La cronaca giudiziaria regala sovente delle perle che fanno discutere per giorni, o perfino di più, tanto i semplici cittadini quanto gli operatori del diritto, e se è vero che le sentenze vanno rispettate, ciò non impedisce tuttavia che possano essere discusse e criticate; del resto, se fino in Cassazione è possibile discutere e perfino ribaltare le sentenze, perché non dovrebbero farlo le singole persone, siano esse avvocati, giudici, professori, giornalisti, normali cittadini? E proprio leggendo i commenti dei normali cittadini ci facciamo un’idea sull’opinione che essi hanno della nostra giustizia, e l’opinione è spesso impietosa, che si tratti di cause civili (fallimenti e divorzi e separazioni sono quelle più gettonate) o penali (e qui invece ad essere più discusse sono le cause riguardanti furti, rapine, truffe, atti osceni). E se certamente l’”uomo della strada” non conosce il diritto, non avendo mai studiato codici e manuali (e qui si potrebbe aprire una parentesi sulla necessità di insegnarlo anche nelle scuole), nondimeno, avendo nel suo cuore e nella sua mente l’idea naturale di giustizia, cioè che ad ognuno va tributato il suo, sia nel bene (un diritto) che nel male (una pena in caso di comportamento negativo), egli ha il diritto e forse anche il dovere di esprimere la sua opinione, e del resto la nostra giustizia non è “amministrata in nome del popolo”?
Veniamo al fatto in questione: è di due giorni fa la notizia che il Tribunale penale dei Minorenni di Bari avrebbe condannato un diciassettenne (prossimo alla maggiore età, quindi, non un minorenne di anni 14 o meno), che aveva ucciso un anziano gettandolo in mare e ne aveva ferito gravemente un altro (vedasi qui http://www.corriere.it/cronache/17_ottobre_25/monopoli-getto-anziano-mare-uccidendolo-niente-pena-ragazzo-se-studiera-tre-anni-e0c85e96-b982-11e7-886b-130d05763311.shtml e qui http://bari.repubblica.it/cronaca/2017/10/23/news/monopoli_uccise_77enne_facendolo_cadere_dagli_scogli_17enne_fara_volontariato_per_gli_anziani-179156472/ e, per la cronaca del fatto risalente a maggio, qui http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/puglia/anziano-gettato-dagli-scogli-a-monopoli-fermati-due-minorenni_3069781-201702a.shtml , http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/puglia/anziano-ucciso-a-monopoli-due-minorenni-accusati-anche-di-secondo-tentato-omicidio-il-15enne-accusa-l-amico_3069826-201702a.shtml e qui http://www.ilgiornale.it/news/cronache/monopoli-pensionato-ucciso-due-minorenni-stato-stupido-1393529.html ); non, quindi, deiezioni in pubblico, vandalismo, piccolo spaccio o piccoli furti, ma un efferato omicidio, crudele e per futili motivi, e un tentato omicidio che solo per fortuna non si è trasformato in un’altra morte. Per gli inquirenti il fatto in questione sarebbe una tentata rapina degenerata e finita male, i due minorenni, dopo essersi accusati a vicenda, avrebbero parlato invece di uno stupido scherzo; tra le due ipotesi, forse è perfino peggiore quella dello scherzo, che mostra un abisso di vuoto e di niente nelle menti di questi due giovani: la rapina della pensione, per quanto squallida, ha comunque una motivazione razionale, l’immediato facile profitto illecito, ma uno scherzo sadico e crudele ai danni di due persone indifese che avrebbero potuto benissimo essere i nonni dei due giovani assassini travalica ogni logica spiegazione.
Certamente, da dettato costituzionale ex art 27, la pena ha un fine rieducativo, e però, oltre alle esigenze giuspositive, esistono, ben più forti e cogenti, le esigenze metagiuridiche e giusnaturali: è iscritto nel cuore e nella mente di ogni uomo che una persona che sbaglia, proprio per giustizia, deve essere punita, a maggior ragione se si parla dell’atto contronatura per eccellenza, l’uccisione di una persona. Inoltre, il fine rieducativo della pena non può mai cancellare il giusto fine afflittivo e retributivo, anch’esso derivante dal diritto naturale e sistematizzato nella dottrina (su tutti, Mathieu, Bettiol e Mantovani, per non voler citare poi il padre del diritto penale ancora in vigore Rocco) e dalla Consulta (cfr. la sentenza 264/1974, in cui si esprime chiaramente come la “funzione e fine della pena non sia solo il riadattamento dei delinquenti” ma anche la loro giusta condanna). Dei nomi citati, solo Giuseppe Bettiol (1907 – 1982), fino alla fine, rimase convinto assertore, in memorabili pagine, del carattere primariamente retributivo e afflittivo della pena; dalla sua morte, nessuno dei grandi nomi (ex multis, Marinucci e Dolcini, sui cui testi penalistici si sono formati la maggioranza degli studenti universitari italiani) ha più sostenuto tale tesi, e purtroppo ne vediamo gli effetti negativi applicati nella società.
Chiaramente, una seconda opportunità non si può negare, specie a chi è comunque legalmente ancora minorenne, ma essa deve avvenire al termine e non all’inizio di un percorso, eppure quello prospettato dal giudice (scuole serali e lavoro in comunità) parrebbe troppo blando, come se il valore della vita di un anziano innocente potesse essere insegnato o risarcito con un diploma e tre anni di lavoro comunitario e socialmente utile. Come leggiamo dall’articolo del “Corriere della Sera” riportato sopra, “«I giudici sono andati a lungo alla ricerca di qualche movente recondito – rivela l’avvocato Sardano – che in realtà non c’era; alla fine hanno riconosciuto che si trattò di un atto scriteriato ma senza volontà di uccidere». Secondo l’avvocato, il suo assistito «voleva solo fare uno scherzo, un bagno fuori stagione all’anziano…»”, ed è proprio l’assenza di motivi, o il definire tale atto solamente come “scriteriato” che fa spavento; certamente buona è la scelta di inviare il diciassettenne in una comunità per anziani, in modo che possa rendersi conto che ha ucciso una persona debole, non un animale, e c’è speranza che questa esperienza gli serva di lezione, maturazione e conversione, e ampio ruolo avranno gli educatori, che dovranno relazionare ogni mese sul recupero e i progressi del ragazzo, eppure lo stesso giornalista, a chiusura dell’articolo, si interrogava sulla difficoltà del percorso per il giovane.
Perché non è in discussione la possibilità di reinserimento, recupero e redenzione, non è in discussione l’istituto codicistico della messa in prova, è in discussione però tutto il contesto di sostanziale demolizione della pena e della carcerazione, cui si assiste ormai da decenni per ragioni prima di tutto ideologiche; Rino Cammilleri, a chiusa del suo articolo pubblicato su “La nuova Bussola Quotidiana” del 27-10-2017 (qui http://www.lanuovabq.it/it/in-nome-del-reato-che-non-ce-piu ), scrive sagacemente: “Ora, poiché il caso del tribunale barese non è unico, si possono tirare le somme sulla strategia di fondo (meglio: filosofia) della magistratura nazionale post-sessantottina: omicidi, rapine e stupri sono ormai derubricati a «reati minori»; anzi, non sono neanche più reati, bensì bravate degne di ogni attenuante specifica e generica, da trattare con la massima indulgenza anche perché così non si intasano le carceri. Queste ultime, invece, devono avere tutto il posto che serve per i reati finanziari, quelli contro il fisco e quelli ideologici: su queste devianze il rigore della legge si abbatterà con tutta la sua possanza anche preventiva, perché lo Stato è Dio e il politicamente corretto è il suo verbo; da che mondo e mondo la lesa maestà divina è stata trattata con la severità massima. Abbiamo detto ideologici? Sì. Se l’omicida di Monopoli avesse perpetrato il suo «scherzo» ahimè funesto indossando una maglietta con su stampata la faccia del Duce gli avrebbero dato l’ergastolo. Dopo avere ingoiato la chiave.” ; gli possiamo obiettivamente dare torto? La prima reazione è di sdegno, ma poi mi dico: se l’Italia eleva a suoi eroi Pannella, la Bonino, Cappato, perchè dovrebbe condannare ad una giusta pena questo minorenne per l’uccisione dell’anziano? I due sopracitati non hanno propagandato impuniti per anni la barbarie dell’eutanasia, Cappato non porta i malati e i disperati a morire in Svizzera istigandoli? In uno Stato serio non avremmo mai sentito una notizia del genere, avremmo avuto semplicemente il report di una condanna pesante; nell’Italia moderna ed evoluta lodiamo invece l’apertura mentale del giudice che dà sempre una “seconda chance” ai criminali, dimenticandosi delle vittime (e in tutto ciò hanno concorso eccome anche i Pannella, le Bonino, i Cappato). Non ci si è concentrati di più, quasi ad assolverlo, sul minore assassino e non sul povero pensionato? O in un altro recente caso di cronaca, quello dell’avvocato di Latina che ha sparato al ladro in fuga (che si era organizzato da altra città e regione per andare a rubargli in casa), non si è fatto passare il ladro per “povera vittima” e l’avvocato per carnefice?
Proprio in un ordinamento come il nostro, personalista, dovremmo tornare ad avere attenzione per la vittima del reato, non per il colpevole, spesso peraltro non pentito e recidivo; concludo citando un illustre penalista, il professor Mauro Ronco, che proprio al tema della persona e del danno in ottica penale ha dedicato fior di studi, citando da un vecchio lavoro che, però, non ha affatto perso freschezza, anzi: “Se si dimentica la vittima, la distinzione fra giustizia e ingiustizia si affievolisce via via sempre più e il carnefice primeggia sulle rovine di una società priva di rettitudine e di energia morale. La memoria della vittima innerva la reazione vitale di un popolo che custodisce al suo centro la distinzione fra il giusto e l’ingiusto e rivendica il primato della giustizia contro ogni sopraffazione, da qualunque parte essa provenga.”
Roberto De Albentiis