«Basilicata che bello!». Il responsabile della comunicazione – un vero genio – dell’ex presidente della Basilicata, Vito De Filippo, coniò questo claim negli anni d’oro del governo della piccola-grande regione meridionale. «Basilicata che bello!», neanche fosse un modo di vivere, un invito a raggiungere un eldorado fatto di felicità, sviluppo, gratificazione sotto tutti i punti di vista. La realtà è, però, tutto il contrario di quanto volle trasferire il genio della comunicazione regionale, forse calato troppo nel ruolo di qualche attore o regista che raggiunge la Basilicata grazie all’attiva film commission. Piccola per numeri, grande per dimensioni la Basilicata è la regione che patisce di più sottosviluppo ed emigrazione. La regione dei due mari non ha neanche 570mila abitanti, distribuiti su un territorio grande quanto le Marche. I dati sullo spopolamento sono chiari e preoccupanti. Nel 2017 (a dirlo è l’ultimo rapporto Istat) quasi 3.300 lucani sono andati via e la tendenza non è destinata a cambiare. Ancora più impietosi i dati della Banca d’Italia: l’occupazione in Basilicata si è ridotta del 2,2 per cento, a fronte di una crescita dell’1,2 per cento nel Mezzogiorno. Il centro studi della Uil ha evidenziato che il tasso di occupazione è sceso al 49,5 per cento (dal 50,3), mentre per i laureati è rimasto sostanzialmente stabile al 68,9 per cento, circa dieci punti percentuali in meno rispetto al dato nazionale. Nell’anno accademico 2016-2017 l’Unibas ha perso 2.356 studenti (su un totale di 3.108 immatricolazioni). Negli ultimi dieci anni settemila giovani laureati hanno lasciato la Basilicata. Possibile che neppure con le estrazioni del petrolio ci sia stato un miglioramento della vita dei lucani? A Viggiano e in altri Comuni sono presenti i giacimenti petroliferi sulla terraferma più prolifici d’Europa. Ogni giorno Eni pompa dal sottosuolo della Basilicata circa 130mila barili di oro nero. A questi se ne aggiungeranno altri 50mila con l’imminente entrata in funzione del giacimento Tempa Rossa, gestito dalla Total. Ma non basta il petrolio per essere felici. Le strade della Basilicata sono rimaste le stesse di sessant’anni fa. Poche le nuove infrastrutture. Matera, capoluogo di provincia, capitale europea della Cultura nel 2019 è senza una stazione ferroviaria. Raggiungere l’estremità sud della regione dal Vulture, area che confina con la Campania e la Puglia, famosa perché scelta nel Duecento da Federico II come sede del suo Impero, richiede almeno due ore e mezza di auto. In poco più di tre ore si arriva a Roma.
Se i lucani scappano, bisogna trovare dei sostituti. L’avrà pensata così il presidente della Regione Marcello Pittella. Nel 2016 ha accolto a braccia aperte il magnate egiziano Naguib Sawiris, ideatore del progetto “We are the people”. Il patron del colosso Orascom vorrebbe collocare migliaia di extracomunitari nelle valli e sulle colline della Lucania. Qualche tempo fa Sawiris dichiarò al quotidiano La Stampa che «intende pianificare un progetto che coinvolga cultura, turismo, agricoltura, industria». «Voglio creare – disse – posti di lavoro per i migranti e per gli italiani, perché solo se crei occupazione per tutti eviti le guerre tra poveri». Ma perché non pensare ad un progetto del genere per chi è residente già in certi luoghi ed impedire uno sradicamento identitario dannoso quanto una guerra? Di “We are the people” al momento si sono perse le tracce. A Palazzo Chigi non ci sono più Renzi e Gentiloni, un tempo spalleggiatori forti della non–politica lucana.
Le domande dei cittadini più accorti, compresi i tantissimi turisti che raggiungono ogni giorno la suggestiva Matera, si susseguono. Come mai questo scenario economico-sociale disastroso? Eppure, la Basilicata ha espresso plenipotenziari della politica. Le gesta, in regione e fuori, di Emilio Colombo (fu presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, tra le varie cose) sono nelle pagine della storia politica nazionale e della Democrazia cristiana. La piccola-grande Basilicata ha avuto negli ultimi vent’anni un riferimento granitico a Bruxelles e Strasburgo, Gianni Pittella, ora senatore, fratello dell’attuale governatore Marcello Maurizio, ma eletto in Campania con il ripescaggio nel proporzionale lo scorso 4 marzo dopo la valanga di voti per Lega e M5S. Gianni Pittella è stato vicepresidente del Parlamento europeo e capogruppo a Strasburgo dei social-democratici. Roberto Speranza è stato capogruppo alla Camera del Pd, prima di lanciarsi nell’avventura di Leu, fido scudiero di Bersani e in compagnia di Pietro Grasso. Anche l’enfant prodige della sinistra democratica è stato bocciato dai lucani a marzo. Speranza è stato eletto deputato in Toscana. Filippo Bubbico, già presidente della Regione, è stato viceministro dell’Interno nei governi Letta, Renzi e Gentiloni. Subito dopo l’elezione nel 2013 al Senato, l’allora presidente della Repubblica Napolitano lo nominò membro della cosiddetta “Commissione dei saggi” per intraprendere iniziative legislative in campo economico e sociale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti nella piccola-grande Basilicata. Il 4 marzo i lucani gli hanno detto «può bastare così». È stato battuto nel collegio di Matera-Melfi dal giovane ingegnere Gianluca Rospi del Movimento 5 Stelle. Vito De Filippo, anch’egli ex presidente della Regione (evidentemente questa carica nei governi di centrosinistra era garanzia di qualità e portava molto bene), è stato sottosegretario alla Salute prima nel governo Renzi e all’Istruzione, poi, con l’arrivo di Gentiloni. Nonostante questi pezzi da novanta del centrosinistra le condizioni di vita dei lucani non sono migliorate alla faccia del genio della comunicazione regionale. «Basilicata che bello!».
Gennaro Grimolizzi