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IL VOTO DELLE DIASPORE: OLTRE IL GELO DEI NUMERI, LA PROSECUZIONE DI OBBIETTIVI POLITICI. Di Berta Raviano.

Il voto delle comunità di origine straniera è un argomento di intensa discussione politica soprattutto nel periodo successivo agli scrutini. Solitamente si tratta di un dibattito piuttosto superficiale che non tiene conto della complessità dell’analisi che necessità di un reale approfondimento sociologico. Quello attorno cui si discute sono sempre i “freddi numeri” che vengono di volta in volta interpretati in maniera strumentale a precisi interessi politici che o cercano di demonizzare le minoranze politiche sul proprio territorio (ad esempio richiamandosi a insidiose “quinte colonne”) o cercano di glorificarle.

Dunque, a seconda delle esigenze, le comunità di origine straniera a volte sono fondamentali all’esercizio della democrazia a cui adducono la loro ricchezza culturale intrinseca, mentre, altre volte sono un elemento di disturbo alla stessa democrazia in quanto pericolosamente influenzate da una cultura aliena che, il più delle volte, esprime ostilità verso il Paese ospitante attraverso i propri mass media – anche in questo caso, ovviamente, a seconda della manipolazione politica del dato, la stampa passa da fattore di “oggettivazione positiva” dell’elettore espatriato a elemento di confusione e influenza negativa. Al di là della manipolazione a uso e consumo della politica si potrebbe sostenere che, generalmente, si può notare come il voto delle comunità delle diaspore sia sostanzialmente molto vicino al risultato riscontrato in patria e, in certi contesti, ne esprime un parere molto più enfatizzato e meno equilibrato. Prendendo in considerazione nello specifico il voto delle comunità italiane all’estero, questo si allinea, sostanzialmente, ai risultati espressi dai concittadini “autoctoni”. Nel caso delle elezioni del presidente americano, ad esempio, il voto degli italo-americani si è orientato in maniera talvolta anche molto netta verso il presidente eletto. Si potrebbe citare il caso del Rhode Island, dove la numerosa comunità italiana ha votato quasi al 60% per Trump. Con cifre leggermente più bilanciate, anche la comunità italiana in Connecticut ha risposto alla stessa maniera. Sono dati ricavati su base demografica (dove la comunità italiana è più popolosa si fanno delle valutazioni sui risultati dei seggi) in quanto, ovviamente, non è esattamente rilevabile il voto su base etnica con precisione matematica. Stessa dinamica intervenuta sia in Francia per le presidenziali che in Catalunya in occasione del referendum per l’indipendenza: qui la comunità di origine italiana è molto densa ed è la più numerosa di tutta la Spagna; questa è diventata “indipendentista per contagio” come titolano alcune interviste fatte da alcuni giornali negli scorsi anni. Vi sono occasioni in cui il voto “di squadra”, come minoranza etnica, oltre ad allinearsi al risultato, come nei casi precedenti, si traduce anche in un’opportunità politica. È il caso del referendum in Crimea del 2014. Nel 2008, a Kerč è stata costituita l’associazione Comunità degli Emigrati in Regione di Krimea – Italiani di Origine, Cerkio, con l’obiettivo di salvaguardare la cultura e la lingua italiana in Crimea con l’organizzazione di corsi di italiano, la raccolta di volumi che testimoniano l’attuale e antica presenza italiana in Crimea, la ricostruzione dell’albero genealogico dei membri di questa comunità (circa 800) e il riconoscimento da parte delle autorità politiche come gruppo etnico perseguitato e deportato durante il comunismo. Dopo alcuni tentativi falliti con le autorità ucraine, in occasione del referendum sull’autodeterminazione della Crimea la comunità ha votato compatta per il Sì, vedendo anche l’annessione alla Russia come l’occasione per il raggiungimento dei propri obiettivi. Il 12 settembre del 2015, è in fine arrivato il riconoscimento per decreto come etnia perseguitata e deportata durante il periodo del comunismo (e come minoranza regolarmente riconosciuta in Russia) e l’impegno nel sostenere il Cerkio nei suoi obiettivi culturali. Il Cerkio aveva calcolato che una separazione della Crimea da una Ucraina che in quel momento ostracizzava le minoranze etniche e linguistiche avrebbe potuto giovare alla propria causa, soprattutto considerando la prospettiva, poi realizzata, di annessione alla Federazione russa, un Paese che fa della sua politica multietnica una bandiera.

In conclusione, il voto delle comunità etniche all’estero non è detto che sia semplicemente un momento di espressione individuale e motivo di sterile in quanto strumentale dibattito politico. Come per i cittadini del Cerkio, il voto può rappresentare interessi di gruppo e può essere una maniera non individuale di fare politica cercando di influenzare, partendo anche da una stretta cerchia di persone, apparati geograficamente e politicamente talvolta molto più estesi al fine di raggiungere obiettivi di primaria importanza sebbene collaterali allo scopo del voto in sé.

Berta Raviano.

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