Intervista a fr. Bahjat Karakach, parroco del convento di San Paolo a Damasco
Dopo le bombe dei ngiorni scorsi, vi siete agitati più voi, in Europa, che noi qui in Siria». Con tono tranquillo e affabile Frate Bahjat Karakach commenta il recente bombardamento in Siria da parte di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Il religioso siriano appartiene alla Custodia di Terra Santa ed è parroco del convento di San Paolo, situato nel quartiere cristiano di Bab Touma, a Damasco.
A cura di Gennaro Grimolizzi
Fra Bahjat, com’è la situazione nella capitale siriana?
Abbastanza tranquilla. Dopo i bombardamenti dello scorso 14 aprile, direi che vi siete agitati di più voi in Europa. Qui la gente, già alle prime luci dell’alba del 14 aprile, è andata regolarmente al lavoro. La guerra sta avendo conseguenze a livello umano e sociale disastrose. Ci sono ferite sociali che bisogna rimarginare. A Damasco c’è molta povertà, come in tutto il Paese, e la disoccupazione è altissima. Quasi tutte le famiglie hanno perso un loro caro. E poi c’è stata la fuga dei giovani. Tanti anziani sono soli. Molte persone sono invalide. In tutto questo la gente prova a vivere in maniera dignitosa. Qui a Damasco per fortuna la maggior parte delle bellezza artistiche ed architettoniche è stata preservata. La capitale in un certo senso è stata protetta.
La gioventù siriana è stata privata del suo futuro completamente. Difficile pensare al domani?
Negli ultimi tempi ho notato un senso di ottimismo maggiore. Le persone sono pronte e capaci per ricostruire il loro Paese. Incoraggiare quei giovani che sono rimasti qui non è semplice. Guardiamo alla Siria del futuro come ad un Paese in grado di ritrovare risorse e capacità per ripartire. Speriamo bene.
Come potrebbe avvenire questa ripartenza?
Soprattutto dall’educazione e trasferendo ai più piccoli insegnamenti basati sul rispetto verso l’altro. È importante far capire che le contrapposizioni non si risolvono con le prove di forza.
In Siria si sta assistendo ad una situazione analoga a quella vissuta nel confinante Libano oltre trent’anni fa….
La fuga di tantissimi giovani anche qualificati ha inaridito il tessuto sociale. Mancano, ad esempio, medici specializzati. Noi siriani siamo molto legati alla nostra terra e alla nostra cultura. Speriamo che chi è fuggito possa poi tornare in Siria ed essere protagonista della ricostruzione in tempo di pace.
Quali notizie giungono dalla zona di Al Ghouta?
I territori sono stati liberati dalla presenza dei terroristi. Pian piano la vita sta tornando. Lo Stato sta cercando di normalizzare la vita in quei luoghi.
La Custodia di Terra Santa è particolar molto attiva per alleviare le sofferenze della popolazione. Vi rapportate anche con le autorità governative?
Noi e le altre chiese abbiamo buoni rapporti con le autorità civili. In alcuni casi esiste una proficua collaborazione. La Chiesa latina attualmente sta collaborando con il Gran Muftì di Aleppo per risolvere la questione dei bambini senza padri. I più piccoli stanno pagando il prezzo più caro di questa guerra. Tanti bambini sono nati da relazioni clandestine, extraconiugali, per la presenza di stranieri giunti in Siria per svariati motivi. Si sta facendo una legge per tutelare questi bambini e riconoscere loro la cittadinanza siriana. Posso dire che si tengono ben distinti gli ambiti: la chiesa non può sostituire lo Stato e lo Stato non può sostituire la chiesa. Siamo poi molto impegnati in programmi specifici di recupero psicologico, di reinserimento nel mondo lavorativo per coloro che hanno perso tutto e hanno bisogno del giusto sostegno per ripartire.
I vari fronti di crisi aperti in Medio Oriente stanno avendo ripercussioni molto negative per le comunità cristiane?
Sicuramente sì. La nostra comunità, come tutto il mosaico religioso presente, è molto fragile dal punto di vista numerico. Ma non dal punto di vista culturale e sociale, perché siamo qualificati ed impegnati in tanti ambiti. Se guardiamo agli ultimi decenni, possiamo notare un calo spaventoso dei cristiani in Medio Oriente. Questa situazione rende la società più povera da un punto di vista culturale. Non demordiamo e proseguiamo le nostre attività con diversi progetti. Con il Vaticano abbiamo avviato il progetto “Ospedali aperti” in favore di tre strutture cattoliche, due a Damasco ed uno ad Aleppo, per offrire cure gratuite ai cittadini più poveri. È un sostegno importante, dato che in Siria le cure mediche sono costose. L’incoraggiamento costante del Papa ci dà grande entusiasmo.