Il 12 settembre 1903 la notizia della conversione al cattolicesimo di Robert Hugh Benson (1871-1914) sconvolse l’opinione pubblica inglese. Benson, infatti, non era un semplice prelato anglicano, ma il figlio dell’ex arcivescovo di Canterbury, il primate della Chiesa nazionale. Mai prima di allora un uomo che poteva vantare legami così importanti con gli alti ordini protestanti aveva abbandonato ogni comodità e privilegio per imboccare quella che Hilaire Belloc aveva chiamato “la via per Roma”. Le conseguenze, com’era prevedibile, non si fecero attendere. Le colonne dei periodici furono riempite d’inchiostro per commentare un evento che, all’inizio del XX secolo, pareva confermare quella tendenza di progressivo indebolimento dell’anglicanesimo che era ormai in corso da diversi decenni.
Dopo gli studi superiori a Eton e la laurea ottenuta a Cambridge, Benson era stato convinto dal padre, Edward White, a prendere gli ordini anglicani. Se, almeno all’inizio, lo zelo apostolico lo tenne lontano dai numerosi dubbi che già all’epoca ne tormentavano la coscienza, con l’improvvisa scomparsa del genitore, avvenuta nel 1896, crebbe vieppiù il disagio nei confronti di una realtà ecclesiastica frammentata e dalla vocazione tutt’altro che universale (come scoprì amaramente dopo un viaggio in Terra Santa, in cui gli fu addirittura proibito di celebrare sull’altare del Santo Sepolcro).
Trovò qualche consolazione nell’adesione alla Comunità della Resurrezione di Mirfield, una sorta di fraternità sacerdotale fondata nel 1892 da Charles Gore e Walter Frere. I confratelli indossavano come abito una veste in doppio petto, legata in vita da una semplice cintura di pelle, e le loro giornate erano divise tra il lavoro e la preghiera. Piuttosto frequenti erano inoltre le missioni presso le parrocchie limitrofe, iniziative promosse per favorire una nuova evangelizzazione dell’Inghilterra. Ma anche all’interno di un’esperienza di fede così profonda e sincera, Benson continuava ad avvertire lo stesso fastidioso senso d’insoddisfazione.
Fu così che decise di abbandonare tutto e rinunciare alla sicura carriera che gli avrebbero garantito le importanti amicizie famigliari.
Venne accolto nella Chiesa di Roma dal domenicano Vincent McNabb, noto tra l’altro per esser stato amico di G. K. Chesterton. Dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta a Roma nel 1904, trascorse un breve periodo a Cambridge – dove allevò una nidiata di promettenti scrittori cattolici tra cui Frederick Rolfe, soprannominato Baron Corvo, Ronald Firbank, Eustace Virgo, Shane Leslie e Vyvyan Holland, secondo figlio di Oscar Wilde – per poi ritirarsi nel 1908 presso l’abitazione di Hare Street, poco a nord di Londra. La casa, acquistata grazie ai proventi dei suoi libri, poteva vantare ampi spazi, un arredamento raffinato e un grande giardino in cui, in un secondo momento, fu costruita una cappella privata.
Instancabile predicatore e conferenziere, Benson intraprese diversi viaggi nel continente e in America. Ogni volta le sale erano gremite e le persone erano disposte anche a pagare il prezzo del biglietto d’ingesso pur di assistere ai suoi brillanti sermoni. Davanti alla folla, per nulla intimorito, il sacerdote subiva una strana metamorfosi: la naturale timidezza e la balbuzie che lo affliggeva sin dalla gioventù scomparivano come per incanto per lasciare spazio al fervore di un’anima sinceramente innamorata di Cristo. Le parole, che all’inizio fluivano lente, acquistavano improvvisamente vigore, stregando l’uditorio. Persino gli anglicani ammiravano la sua straordinaria facondia, e c’era chi a mezza voce si lamentava della mancanza di predicatori con pari qualità tra le file della Chiesa nazionale.
La crescente notorietà valse a Benson il grado ecclesiastico onorifico di Ciambellano papale di cui fu insignito nel 1911 da San Pio X. Come conseguenza si vide conferito il titolo di monsignore con la possibilità di indossare una veste conforme alla nuova dignità.
La frenetica attività del novello monsignore fu agevolata dalla relativa libertà d’azione di cui godette. Non volle mai essere nominato parroco, ma questo non lo distolse dall’impegno missionario.
Nell’esistenza di Benson un ruolo fondamentale lo ebbe anche la dimensione privata della fede che culminava nelle ore dedicate alla preghiera e alla meditazione. Allo studio dei più complessi problemi teologici il sacerdote inglese associava il gusto per la semplicità della celebrazione eucaristica che considerava la cosa più importante della sua vita. Pur naturalmente incline all’aperta militanza, costantemente immerso nel fango del mondo, non mancava mai di suggerire ai fedeli una seria pratica devozionale.
Nella sua corposa bibliografia, non a caso, figurano diversi opuscoli a tema religioso, costruiti spesso come una risposta alle principali accuse rivolte dai protestanti alla Chiesa di Roma. Con l’aiuto dell’amico e disegnatore Gabriel Pippet, approntò inoltre alcuni volumetti appositamente dedicati alla catechesi dei piccoli in cui presentare, nell’affascinante collaborazione tra poesia e arte, i principali articoli di fede.
Se ancora oggi il nome di Robert Hugh Benson è noto ai cattolici di tutto il mondo, lo si deve soprattutto alle indubbie qualità di romanziere. Il Padrone del mondo, il suo libro più famoso, è ormai diventato un classico della letteratura cristiana e non si conta il numero delle edizioni che si sono susseguite a ritmo frenetico a partire dal 1907, l’anno della pubblicazione.
La passione per i libri era nata nell’infanzia, a stretto contatto con il raffinato ambiente domestico. Il piccolo Hugh, come veniva confidenzialmente chiamato in famiglia, aveva a disposizione la grande biblioteca del padre che, prima di diventare vescovo, era stato insegnate presso la rinomata Rugby School. Anche la madre, Mary Sidgwick, poteva vantare un’educazione di alto livello: era sorella del famoso filosofo Henry, e Gladstone, il primo ministro inglese del gabinetto liberale, arrivò a definirla la donna più intelligente d’Europa.
Durante i pochi momenti liberi, Benson sfogliava avidamente le pagine dei suoi autori preferiti. Di H. G. Wells ammirava la passione con cui difendeva le proprie idee, mentre George Meredith, Thomas Hardy e l’americana Mary Stanbery Watts lo affascinavano per la consistenza delle trame e la perizia descrittiva.
Anche i fratelli si distinsero nel panorama culturale britannico. Arthur era docente a Cambridge e divenne noto al grande pubblico per essere stato il curatore dell’epistolario della regina Vittoria. Fred, che disapprovava più di tutti la conversione al cattolicesimo del fratello, fu uno scrittore di successo, abile nel ridicolizzare i costumi delle classi agiate e ricordato per la fortunata serie di Mapp e Lucia. Maggie fu invece una delle prime donne a essere ammessa all’università di Oxford e, divenuta egittologa, condusse alcuni scavi presso il tempio di Mut, vicino a Tebe. Nessuno di essi si sposò mai o ebbe figli.
Benson iniziò a scrivere poesie e articoli sin dai tempi dell’università, ma fu solamente nel 1903, con la pubblicazione del suo primo volume, La luce invisibile, che l’attività di romanziere iniziò ad affiancarsi sempre più stabilmente a quella di sacerdote. Intenzionato a piegare lo strumento letterario alle esigenze educative e missionarie, non concepiva la narrativa se non in stretta simbiosi con l’attività pastorale. Del resto il romanzo era uno strumento divulgativo singolarmente efficace in anni in cui la cultura iniziava, seppur timidamente, a trasformarsi in un fenomeno di massa.
Sempre a corto di soldi per finanziare i diversi progetti che gli suggeriva una mente in costante ebollizione, Benson scriveva a ritmi serratissimi, riposandosi solo dopo aver terminato il libro a cui stava lavorando. Preda di un vero e proprio furor scribendi, usciva dalla sua stanza esclusivamente per i pasti o per una breve passeggiata quando le idee cominciavano a latitare. É indubitabile che lo stress accumulato fu una della cause della prematura scomparsa del sacerdote, avvenuta quando non aveva ancora compiuto 43 anni.
Se la sua breve carriera fu comunque feconda, il risultato fu ottenuto a scapito della qualità dei testi che, tranne rare eccezioni, risentono di uno stile compositivo troppo frenetico e istintivo. Diversi errori e piccole incoerenze minano le trame che, alla lunga, presero ad assomigliarsi sempre più, suscitando nel lettore la fastidiosa impressione di una costante variazione del medesimo canovaccio. Tuttavia questo non ostacolò il grande successo di pubblico che rese Benson uno degli autori più stimati del suo tempo, impegnato anche nella composizione di racconti di fantasmi e testi teatrali a soggetto sacro. Una volta, messo alle strette da diverse critiche, con una punta di superbia arrivò a vantarsi di aver venduto più di tutti gli altri scrittori cattolici messi insieme.
Di notevole qualità è invece un piccolo gruppo di romanzi che, prendendo le distanze dalla moda coeva, seppe imporsi per l’originale provocatorietà dei contenuti. Tra essi spicca Il Padrone del mondo, distopia di una terra dominata dal laicismo massonico in cui l’Anticristo, sotto le sembianze di un misterioso politico, si prepara a sferrare l’ultimo attacco alla Chiesa.
Oltre al filone escatologico, un’indagine profetica sui tempi ultimi di cui fa parte anche il meno riuscito L’alba di tutto, Benson si destreggiò principalmente tra il romanzo storico e quello di ambientazione contemporanea. In opere come Con quale autorità?, Il trionfo del re, La tragedia della regina e Vieni ruota! Vieni forca!, l’affresco dell’Inghilterra del XVI, dilaniata dal diffondersi della Riforma, fa da sfondo alla vicenda drammatica dei molti che preferirono il martirio piuttosto che abiurare l’antica fede dei padri.
Un’eco della medesima rivoluzione religiosa si fa largo anche nella prosa a soggetto moderno in cui il protagonista, spesso un giovane da poco convertito al cattolicesimo, superato l’entusiasmo iniziale, si trova a sfidare le tentazioni della mondanità. Il tema è di volta in volta affrontato secondo prospettive diverse: se I necromanti narra dei pericoli connessi allo spiritismo, lavori come Il baronetto vagabondo sondano con sguardo pietosamente cristiano il delicato rapporto tra amore e sacrificio.
Al netto dei pregi o dei difetti dei singoli testi, Benson segnò un passo importante nella storia della letteratura cattolica britannica e spianò la strada a brillanti autori del calibro di G. K. Chesterton, Bruce Marshall, Evelyn Waugh, Graham Greene, J. R. R. Tolkien e molti altri ancora. A lui va soprattutto il merito di essere stato tra i primi a infrangere con la fama ottenuta quella marginalità culturale a cui il cattolicesimo inglese sembrava inevitabilmente destinato solo qualche decennio prima.
Luca Fumagalli