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LA DESTRA, LE DESTRE E IL COMPLESSO DI INFERIORITA'. INTERVISTA AL PROF. MARCO GERVASONI. A cura di Gennaro Grimolizzi

Intervista al Professor Marco Gervasoni (Università del Molise e Luiss)

La destra del Front National in Francia è stata abile nel costruire una speranza, nel tramutare in consenso elettorale le inquietudini di una grossa fetta dell’elettorato, ma all’atto pratico si sarebbe scontrata con l’incapacità nel governare. Ne è convinto Marco Gervasoni, professore ordinario di Storia contemporanea all’Università del Molise e docente di Storia comparata alla Luiss. Gervasoni è autore del libro «La Francia in nero. Storia dell’estrema destra dalla Rivoluzione a Marine Le Pen» (Marsilio, 2017). E in Italia in che condizione versa lo schieramento opposto alla sinistra? Secondo Gervasoni, la destra sta vivendo una fase di transizione. «In tempi più recenti – dice – la mutazione della Lega a forza di destra nazionalista: una mutazione solo potenziale, a giudicare dai risultati elettorali, eccellenti solo al Nord, e peraltro frenata dalla rinascita della componente “federalista”, emersa nei referendum organizzati dai Presidenti delle Regioni Lombardia e Veneto».
Professor Gervasoni, perché tanta paura dei successi e dell’avanzata della destra in politica?

«Bisogna innanzitutto distinguere tra destra liberale, cristiano democratica, conservative (quella dei partiti del PPE, quella dei conservatori inglesi ecc.) dalla destra radicale, che oggi si può definire nazionalista, del Front national, dell’Afd, della FPO. Queste due destre nella storia hanno sempre intrattenuto dei rapporti complicati. E poi bisogna interrogarsi su chi abbia paura dei successi della destra cosiddetta “populista”: sono le tecnocrazie “europeiste”, la classe media globalizzata, le classi politiche dei partiti mainstream e ovviamente quella che potremmo chiamare “classe mediatica”.  Le ragioni di questi timori sono almeno due: una, molto concreta, che è quella di perdere il potere (economico  politico e simbolico) che queste classi hanno acquisito con la globalizzazione e con la costruzione della UE; l’altra, è che i voti a queste destre indicano che il progetto ideologico di una civiltà mondiale senza storia, senza passato, senza territorio, senza confini e  senza radici, fondata essenzialmente sull’Individualismo narcisista non è cosi facile da realizzare».

Con la vittoria di Macron in Francia in molti hanno tirato un sospiro di sollievo. Se avesse vinto Marine Le Pen, cosa sarebbe successo?

«Diciamo subito che Marine Le Pen non ha, mai, avuto nessuna chance di vincere. Tutti i sondaggi – che in Francia sono condotti meglio che altrove – la davano perdente, anche se si fosse scontrata con Mélenchon. E avrebbe perso anche se avesse condotto una ottima campagna presidenziale, che invece è stata pessima. Ma poniamo per assurdo che Le Pen avesse vinto: sarebbe stata inevitabilmente costretta a rivedere in senso più realistico le sue  proposte, a cominciare dall’uscita dall’euro, anche perché per governare avrebbe dovuto far ricorso a una classe politica estranea al suo partito, che non ha  figure sufficientemente competenti e attrezzate».

 

La sconfitta alle presidenziali del Front National ha sancito una definitiva marginalizzazione sulla scena politica di questo partito?

«Il modo con cui la campagna è stata condotta da Le Pen è una delle ragioni della crisi che vive da mesi il suo partito. Una crisi da cui potrebbe uscire, secondo me, solo cambiando ragione sociale e nome al partito, cercando di allearsi con i Républicains per creare una grande destra conservatrice, e poi, facendo un passo indietro: il nome Le Pen è un fardello».

Ma Marine Le Pen è stata protagonista di uno sdoganamento del Fn. Ci sono stati cambiamenti radicali rispetto a quando alla guida si trovava il padre Jean Marie?

«Su molti piani. L’antisemitismo, ormai assente. Anche il tasso di xenofobia, molto forte nel FN del padre, si è ridotto. Sul piano dei programmi economici, il FN di Marine si è spostato a sinistra ed è diventato quasi socialista. Il legame con il mondo cattolico integralista, assai forte negli anni del padre, è stato soppiantato da una posizione laicista. Il partito si è poi meglio strutturato, ha aumentato notevolmente, oltre ai voti, il numero di iscritti. Tutto ciò non è però sufficiente: il partito continua a essere demonizzato».

In Italia la destra è un oggetto misterioso? Stenta a darsi una identità?

«In Italia a uccidere la destra è stato il fascismo, che poi, come ci hanno insegnato tra gli altri Renzo De Felice, Ernst Nolte e Augusto Del Noce, fu per tanti versi una eresia della sinistra. E poi, nell’Italia repubblicana, l’esistenza di un partito centrale, della nazione, chiamato Dc, che doveva, per ragioni legate alla guerra fredda, tenere al proprio interno la destra, e il suo elettorato, oltre a una sinistra. Solo con la fine della guerra fredda, e grazie all’intuizione di Berlusconi, in Italia poté apparire una destra pronta ad andare al governo. Si tratta di una destra liberale e, almeno nel 1994, liberista, laica ma debitrice del liberalismo cattolico, moderatamente conservatrice anche sul piano valoriale. Il limite di questa famiglia politica è che pare ancora troppo dipendente dal carisma di Berlusconi, senza che sia possibile intravedere un continuatore. Interessante è, in tempi più recenti, la mutazione della Lega a forza di destra nazionalista: una mutazione solo potenziale, a giudicare dai risultati elettorali, eccellenti solo al Nord, e peraltro frenata dalla rinascita della componente “federalista”, emersa nei referendum organizzati dai Presidenti delle Regioni Lombardia e Veneto. Come la sinistra, anche la destra in Italia si trova in fase di transizione: probabilmente nei prossimi anni assisteremo a una ricomposizione profonda di questi due campi, con la scomparsa o la marginalizzazione dei vecchi partiti e la formazione di movimenti destrutturati ed elastici».

Il Movimento cinque stelle può essere collocato a destra?

«La forza del movimento è collocarsi al di fuori dell’asse destra-sinistra anche perché è il vero soggetto “acchiappa tutti” della politica contemporanea, con un elettorato una parte di destra, una parte di sinistra e una parte, consistente, che si definisce “apolitico” o addirittura “antipolitico”. Vero è che, soprattutto in ragione della crisi dei migranti, il Movimento cinque stelle, rispetto alle origini, ha cambiato posizione su diversi temi, quale appunto l’emigrazione), più vicini alle posizioni dei partiti di destra, radicale o conservatrice. Bisogna però ricordare che il programma originale dei Cinque stelle sull’economia e sul lavoro può essere definito tranquillamente liberista e non è cambiato».

Gennaro Grimolizzi

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