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DAL G7 CANADESE MOTIVI DI SPERANZA PER LA ROVINA DELL'OCCIDENTE. UN PASSO AVANTI PER LA FUTURA RICOSTRUZIONE DELL'EUROPA? Di Adolfo Morganti.

A tutti i commentatori non eccessivamente accecati dalle ideologie del crepuscolo della modernità e dalla fuffa massmediale, è risultato evidente che la prima vittima della recentissima riunione del G7 tenutasi a La Malbaie, nel Quebec (Canada), al netto delle liturgie del caso, è nientepopodimenochè… l’Occidente.

L’Occidente come eredità tardiva della guerra fredda, area euro-atlantica à tete americane; l’Occidente come utopia mondialista realizzata, con-centrata su una concezione del mondo turbo-capitalista e pertanto di un economicismo aprioristico e stucchevole (il culto laico dei “mercati” che ogni italiano ha ben imparato a conoscere e temere) quanto superato dai fatti: la riunione delle “7 maggiori economie del mondo” mantiene oltretutto in piedi – quantomeno per chi ci crede ancora – una menzogna storica, quella dell’equivalenza fra PIL e peso politico globale; e basti non solo rammentare l’assenza dal club di Cina e India e l’espulsione della Russia, ma anche meditare sul rapporto tra il peso politico globale dell’Italia e quello, solo per fare un nome a caso, del Brasile. Oppure, ancor più vicino, di Israele.

L’Occidente come terra in cui nasce, si afferma ed ancor di più domina il radicalismo di massa, come già l’aveva scorto Augusto del Noce negli anni ’80. Un’ideologia totalizzante e totalitaria, che non ammette divaricazione dalla regola del “politicamente corretto” stabilita ed imposta da interessanti lobbies anglosassoni, e che mantiene la propria presa sui popoli del mondo grazie ad un uso massiccio della manipolazione mentale delle masse tramite i sempre più ampi meccanismi simmetrici della diffusione di nuovi media e di allucinatori “diritti”: realtà virtuali stupefacenti nel senso etimologico del termine, che allontanano dalla comprensione e addirittura dall’esperienza della realtà concreta.

L’Occidente in cui, non per errore ma come cosciente prosecuzione di una concezione pseudo religiosa del mondo, eredità finale dell’individualismo protestante, vi sono sempre meno ricchi che sono sempre più ricchi; sempre più poveri che sono sempre più poveri. L’accumulo “infinito” del denaro come metro del favore divino e della giustizia morale, patrimonio di una Santa Minoranza.

L’Occidente che realizza storicamente la profezia entusiasta di Karl Marx: liberato dai “variopinti vincoli” medievali, l’uomo è, finalmente, “nudo di fronte all’onnipotenza dello stato”. Che celebra come conquiste dell’umanità il suo arrogarsi a decidere della vita e della morte dei cittadini.

L’Occidente che incarna la metafisica libertina della dissoluzione di ogni identità: la “fine della storia” del mitico Fukuyama il quale, benché smentito mille volte dai fatti, ha comunque vinto: prova ne sia che non esiste “uomo occidentale” capace di pensare (con semplicità) storicamente e di mettere in crisi, prima di tutto dentro sé stesso, l’idolo della definitiva superiorità della civiltà occidentale moderna. Ed è per questo che l’Occidente è alla fine della strada, è destinato a perire. Continuare a ripetersi come un mantra new age  “se i fatti confliggono con le mie idee, tanto peggio per i fatti” fa tanto Emma Bonino, ma non funziona.

Siccome il tempo possiede anche una sua qualità ed un suo spessore (qualifiche che all’Occidente sfuggono per antonomasia, essendo negazione della dittatura del numero), ci stiamo avvicinando ad un anniversario scomodo: 30 anni fa, nel gesto plebeo e sommamente populista dell’abbattimento del muro di Berlino, risultava evidente a tutti il crollo dell’ideologia imperfetta del mondialismo, il comunismo; ed oggi ci accingiamo a contemplare il parallelo processo di frattura e crollo dell’Occidente. Avendo oramai mangiato il mondo, l’Occidente incapace di contemplare un modello di vita che non si risolva nella crescita della curva dei profitti dei pochi, divora sé stesso. E le grida dei morsicati si elevano alte e stridule.

Nel bel paesaggio quebecquoise, il sammit del “7 grandi” ha esposto indecentemente, infatti, molte linee di frattura che oppongono l’Occidente a sé stesso: la questione russa, la resurrezione del protezionismo e l’affondo al cuore dell’ideologia del “libero mercato” (i famosi dazi USA), e la sempre più marchiana crisi dell’Unione Europea, respinta dagli antichi padroni ma incapace di darsi una qualsivoglia direzione politica diversa da quella impostale nel secondo dopoguerra. E a ciò aggiungendo la plateale schizofrenia dominante all’interno degli USA, in cui si riesce nel contempo a chiedere il ritorno della Russia in un rinnovato G8 e a bacchettare il governo italiano poiché dichiara che il re è nudo e le sanzioni “per l’Ucraina” alla medesima Russia non sono sacre né utili, si trae l’immagine conclusiva dell’affondamento di un secondo,  vecchio Titanic in cui l’orchestrina di Bruxelles è assolutamente incapace di fermarsi, o almeno di cambiar disco.

Chi abbia memoria d’Europa rammenta quanto scrisse Ernst Jünger ancora nel 1949 (in Oltre la Linea, trad. it. presso Adelphi): l’occidente è da allora fermo a metà nel passaggio attraverso la cruna dell’ago del nichilismo: le élites sono già al di là della strettoria, il corpo è bloccato indietro.

Sono passati 70 anni, e le crepe nel bastione del nichilismo si fanno sempre più macroscopiche, a dispetto della crescente isteria dei suoi queruli e variopinti ieroduli.

Questa crisi è anche la crisi dell’Europa finta/formale/astratta, quella che non sa che cogliersi come serva di un Occidente che non c’è più, che premette ontologicamente i trattati alla realtà (e lo fa perché nega ogni realtà storica e spirituale, e riserva a sé il privilegio di gestire il caos che ne deriva) e riduce tutto ad un ossessivo sciorinarsi di procedure autoreplicate, autoprodotte ed imposte dall’alto, alla faccia del principio di sussidiarietà, ai popoli europei. I quali popoli europei sempre più, fra passi avanti e passi indietro, stanno radunandosi al di fuori del recinto povero e isterico della modernità decadente: e non la bevono più.

Non c’è alcun bisogno di esser tesserati ad uno dei partiti dell’odierna maggioranza di governo italiana per comprendere che essa è parte del percorso per l’uscita dalle macerie del novecento, e quindi dell’Occidente. E nel panorama dell’Europa Unita costituisce una novità essenziale e baricentrica. Per la rinascita dell’attenzione e della cura verso l’Europa vera, fatta di Europei, di storia, di concretezza, attendiamo con grande curiosità il 2019.

Adolfo Morganti

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