Polonia e Grecia, che avevano manifestato perplessità, si sono allineate, sicché le celebrazioni romane del 60° dell’Europa Unita (poca gente e perfino pochi contestatori) si sono chiuse nel segno dell’unità con il varo di un documento frutto sì di un compromesso che, con l’importanza del ruolo riconosciuto ai parlamenti nazionali, concede qualcosa perfino ai “sovranisti”, ma sottoscritto da tutti i 27 paesi. Naturalmente all’unanimità ha contribuito la consapevolezza dei rischi che sovrastano l’Europa con la possibilità di una sua prossima dissoluzione, prospettata addirittura dalla più alta autorità del paese ospitante: un campione di prudenza come il presidente della Repubblica Mattarella.
Fra le preoccupazioni dei convenuti è rimasto un po’ in ombra il problema immigrazione del resto quasi sempre declinato, a livello di governi, non nella sua sostanza, ma in riferimento al rifiuto di molti paesi di applicare i criteri di redistribuzione dei migranti. Trascurato in particolare quanto accaduto appena due settimane prima, alla vigilia delle elezioni olandesi, fra Olanda e Turchia, con l’immediato coinvolgimento di Danimarca e Germania, a seguito della decisione del governo dell’Aja di vietare l’atterraggio al volo di Stato, che portava a Rotterdam il Ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu per un comizio a sostegno del referendum costituzionale diretto a fare della Turchia una repubblica presidenziale, e dell’analogo provvedimento nei confronti del Ministro per la Famiglia, Fatma Betul Sayan Kaya, che, impegnata anch’essa nella campagna referendaria, intendeva raggiungere il consolato turco di Rotterdam. Evidentemente la furibonda reazione del premier turco Erdogan e le gelide repliche dei governanti europei sono state archiviate come un normale, per quanto grave, incidente diplomatico, Purtroppo non solo di questo si tratta. S’impongono difatti alcune considerazioni.
Primo: Erdogan considera i territori europei con alta percentuale di popolazione di origine anatolica alla stregua di quasi-province (o in fieri) dello Stato turco che, quindi, debbono essere messe a sua disposizione, con tanto di piazze e grandi spazi per riunirvi quelli che ritiene, quale che sia il loro passaporto, suoi connazionali (data la natura della democrazia anatolica non solo non si pone il problema che lo stesso diritto di comizio in terra straniera spetterebbe anche ai suoi avversari, ma ha considerato illegittima l’autorizzazione concessa poco dopo dal governo tedesco ad una manifestazione di immigrati curdi). Secondo: l’appoggio dato ad Erdogan dai suoi connazionali residenti in Olanda dovrebbe aprire gli occhi agli europei sull’illusione che basti l’attribuzione della cittadinanza o anche la nascita nel territorio di uno Stato europeo a fare diventare tedesco, britannico, francese o italiano chi non può sentirsi tale perché tale non è per appartenenza etnica, culturale e religiosa. Vi è però necessità di un distinguo. Quanto detto vale non solo per i turchi, ma per la stragrande maggioranza dei componenti l’attuale gigantesca marea migratoria, tuttavia, in concreto, la rilevanza, in particolare quella non sentimentale ma politica, dei legami con la propria origine risulta in genere più modesta quando gli immigrati hanno alle spalle solo una tribù, un clan o comunque un piccolo (politicamente parlando) paese. Tali legami possono invece assumere forme pericolose per il paese ospitante quando quello d’origine ha una grande storia e una forte presenza anche nel mondo attuale. In questo caso il legame è quasi sempre fortissimo e a rischio di convertirsi in un nazionalismo, poco importa se laico o religioso, che, in caso di contrasto, fin troppo spesso prevale sulla burocratica cittadinanza di passaporto.
Di tutto questo pare che i governanti europei, non adeguatamente attrezzati a causa della nozione esclusivamente economica e calcistica che hanno del nazionalismo, abbiano capito poco o nulla e si limitino ad attendere che al premier turco sbollisca l’ira per dichiarare chiuso l’incidente. Al contrario Erdogan ha capito tutto e per accelerare il processo di acquisizione delle province in fieri ha invitato i turchi residenti in Europa a fare molti figli, almeno cinque per coppia (anche tre basterebbero, ma evidentemente ha fretta), perché loro saranno la nuova Europa.
Francesco Mario Agnoli