Il 24 aprile 2018 ricorre il 103° anniversario del Genocidio degli Armeni, ‘il primo genocidio del XX secolo’. Perpetrato dall’Impero Ottomano tra il 1890 e il 1922, questo episodio di sterminio sistematico sta gradualmente emergendo negli ultimi anni in seguito allo scatenarsi di numerosi dibattiti atti a mettere in discussione sia la terminologia utilizzata per connotare l’accaduto, quanto la sua veridicità storica. La Turchia, infatti, nonostante le testimonianze di varia tipologia, si ostina a portare avanti un tipo di politica negazionista nei confronti di una pagina della propria storia che cerca in tutti i modi di tenere all’oscuro.
Gli anni presi in considerazione costituiscono per la Turchia un periodo di forte fervore nazionalista, accompagnato dalla necessità di creare omogeneità culturale e religiosa, durante il quale vennero messe in atto ripetute ondate di massacri nei confronti del popolo armeno, ritenuto un pericolo per l’unità e l’equilibrio dello Stato. Un nemico che, in quanto cristiano e quindi tendente a guardare all’Occidente, poteva costituire un ostacolo per la buona riuscita del progetto governativo sia con le richieste d’autonomia, quanto con alleanze esterne.
Dal momento che la violenza è avvenuta in più ondate si può intuire che alla base di questa vi sia stato un intento di distruzione totale di una nazione, un tentativo di eliminare il popolo armeno come soggetto storico, culturale e politico in quanto, sino all’ultimo, non fu dimostrata pietà alcuna. A conferma di ciò, basti pensare alla sorte spettata agli armeni della Cilicia tra il 1920 e il 1922, quando i Turchi portarono a compimento il genocidio sterminando anche gran parte di coloro che riuscirono a scampare ai massacri precedenti.
Il Regno armeno di Cilicia, noto anche come Piccola Armenia, verso la fine del XV secolo contava venti milioni di abitanti, per la maggior parte Armeni. Paese prospero, fulcro della cultura e della identità nazionale armena, la sua capitale Sis vantava il nome di baluardo della cristianità in Oriente. Nel corso dei secoli questo territorio ha subito continui soprusi da parte degli ottomani tramite persecuzioni, conversioni forzate e severe imposizioni come l’utilizzo esclusivo della lingua turca, pena il linciaggio.
A seguito del Primo Conflitto Mondiale, con la sconfitta dell’Impero Ottomano, questa Regione passò sotto il controllo dell’Occidente, secondo gli accordi Sykes-Picot del 1916, e venne conteso tra Francia ed Inghilterra. Con la presenza straniera, gli armeni fuggiti dalle persecuzioni avvenute durante la guerra furono in grado di ritornare nella propria terra. Nel 1919, terminata la disputa tra francesi e inglesi, il controllo della Cilicia venne affidato formalmente alla Francia con la promessa da parte dell’Inghilterra di occuparsi dei rinforzi e dei rifornimenti della zona. Ma ciò non avvenne e le unità francesi rimasero prive di supporto.
Infastiditi dalla presenza delle forze alleate e consapevoli della debolezza dell’esercito nemico, i turchi sollevarono una violenta insurrezione. Le principali città della Cilicia subirono lunghi assedi da parte dei turchi con l’obiettivo di portare allo stremo delle forze le truppe impegnate nella resistenza. Esempio emblematico è il massacro di Marash del 1920. In seguito alle tre settimane d’asserragliamento e ai pareri contrastanti dei vertici sul rimanere o meno, le truppe francesi ricevettero l’ordine di ritirarsi dalla città che rimase in balia della distruzione. Le case e gli edifici dei quartieri armeni vennero dati alle fiamme e chi man mano riusciva a sopravvivere si rifugiava nelle chiese, punti cardine della città:
‘’Quando iniziò l’inferno Anna aveva 9 anni. Ricordava di essersi rifugiata in una chiesa con i suoi genitori, insieme ad altre persone. I suoi due fratelli maggiori, entrambi soldati, non erano lì con loro. Il cibo scarseggiava e i turchi stringevano la cerchia attorno alla città. Si diceva che le case dei cristiani, le postazioni francesi e le chiese venissero incendiate. Rimanere lì dentro, senza cibo né acqua, li avrebbe comunque portati alla morte. Il padre, Hagop, decise di rischiare ed uscire allo scoperto nella speranza di riuscire a fuggire. All’impresa si unì anche un amico ed è grazie a quest’uomo che ebbero salva la vita: fece in modo di attirare l’attenzione dei sopravvenenti soldati Turchi correndo nella direzione opposta a quella presa dalla famiglia. Si udirono degli spari accompagnati da grida di scherno: “Un coniglio. Sta scappando un coniglio”.
Continuarono la loro fuga caricandosi questo macigno sulle spalle per tutta la vita e conservando nella mente le urla delle giovani donne, sventrate dai loro nemici giunti sul posto. Questi furono gli ultimi ricordi di Marash. Dopodiché la lunga camminata nella polvere della natura rocciosa: dovettero percorrere i sentieri evitando le strade principali, passare oltre i cadaveri che giacevano abbandonati in mezzo a quei luoghi aridi. Poi il ricordo si offusca. Raggiunta la Siria si è salvi; ad Aleppo le autorità francesi gli consegnarono un passaporto. Anna si ricordò che suo padre, nei giorni in cui erano tutti rifugiati nella chiesa, aveva realizzato due pezzi di legno appuntiti che si era portato addosso durante la fuga. Seppe che erano destinati uno a sua madre e uno a lei per evitare loro lo scempio qualora fossero cadute in mano a soldati o gendarmi turchi. ’’
Dodicimila furono le vittime armene nella città di Marash. Coloro che avevano trovato rifugio nelle chiese vennero arsi vivi, chi ne usciva veniva sgozzato e chi cercò di aggregarsi alla ritirata francese venne fucilato. Pur essendo consapevoli di quanto stava accadendo non si poté far nulla:
‘’Serop, il marito di Anna, era un bel po’ più grande di lei. Nato a Cesarea, la sua famiglia si era poi trasferita a Costantinopoli. Lì proseguì i suoi studi e successivamente si arruolò di sua volontà nell’esercito britannico di stanza in Cilicia, convinto di riuscire questa volta ad ottenere l’autonomia del popolo armeno. Quando l’Inghilterra decise di ritirarsi dalla Regione cedendola al protettorato francese, Serop si ritrovò in Egitto. Una volta lì, non era concesso uscirne per tornare indietro. Questa fu la grande disfatta. Non si parlò più. La risposta a qualsiasi domanda gli venisse posta era: Guarda avanti. Vivi i tuoi giorni. ’’
Una cultura, una presenza, valori plurimillenari ammutolivano. Con la vittoria dei turchi nell’operazione di epurazione delle città e le deportazioni degli ultimi armeni nelle zone desertiche della Siria, si concludeva il loro progetto nazionalistico.
Seppur sia stata realizzabile la distruzione tangibile di un popolo e lo sradicamento di esso dalle loro terre, è risultata invece impossibile la distruzione di un’identità che affonda le sue radici nella fede, nella spiritualità e nel legame con i propri tratti distintivi atavici.
Testimonianza di Anne Marie Sislian In memoria di Anna Tcharekian e Serop Sislian
Daniela Errico