza del simbolismo. Una determinata condizione d’esistenza non è mai definitiva, ovvero conosce una durata e la morte, come avvenuto anche per Gilgameš, ma è in continua comunicazione, se non di fatto almeno in potenza, con tutti i livelli cosmici dell’Albero della Vita. In numerosi miti di varie civiltà l’albero è al centro della Terra o sito su di una montagna, dove la montagna veicola implicitamente la medesima idea assiale dell’albero. In Cina andare in pellegrinaggio significa letteralmente “rendere omaggio alla montagna presentando l’incenso”. Perno tra il mondo degli spiriti e quello degli uomini, le montagne sono considerate porte di accesso a questa trama energetica e spirituale, sacre nella misura in cui il soffio vitale emana da grotte misteriose. Si ritrova qui un simbolismo universale, quello del cuore umano simboleggiato dalla grotta. La più antica rappresentazione del corpo umano figurato come montagna è del Canone taoista del XIII secolo, per cui nell’alchimia interiore (neidan) si insegna che bisogna risalire al Cielo tramite la regolazione dei soffi energetici che permeano e rendono vitale il corpo. Nel pensiero cinese tradizionale l’Universo è composto da Cielo e Terra, yang e yin, che vengono collegati e mediati dalla montagna-uomo. Il Golgota era considerato essere al centro del mondo, montagna cosmica e sito dove Adamo era stato creato e sepolto, e dove il Redentore venne crocifisso. Quindi idea della genesi del mondo e suo rinnovamento per tramite del sacrificio divino, tema presente in differenti civiltà. Nei Purana il Monte Meru si erge anch’esso al centro del mondo e collega Cielo e Terra intesi come polarità originale in cui si divide il “corpo” di Visnu, Essenza e Sostanza. Il Monte Meru se è genericamente pensato come un luogo dove è possibile trovare un’apertura alla comunicazione con differenti livelli d’essere, è essenzialmente un asse interiore, non afferrabile dai sensi che percepiscono il mondo esterno, che risale a ritroso alle origini del Cosmo abolendo il tempo.
Madame Janus