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ORIENTE E OCCIDENTE. Di Paolo Zanna

CONSOLANTE VOCE D’ORIENTE

COMMOVENTE FEDE D’OCCIDENTE

 

                   Vivere momento per momento, volgersi

                   interamente alla luna, alla neve, ai fiori di ciliegio

                   e alle foglie rosse degli aceri, cantare canzoni,

                   bere sake, consolarsi dimenticandosi la realtà,

                   non preoccuparsi della miseria che ci sta di

                   fronte, non farci scoraggiare, essere come

                   una zucca vuota che galleggia nella corrente

                   dell’acqua, questo io chiamo ukiyo.

Questo testo giapponese del 1660, icona letteraria dell’ukiyo, il ‘mondo fluttuante’  del Seicento nipponico, potrebbe facilmente adattarsi agli aneliti dell’epoca contemporanea, tanto incapace quanto bisognosa di trovare riferimenti contemplativi e consolazioni autentiche abbandondavisi.

Un’epoca come la nostra ridondante di comunicazione non verbale pare dimentica del contenuto delle parola, come in un barocchismo di immagini drammatiche in cui poco viene detto veramente.

Se rapportiamo l’inazione dell’immagine con l’eloquenza dell’azione, quali risonanze racchiudono i silenzi di un sorriso o di un gesto condiviso?

Ecco le foglie palmate degli aceri e le losanghe verdi degli ulivi parlare di una pace diversa

sugli ulivi, sui fratelli ulivi

                   che fan di santità pallidi i clivi

                  e sorridenti.

                            (La sera fiesolana, vv. 29-31)

Ecco il ‘colore’ della santità, pallida (discreta) e il suo ‘sorriso’ così partecipe dell’ondeggiare dei rami al vento. In questa manifestazione espressiva di un moto gioioso sta il passaggio simbolico da un Oriente “svuotato” a un Occidente “pervaso” di sentimenti, da un Oriente ritualizzato (neve, fiori di ciliegio, aceri) a un Occidente umanizzato dal sorriso degli alberi, da un Oriente dimentico della realtà a un Occidente che della realtà si compiace e si imbeve e

par…

da lei beva la sperata pace

senza vederla

                                            (ibid., vv. 11-14)

Anche a Pasqua, agli occhi della fede, ogni realtà dolorosa non è obliata, ma si imbeve di Speranza e di Pace nel “trascolorare” di ogni cosa ed esperienza nella Luce del Risorto:

Dolci le mie parole ne la sera
ti sien come la pioggia che bruiva
tepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,
su i gelsi e su gli olmi e su le viti
e su i pini dai novelli rosei diti
che giocano con l’aura che si perde,
e su ’l grano che non è biondo ancóra
e non è verde,
e su ’l fieno che già patì la falce
e trascolora

                                     (ibid. vv. 18-28)

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