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TRUMP, HOLLYWOOD. di Adolfo Morganti

Il blitz missilistico USA che ha colpito la base siriana di Idlib in risposta al preteso attacco con armi chimiche di tre giorni prima al villaggio di Khan Sheikhun è un episodio utile prima di tutto ad illuminare la peculiare miseria (nel senso letterale di “povertà estrema”) della capacità della maggior parte dei commentatori europei di comprendere la forma mentis statunitense tradizionale e il personaggio del presidente Trump, in particolare il suo retroterra culturale.

Possiamo agevolmente accomunare nella medesima miseria sia i tanti trumpofobi, che dal giorno della sua elezione non hanno fatto altro che stracciarsi le vesti, piangere sulle macerie della democrazia d’oltreoceano e sognare restaurazioni clintoniane, che i meno numerosi ma egualmente ottusi trumpomani, i quali ne hanno fatto una proiezione dei propri sogni rivoluzionari appioppandogli l’improbabile ruolo di becchino degli USA.

Nulla di tutto ciò, come il singolo episodio dell’attacco di Idlib e la susseguente massiccia offensiva diplomatica USA contro la Russia di Putin ben dimostra. Il nuovo presidente statunitense insultato o invocato come la negazione dell’americanismo imperiale a lui precedente può ben giocare nel giardino di casa, far la voce grossa col presidente del Messico e terminare di costruire il Vallo di Obama che dovrebbe impedirne l’immigrazione clandestina in Texas, ma non può permettersi di sovvertire due secoli di “destino manifesto” e di cultura puritana, che sostituisce gli Stati Uniti a Dio e la potenza militare statunitense alle legioni angeliche dell’Apocalisse incaricate di debellare il male dal mondo (che tale è esattamente in quanto definito in tal modo dalla parodia secolarizzata di Geova, ossia il “popolo americano” e per meglio dire il kombinat politico-militare che possiede il potere di parlare ed agire a suo nome).

E questo non solamente perché, come spesso è stato ripetuto, la “resistenza degli apparati” di stato USA l’avrebbe costretto a smorzare progressivamente i suoi intenti rivoluzionari e rientrare gradatamente sul sentiero segnato dai propri predecessori, ma in quanto egli stesso è espressione della medesima visione del mondo, e nel foro pubblico dimostra di condividerla appieno. E a chi volesse comprendere qualcosa di più sul peculiare metodo di “pensare la guerra” degli USA non possiamo che consigliare il saggio di J. Kleeves Sacrifici umani. Stati Uniti: i signori della guerra, che ricostruisce genesi storica di questo particolare aspetto del messianismo secolarizzato che sorregge la politica estera statunitense di sempre. Questo saggio è stato pubblicato nel 1993, e un quarto di secolo dopo il lettore contemporaneo potrà da solo rendersi conto di quanto l’attualità possa essere illuminata da categorie culturali e pseudo-religiose di lungo periodo.

Donald Trump, forse è il caso di prenderne atto, non è un’eccezione americana, ma incarna secondo canoni tipici del mondo della crisi la lunga tradizione isolazionista statunitense, che non ne rinnega in nulla le radici messianiche ma ne limita l’area di applicazione al continente americano e ne sottopone ogni valutazione al sommo criterio calvinista di giudizio, la ricchezza (che notoriamente è segno del favore di Dio). Per esso la politica estera, le alleanze, i rapporti con l’Europa, la stessa sopravvivenza della NATO sono una semplice questione di denaro: se gli europei pagano la NATO essa può continuare a servire gli interessi statunitensi, altrimenti gli europei possono venir abbandonati alla propria insignificanza politico-militare. Di fronte al peso della crisi economica planetaria causata dagli stessi USA, o la servitù accetta un drastico calo di stipendio, o può tranquillamente essere licenziata. Come i fatti di Idlib hanno dimostrato per l’ennesima volta, gli USA non hanno infatti alcun bisogno della NATO, degli europei, di alleati di sorta per esercitare il proprio potere militare.

Ciò premesso, ha ragione Sergio Romano – seguito a dire il vero anche da altri, fra i quali alcuni interessanti firme di Limes – a scrivere che l’isolazionismo trumpiano rappresenta comunque una chance per l’Europa, anche se l’Unione Europea fa una gran fatica a scrollarsi di dosso le comode abitudini che per decenni hanno delegato alla NATO il proprio ruolo strategico nel mondo.

Ma certamente non perché il Presidente Donald Trump pensi all’Europa quando sceglie di bombardare la Siria. Egli ha maggiormente in mente le trombe del Settimo Cavalleggeri e l’ “arrivano i nostri”.

Adolfo Morganti

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