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RITRATTO DI UN SOLITARIO: LO SCRITTORE CARLO SGORLON. Di Luisa Paglieri.

Carlo Sgorlon (1930-2009)

Veniva pubblicato nel 1977, quarant’anni fa il romanzo Gli dei torneranno del friulano Carlo Sgorlon.

Questo anniversario ci offre lo spunto per parlare di quest’opera di narrativa che costituì una sorta di spartiacque tra due periodi di storia letteraria, un’opera, oggi piuttosto dimenticata o sottovalutata, che viceversa segnò una svolta nel mondo culturale essendo profondamente innovativa rispetto al panorama letterario di allora.

Gli dei torneranno non è solo un titolo, è anche un profondo concetto. Dopo le illusioni di un falso progresso, dopo la sbornia del consumismo e dei cambiamenti, torneranno gli dei, cioè le cose vere e durature. Gli dei torneranno a proteggere la vita umana e anche le montagne, le valli, le fonti, le foreste.

Ma anche gli uomini tornano. Simone, il protagonista del romanzo, è un friulano emigrato nel sud America che sceglie di ritornare nel suo paese d’origine, di recuperare le sue radici culturali, di ritrovare e stesso:

Fino a ieri era stato un uomo senza passato ma ora si era svegliato da un lunghissimo letargo e aveva preso coscienza di quanto di antico e perfino di barbarico c’era anche in lui. In lui rivivono retaggi antichi: Era alto e di pelo rosso come un longobardo.Il passato lo affascina e gli appare ancora vivo: I Feudatari e gli Imperatori si vestivano ancora di ferro. Le Regine e le Principesse gli apparivano davanti con le loro trecce bionde e nere…

Simone rimpiange i tempi del Patriarcato, quando il Friuli era un’entità politica autonoma, ma  poi va ancora più indietro: Aveva letto…che i più antichi abitatori del Friuli erano i Celti. Le parole Celta, celtico, gli suonavano straordinariamente suggestive… Trovava che in ogni cosa nel Friuli v’era l’ impronta celtica…

Simone si convince a poco a poco che il popolo non credeva… nelle rivoluzioni, nelle ideologie, ma soltanto nel lavoro, nella famiglia, nell’amore e nella natura.

Non c’è dubbio che queste parole nel 1977 suonassero alquanto controcorrente. Per questo Gli dei torneranno è un libro che segna una sorta di rottura con la tradizione narrativa del dopoguerra per lo più legata a modelli neorealisti, di impegno politico-sociale.Gli dei torneranno è un libro che ha qualcosa di solenne, sacrale. Margherita, la protagonista femminile, destinata a diventare la compagna di Simone, riflette così: Le era tornata la sensazione di essere qualcuna delle donne della Bibbia… una di quelle donne cui era affidato il compito, talvolta in tarda età, di generare un erede e di continuare una schiatta…

Un altro romanzo dell’autore Il trono di legno (1973), scritto qualche anno prima, ci proponeva le immagini di un Friuli arcaico e innevato, acquistando il ritmo di una saga nordica e popolare. Sul trono di legno siede il vecchio Pietro, che narra antiche storie, e il protagonista, il giovane Giuliano, ascolta affascinato e sa che un giorno toccherà a lui di sedere sul trono di legno e di tramandare la memoria storica…

Non bisogna credere che ci sia in tutto questo una nostalgia anacronistica per una vecchia società patriarcale: piuttosto c’è la ricerca e la riscoperta di valori importanti anche per noi. Né si puo dire che Sgorlon condanni la modernità in toto ed esalti acriticamente il passato: lo scrittore infatti è anche critico su certi aspetti, a volte oppressivi, delle società tradizionali, come le limitazioni imposte alle donne, e pare apprezzare l’ autonomia femminile anche se tale autonomia viene considerata  più il frutto di qualità personali che il risultato del femminismo politico. Piuttosto Sgorlon condanna il mito della modernità e la conseguente distruzione della natura.

E arriviamo qui ad un altro tema essenziale: la protezione dell’ ambiente, dei boschi, dell’equilibrio naturale, non tanto nel senso dell’ecologia dei politici quanto nel senso del rispetto religioso per la Creazione.

Nel romanzo La fontana di Lorena la protagonista Eva Gortan, originale pittrice naif, si rifiuta ostinatamente di vendere un bosco di sua proprietà ad una grande società che vuole distruggerlo per fare una speculazione. E alla fine Davide vince contro Golia…

Nel romanzo L’ultima valle (1987) la natura, violata dalla costruzione di una mostruosa diga, che deturpa un’ isolata valle alpina, pare vendicarsi causando un enorme disastro. Il direttore dei lavori, l’Ingegnere (sempre nominato così, quasi non avesse un nome), emblematica figura negativa, è un uomo dominato dal desiderio di domare, piegare e vincere la natura: Si sentiva impegnato in una lotta sorda e senza respiro contro forze informi, che erano la montagna, la valle, le acque…

I montanari, invece, si rendono confusamente conto che, nel dare il loro assenso alla costruzione della diga (e vendendo i loro terreni alla società costruttrice) avevano commesso un errore oscuro, avevano tradito qualcosa perchè, dice lo scrittore, il paesaggio in cui viviamo è anche noi, e noi siamo il paesaggio.

E’ evidente in questo romanzo il ricordo della tragica vicenda del Vajont. Sgorlon, infatti, anche se non ambienta tutti i suoi lavori in Friuli, è sostanzialmente il cantore del Friuli rurale ed alpino e della sua storia (come già accennato a proposito del Trono di legno). Il Friuli che non è mai provinciale nel senso negativo del termine perchè è parte della Mitteleuropa ed è anche una finestra aperta verso il mondo slavo, la Grande Slavia che si estende dalle valli del Natisone fino alla Russia…

Il mondo di Sgorlon è inclusivo, mai settario o ciecamente nazionalista, e comprende i pittori-contadini croati, i legami con la Serenissima, le influenze asburgiche e germaniche, le isbe di Chagall, la possente anima della Judentum dell’ Europa orientale… Anche Sgorlon ebbe una formazione mitteleuropea, di ampio respiro, e studiò per un anno a Monaco di Baviera.

Sgorlon ci ricorda anche un altro famoso friulano, quell’ Ippolito Nievo che descriveva un Friuli  rurale settecentesco e ottocentesco, culturalmente in bilico tra l’ influenza della repubblica di Venezia e quella dell’ impero austroungarico.

Nelle pagine di Sgorlon i Friulani nell’ Ottocento o ai primi del Novecento vanno a lavorare in Boemia o in Baviera e prendono perfino parte alla costruzione della ferrovia transiberiana, come nel fortunato romanzo La conchiglia di Anataj.

Viaggiatori praghesi, ufficiali austriaci, contadini sloveni, feudatari tedeschi attraversano la storiadel Friuli e  ne percorrono le campagne come nel romanzo L’uomo di Praga in cui un fantasioso uomo d’affari che proviene appunto dalla capitale boema, va a vivere in un paesino friulano all’ inizio del novecento, stupendo gli abitanti con la sua genialità.

Ma non c’è solo l’elemento paesaggistico e localista nei libri di Sgorlon: in realtà vengono proposti un’etica e un articolato discorso sull’uomo. Il mondo contadino non viene ritratto in senso bozzettistico: attraverso le vicende dei contadini e montanari lo scrittore cerca dei valori umani universali e duraturi, parla dei simboli radicati nella psiche umana, del senso del sacro, del codice misterioso che collega l’uomo al cosmo, al Tutto, a Dio. Un Dio che, senza escludere la trascendenza, è presenza diffusa nella natura, come dice Caterina, personaggio del romanzo L’ultima valle: Io sento che Dio mi circonda da ogni parte… Non potrei vivere neppure un minuto senza sentire che dio è in tutte le cose

I protagonisti di Sgorlon sono spesso solidi contadini, artigiani, scalpellini, scultori del legno, immersi in una cultura del lavoro e della terra, una cultura manuale ma anche sapienziale che ci fa pensare agli agricoltori di Esiodo o ai patriarchi della Bibbia…

Come i suoi protagonisti, Sgorlon non cerca ciò che è legato al momento storico, alle mode intellettuali, alla cronaca, ma qualcosa di perenne, connesso al divino e al senso profondo di ogni vita. Lo scrittore non condanna il mondo del provvisorio, dell’ attualità e quindi anche della politica, ma ne vede i limiti e cerca un oltre, vuole andare più in là, vedere le cose in una dimensione cosmica che vada oltre l’attualità, lo Zeitgeist, oltre le ideologie politiche che, nella loro pericolosa presunzione, credono di poter fornire la soluzione definitiva ai problemi umani e non si accorgono di essere figlie del loro tmpo, condizionate più che mai dal mutevole contesto storico del momento.

Da questo deriva la dura critica di Sgorlon al totalitarismo. Ben lungi dall’ essere liberatorie, le ideologie sono ghetti dello spirito.

L’ autonomia totale dell’ uomo dalla natura e da Dio è n’ illusione: si veda il romanzo (uscito nel 1980) Il regno dell’uomo, in cui l’ utopia marxista-libertaria del ’68 non realizza il suo sogno di rinnovamento dell’ umanità ma rischia invece di divorare i suoi figli, distrutti dalle droghe e dai crolli interiori (dovuti al fatto di essersi sganciati dalla natura intesa religiosamente come un tutto). Il regno dell’ uomo è perciò destinato a fallire, benchè l’ autore guardi con una certa simpatia e bonarietà l’ambiente giovanile e studentesco dal quale nacque la contestazione.

Abbiamo citato solo alcune delle opere e delle tematiche dello scrittore ma possiamo comprendere come Sgorlon sia stato un autore isolato e, benchè lodato da molti critici e assai seguito dai lettori, non abbia avuto spesso il plauso del mondo dell’ intelligencjia.

Possiamo anche chiederci a chi avvicinarlo: il paragone più spontaneo è quello con Pavese e le sue Langhe (i falò sulle colline piemontesi ricordano da vicino i fuochi di san Giovanni, la festa solstiziale friulana di origine celtica citata dal Nostro!) o anche con il Cassola attento descrittore della provincia toscana. Ma Pavese è più lirico, decadente e pessimista mentre Sgorlon fa una precisa proposta di valori ed offre maggior speranza.

Perchè la speranza, come gli dei, ritorna. Eliseo, il protagonista de Il vento nel vigneto, tornato al paese dopo un periodo trascorso in carcere, riscopre la vita e la speranza durante il periodo della vendemmia: La campagna era tutta una scacchiera di colori diversi… poi sarebbe tornato l’inverno con il freddo e la neve. Che cosa voleva di più?

Luisa Paglieri

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