Si è appena conclusa, nel disinteresse e nella distrazione generali, l’esercitazione NATO Dynamic Manta, svoltasi tra 12 e 24 marzo di fronte alle coste siciliane con la partecipazione di 16 unità navali appartenenti a USA, Canada, Italia, Francia, Spagna, Grecia e Turchia. Era presente anche il sottomarino nucleare statunitense da attacco rapido California SSN-781, armato di un centinaio di siluri e di circa 150 missili da crociera per attacco a obiettivi terrestri e fa parte della TASK Force 69. L’esercitazione si è svolta nel contesto dell’attività del Comando della forza congiunta alleata agli ordini dell’ammiraglia statunitense Michelle Howard, comandante di tutti i contingenti navali statunitensi che operano in Europa e in Asia. Sono coinvolte le basi siciliane id Niscemi, di Sigonella, di Augusta e di Catania; a Sigonella e a Niscemi l’accordo sottoscritto tra i governi statunitense e italiano nell’aprile 2006 accorda esplicitamente al comandante USA “il pieno comando militare sul personale, gli equipaggiamenti e le operazioni statunitensi”: per le spese, la parte più costosa è addossata alla NATO, quindi anche l’Italia vi contribuisce. Nel contempo, dal febbraio, sono in corso esercitazioni a fuoco delle forze speciali statunitensi nel poligono di Pachino, area concessa “in uso esclusivo degli Stati Uniti”. Il ruolo italiano, come ha del resto dichiarato il contrammiraglio De Felice comandante di MariSicilia, è “fondamentale”, in quanto noi forniamo senza diritto di controllo tutto il supporto logistico.
Questa realtà che vede le nostre forze armate ridotte al livello di ascari (con tutto il rispetto per quella valorosa formazione coloniale) è già stata denunziata a chiare letere dal “Manifesto” del 21 marzo 2017: ma, certo, si tratta di un “giornale comunista”…
Ora, a proposito della NATO – organizzazione “di difesa” (naturalmente…) inventata come tutti sanno ai tempi della “guerra fredda”, cioè il 4 aprile 1949 (il che indusse l’Unione Sovietica, il 14 maggio 1955 – sei anni dopo – a fondare in risposta il “Patto di Varsavia”) – non sarà male rinfrescarsi le idee. Vi aderiscono, sotto la direzione tattico-strategica statunitense, 22 dei 28 paesi che attualmente fanno parte dell’Unione Europa, la quale a su tempo rinunziò ad aver una sua Comunità Europea di Difesa (CED), vale a dire una sua forza armata: rinunzia che provocò le indignate dimissioni di un grande Padre dell’Europa postbellica, Robert Schuman, dal suo ruolo di capo del governo francese.
La dissoluzione dell’URSS e del “Patto di Varsavia”, tra 1990 e 1991, avrebbe dovuto logicamente comportare lo scioglimento del “Patto Atlantico”. Non fu così. Nel 1991 – senza l’alibi della difesa “contro il comunismo”, che aveva ispirato le guerre di Corea e del Vietnam, l’invasione di Grenada e la operazioni contro il Nicaragua – gli USA di Bush sr. s’impegnarono nella “prima guerra del Golfo”, nel ’91, la quale assisté all’ingresso di una sostanziosa formazione militare USA in Arabia Saudita, considerata sacrilega e provocatoria da quegli stesi ambienti wahhabiti che pur avevano validamente sostenuto la guerra in Afghanistan contro il locale governo socialista e l’Armata Rossa Sovietica. Cominciò da qui la deriva terroristica di al-Qaeda, ambiguamente tollerata dall’Arabia saudita alleata degli USA e ricattata dagli sceicchi wahhabiti.
A questo punto, nell’agosto 1991, la Casa Bianca emise il documento definito National Security Strategy of the United States (NSSUS), nel quale ribadiva la tesi che la superpotenza statunitense fosse indispensabile nel mantenimento dell’ordine e della pace nel mondo. A complemento di ciò, una direttiva proveniente dal Pentagono e destinata a rimanere segreta, il Defense Planning Guidance for the Fiscal Year 1994-99, ammoniva che nessuna nuova potenza avrebbe mai dovuto emergere a far ombra all’egemonia statunitense, soprattutto nell’Europa occidentale, nell’Asia sud-occidentale, in quella orientale e nel territorio dell’ex Unione Sovietica. In tale contesto si diceva a chiare lettere che era indispensabile il preservare la NATO in quanto strumento di partecipazione a quel che si riferiva alla sicurezza europea. Un trasparente eufemismo per definire l’alleanza uno strumento di controllo e di dominio. E a scanso di equivoci si precisava: “Mentre gli Stati Uniti sostengono l’obiettivo dell’integrazione europea, essi devono cercare d’impedire la creazione di dispositivi di sicurezza unicamente europei, che minerebbero la NATO, in particolare al struttura di comando dell’Alleanza”. Il che valeva a dire: niente condivisione decisionale, quindi niente sovranità militare degli aderenti al patto, quindi niente sovranità tout court.
La sostanza del documento del Pentagono filtrò attraverso le colonne del “New York Times” soltanto nel marzo 1992: ma, intanto, chi doveva conoscerla, prenderne atto e ottemperarvi lo aveva già fatto. La NATO non aveva ufficialmente preso parte alla prima guerra del Golfo, ma vi aveva contribuito con forze e strutture: ma il 7 novembre 1991 tutti i capi di stato e di governo dei sedici paesi che allora aderivano all’alleanza – cioè i componenti del Consiglio Atlantico – si riunirono in Roma per varare “la nuova concezione” di essa. Nel relativo documento si affermava che ormai la sicurezza da garantire non era qualcosa che riguardasse più soltanto l’area dell’Atlantico settentrionale, scopo per il quale nel ’49 la NATO era stata fondata: era necessario delineare una “Grande NATO” che tenesse d’occhio anche quelle aree che la presidenza USA aveva indicato nel documento dell’agosto precedente. Se nel ’49 gli Stati Uniti potevano riferirsi a un qualche comune sentimento antisovietico degli stati aderenti al Patto, nel ’91 appariva ormai chiaro che era l’unica superpotenza rimasta a livello mondiale a dettare i piani tattici e strategici, direttamente funzionali alle sue scelte politiche egemoniche.
Il frutto di queste scelte furono la partecipazione (per non chiamarla compromissione; per non chiamarlo collaborazionismo) in tutte le guerre e le avventure americane – e/o in quelle promosse da alcuni “alleati eccellenti” degli USA – dell’ultimo scelleratissimo quarto di secolo: la Jugoslavia nel 1999, l’Afghanistan nel 2001, l’Iraq nel 2003 (vi ricordate che Tony Balir è stato costretto a confessare che le prove delle “terribili armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein furono inventate da americani e da inglesi?), la Georgia nel 2008, la Libia e la Siria nel 2011, l’Ucraina nel 2014. Ora, la NATO ha manovrato presso le coste siciliane: a non troppe centinaia di miglia marine a est del porto di Catania, della base di Sigonella e del poligono di Pachino ci sono le basi russe di Tartus e di Lattakiya sulla costa occidentale siriana; e a sud c’è la Libia che, come ben ha spiegato Paolo Sensini in un libro recente edito dalla Jaca Book, da “colonia italiana” è di recente passata, dopo la sciagurata aggressione voluta soprattutto da Sarkozy, a “colonia globale”, una vera e propria santabarbara che potrebbe esplodere da un momento all’altro. Che cosa significa, in tutto ciò, la presenza del sottomarino nucleare California SSN-781 nelle acque prospicienti la Sicilia? L’Italia la costituzione della quale ripudia la guerra e che ha detto no alle armi nucleari ha coscienza delle future possibili avventure militari nelle quali la nuova “Grande NATO” – della quale, alla luce dei documenti governativi statunitensi del ’91, si potrebbe anche impugnare la continuità rispetto al patto precedente – rischia di coinvolgerla senza che la sua opinione pubblica dia nemmeno segno di essersene resa conto?
Franco Cardini
*Tratto dal blog www.francocardini.net