La straziante vicenda del piccolo Charlie Gard, il bambino inglese di 10 mesi affetto da una grave e rara patologia degenerativa – in base alla quale i giudici del suo Paese con il successivo e recente placet della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) avrebbero deciso in favore della sua morte anticipata – pone nuovamente e con urgenza una riflessione sul tema del rapporto tra scienza, etica e ragione.
Secondo i medici il piccolo Charlie verserebbe in uno stato di salute grave e irreversibile, per cui sarebbe preferibile sospenderne le cure. Le corti giudicanti il caso in oggetto, sulla base di questo presunto dato “scientifico”, hanno in seguito dato ragione alla diagnosi medica, condannandolo di fatto a morte.
La questione non è di poco conto, poiché segna un ulteriore passo decisivo nel dibattito sul tema del “fine vita”. Sino ad ora il presupposto su cui si sono basate le argomentazioni in tal senso erano legate ai cosiddetti “diritti umani” e al relativo principio della dignità della persona umana; volendo intendere con detto principio la capacità dell’uomo di autodeterminarsi. Tale teoria mostrava pertanto con evidenza una supremazia della volontà sull’essere che è di derivazione filosofica soggettivista e che separa l’uomo dalla realtà, ponendolo al centro di essa, secondo una “metafisica dell’io” che concepisce esclusivamente il piano immanente dell’esistenza.
Tuttavia, la vicenda del piccolo Charlie Gard presenta un ulteriore superamento e rafforzamento del principio sopra menzionato. Con le pronunce della corte inglese e della corte europea, il criterio che determina se la vita di una persona merita di continuare o meno non è più la volontà della persona stessa (soggettivismo assiologico) ma il principio del dato scientifico, che viene considerato valore oggettivo e incontestabile. Invero, se i giudici avessero dovuto basare la propria pronuncia sul principio dell’autodeterminazione della persona, Charlie avrebbe potuto continuare le proprie cure, vista la ferma convinzione dei genitori nel tentare tutto il possibile per salvare il proprio bambino.
Dalla ricostruzione dei fatti e dalla conclusioni cui sono pervenuti gli ambienti medico-scientifici e quelli giuridici emerge con forza il preoccupante aspetto della hybris della scienza, la quale si presenta come nuovo ideale, in rottura rispetto al passato, e come valore assoluto. In realtà la scienza non può fondare valori essendo questi ultimi legati esclusivamente all’essere; la scienza al massimo può far assumere valore per mezzo di qualcosa d’altro, dal momento che essa stessa, metodologicamente, si basa su un sistema di forze in rapporto fra loro. Tali rapporti possono, infatti, attribuire una qualità a qualcosa rispetto a un’altra, ma si tratta pur sempre di un valore mediato e, quindi, non oggettivo.
La presunzione della scienza moderna si mostra con evidenza laddove non studia l’essere per riconoscerne e ricavarne il valore ad esso intrinseco, ma vuole penetrarne il segreto per coglierne gli aspetti che possono servire a trasformarlo in qualcosa di “utile” all’uomo, per adattarlo ai propri fini ed infine servirsene. La scienza finisce così per condurre un’operazione intellettuale, che in seguito diviene culturale, di riduzione del valore all’oggetto. Ciò avviene attraverso l’abbandono dell’etica e degrada il valore rendendolo suscettibile di valutazione economica, calcolo e prezzatura.
Siamo di fronte, dunque, a un mutamento epocale del pensiero e dei principi fondativi della società, che si inserisce perfettamente lungo quel processo di secolarizzazione e demitizzazione verso un radicale immanentismo proprio del pensiero moderno, il quale attraverso la metafisica dell’io dell’Umanesimo e del Rinascimento è giunto fino al positivismo e allo scientismo, nella presuntuosa convinzione di poter pervenire per mezzo del dato scientifico al consenso generale: al valore oggettivo universalmente riconosciuto, all’assoluto sul piano del finito.
La nostra epoca pertanto si presenta come ultimo stadio di questo mutamento di pensiero che secoli fa ha scisso i due piani dell’immanenza e della trascendenza, attraverso la negazione aprioristica e ideologica di quest’ultima. Viviamo, dunque, la fase caratterizzata dall’egemonia di una scienza che non vuole semplicemente sostituirsi alla metafisica nella produzione di valori, ma vuole farsi essa stessa metafisica. La scienza si presenta, pertanto, sotto forma di religione secolare, come l’unica vera conoscenza, che nel negare il piano metafisico verticale pensa a sé come creatore di una realtà alternativa.
Filosofia dell’assoluta immanenza; una religione dell’umanità che si intende raggiungere attraverso un processo di trasposizione in senso orizzontale della trascendenza, che trasmuta tutti i valori (come aveva annunciato Nietzsche) e che si orienta verso il mondo, cose e persone, al fine di dominarle come se esse non esistessero che per la soddisfazione della sola cupidità personale. Una tensione al dominio alle cui origini si rintraccia quell’orgoglio, quel peccato (originale) di superbia che fa della scienza una mera e pura affermazione dell’uomo come essere autoreferenziale.
La scienza si ferma, dunque, al piano dell’ “utile” e lo confonde con il fine, con il valore. Per questo motivo giunge a ritenere la vita del piccolo Charlie, nella sua estrema sofferenza e incertezza, “non-utile”, ossia non degna di essere portata avanti un sol minuto.
È fondamentale che questa disumana deriva scientista venga arrestata. Per fare ciò è necessario ritornare ad una concezione classica della scienza, come strumento per comprendere e meglio contemplare l’Opera di Dio, perché una scienza priva del proprio legame di subordinazione e strumentalizzazione alla dimensione trascendente comporta la conseguenza per cui tutte le forme di pensiero diventano strumenti della volontà di potenza dell’uomo.
Claudio Giovannico