L’ex Ambasciatore d’Italia a Cuba, Domenico Vecchioni, è chiaro: nessuno può escludere una terza guerra mondiale per le sempre crescenti tensioni tra Stati Uniti e Corea del Nord. «Kim Jong-un – evidenzia l’Ambasciatore Vecchioni, – in effetti ha oltrepassato la stadio della provocazione, ha compiuto veri e propri atti di guerra. Il lancio di due missili balistici passati sulla testa dei giapponesi, tecnicamente potrebbe essere assimilato a un atto di guerra». Ma non solo Corea del Nord. In questa intervista a Domus Europa Vecchioni, che è anche un apprezzato storico e saggista, fa un’analisi sulle recenti elezioni in Germania. L’affermazione di Alleanza per la Germania, secondo Vecchioni, va approfondita senza tabù ideologici. «Il populismo – dice – è sintomo della insoddisfazione dei popoli per la politica portata avanti dai partiti politici “tradizionali”».
A cura di Gennaro Grimolizzi.
Eccellenza, le forti tensioni tra Stati Uniti, Giappone e Corea del Nord potrebbero scatenare un conflitto mondiale?
«Credo che nell’attuale situazione internazionale, caratterizzata da tensioni e minacce verbali senza precedenti, nessuno lo potrebbe escludere. Quando i contendenti si ritrovano a dover decretare il massimo livello di allerta militare, è chiaro che un conflitto potrebbe scoppiare anche solo per un incidente tecnico. Nella guerra nucleare, in effetti, non c’è troppo tempo per verificare se un missile sia stato lanciato per errore o se si tratti di un’errata segnalazione. La reazione è immediata, dettata da sofisticatissimi meccanismi informatici che oltre una certa soglia non sono più controllabili. Quando il sovietico Stanislav Petrov nel 1983 evitò la catastrofe nucleare riuscendo a capire, con stupefacente sangue freddo, che il suo radar mandava falsi segnali di un lancio di cinque missili ICBM americani, poté farlo perché ebbe sufficiente tempo per riflettere. Oggi questo margine di tempo non ci sarebbe più, in un tipo di conflitto che si risolve in poche ore. La risposta insomma ad un’eventuale attacco nucleare deve essere istantanea e massiccia, proprio per impedire all’attaccante di replicare i lanci. Ma, incidenti a parte, la guerra potrebbe scoppiare anche a causa di gesti suscettibili di essere “interpretati” come atti di guerra. Kim Jong-un in effetti ha oltrepassato la stadio della provocazione, ha compiuto veri e propri atti di guerra. Il lancio di due missili balistici passati sulla testa dei giapponesi, tecnicamente potrebbe essere assimilato a un atto di guerra».
Kim Jong Un viene descritto come un leader capriccioso ed imprevedibile. È davvero la macchietta che si vuol presentare all’esterno?
«Come ho cercato di spiegare nel mio libro, La saga dei tre Kim, (Greco e Greco editori, 2015, ndr), per capire Kim Jong-un occorre rendersi conto che la Corea del Nord è retto da un regime unico al mondo, permeato di un fanatismo senza limiti e surreale, conseguenza di 70 anni di martellante lavaggio del cervello. Un paese che ha un Presidente Eterno. Sapete perché Kim Jong-un non ha formalmente il titolo di Presidente? Perché la carica è già occupata (come prevede la stessa costituzione) dal nonno Kim Il-sung, il quale anche dall’al di là, continua a illuminare la strada dei nordcoreani con la sua infinita saggezza e bontà. Un Paese comunista e ateo che però adora un solo Dio: Kim Jong-un. Un Paese dove si attribuiscono alla famiglia Kim caratteristiche soprannaturali. Di Kim Il-sung si diceva “Il sole sorge quando Kim si sveglia e tramonta quando lui lo ordina!”. E non era una metafora. Un paese dove visionare un cd della Corea del Sud può portare all’internamento in un campo di concentramento. No, Kim Jong-un non è una macchietta, è molto più pericoloso. È un dittatore esaltato, surreale, malato della classica patologia dei dittatori, l’Hubris o Hybris (smisuratezza). Malattia ben codificata da David Owen, politico e psichiatra britannico, i cui sintomi sono: progressivo distacco dalla realtà, narcisismo, egotismo, senso di onnipotenza, invulnerabilità e invincibilità. È certamente imprevedibile nelle sue reazioni proprio perché vive in un paese isolato dal resto del mondo, è motivato da un’ideologia assolutamente autarchica (Juche), con delle visioni politiche imperscrutabili perché nessuno sa con certezza cosa succede all’interno del Regno Eremita».
L’Unione Europea sta facendo ben poco per ritagliarsi un ruolo nella crisi nordcoreana…
«Non ne ha avuto troppo il coraggio e poi la crisi asiatica da Bruxelles sembra così lontana. In realtà non lo è. Se Kim Jong-un mettesse in esecuzione la sua ultima minaccia di far esplodere nella stratosfera una bomba H, nessuno potrebbe prevedere dove avrebbero luogo le ricadute radioattive. Un segnale forte potrebbe essere la sospensione delle relazioni diplomatiche con la Corea del Nord da parte dei paesi UE che hanno riconosciuto il regime di Pyongyang (Italia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Spagna, Portogallo). L’Italia in particolare rappresenta un caso sui generis. Sotto il governo Dini abbiamo allacciato le relazioni diplomatiche col regno Eremita. Immediatamente la Corea del Nord ha aperto la sua ambasciata a Roma. Noi, invece, in una fase forse di tardiva resipiscenza, non abbiamo fatto altrettanto. Con l’assurda situazione però che a Roma è ben attiva l’ambasciata nordcoreana mentre a Pyonyang noi siamo del tutto assenti. Le questioni nordcoreane sono seguite da un nostro funzionario in servizio presso l’ambasciata di Seul! In queste ore peraltro sembra che l’Italia voglia esprimere la sua forte disapprovazione per la politica aggressiva di Kim Jon-un. Il ministro Alfano ha in effetti deciso di interrompere le procedure dell’accreditamento del nuovo ambasciatore nordcoreano da poco giunto a Roma: ora dovrà lasciare l’Italia a brevissima scadenza. Ma le relazioni diplomatiche non vengono sospese per mantenere comunque un canale di comunicazione».
L’ingresso nel Parlamento federale di Alternativa per la Germania è la dimostrazione che nell’elettorato tedesco serpeggia delusione verso i partiti tradizionali e vi è il desiderio di una politica più vicina alle persone. Il più delle volte alcuni osservatori si limitano a sottolineare le derive populiste di alcuni partiti. È solo il populismo a decretare il successo nelle urne?
«Ma il populismo è sintomo della insoddisfazione dei popoli per la politica portata avanti dai partiti politici “tradizionali”. Per evitare allora che si sviluppi ulteriormente, sarebbe forse opportuno cercare, senza tabù ideologici, di capirne meglio le motivazioni per correggere dove possibile la politica tradizionale, proprio per spezzare le lance dei movimenti più estremisti, sia in ambito europeo, con politiche centrate sullo sviluppo, che nazionale, con realistica consapevolezza di ciò che si può fare e ciò che non si può fare. Un po’ come ha fatto il ministro Minniti per quanto riguarda l’annoso problema dei flussi emigratori».
Fra qualche mese anche l’Italia andrà al voto. Cosa dovrebbe fare in politica internazionale il nuovo esecutivo?
«In realtà ci muoviamo nel solco di sentieri oramai “storici” dai quali, nella sostanza, non è ipotizzabile che ci si possa troppo allontanare, qualunque sia l’esito delle elezioni: ancoraggio alla NATO, appartenenza all’Unione Europea, amicizia con gli USA, ruolo attivo dell’Italia nel Mediterraneo, Cooperazione allo sviluppo in Africa. È forse in ambito europeo che dovremmo far sentire maggiormente la nostra voce per concentrarci finalmente su politiche di sviluppo e investimenti, per riforme che tengano conto delle effettive esigenze dei popoli, per richiedere maggiore solidarietà ad una Unione Europa che diventi più sociale e meno finanziaria, più realistica e meno dogmatica, di un’Europa dove ritorni la fiducia nelle istituzioni europee, che devono dimostrare di essere in grado di risolvere i maggiori problemi che minacciano l’esistenza stessa dell’Unione: crisi finanziaria e migrazioni».
Ambasciatore, quale sarà il suo prossimo libro?
«Grazie della domanda! A proposito di dittatori malati di Hubris, il mio prossimo libro, in uscita il prossimo 15 novembre, sarà su Saddam Hussein, “Sangue e Terrore a Bagdad” (Greco e Greco editori). Ma spero avremo occasione di riparlarne a suo tempo».