Con l’avvicinarsi del 60esimo anniversario dalla stipula dei Trattati di Roma, istitutivi dell’esperienza comunitaria, sta pian piano avanzando, con insistenza sempre maggiore, una proposta di riforma della struttura europea, alla luce altresì dei diversi problemi di tenuta della stessa.
Nello specifico, questa consisterebbe nella strutturazione di un’Unione Europea a “doppia velocità”. A dire il vero, un’assetto dell’Europa a geometria variabile, più che un ingegnoso stratagemma di rilancio del progetto comunitario – così come viene presentato dai principali mezzi d’informazione – rappresenta un dato di fatto.
Trattasi, dunque, di una realtà esistente, quella dell’eurozona e quella del resto dell’Europa, evidente e tangibile nelle asimmetrie delle diverse economie nazionali, interne ed esterne alla zona euro. Un’Europa in cui alcuni Paesi hanno adottato un sistema monetario a cambi fissi, in cui solo alcuni dei partecipanti ne hanno tratto beneficio, mentre gli altri hanno conosciuto un impoverimento progressivo della propria economia nazionale. All’interno dell’eurozona, infatti sono presenti almeno due velocità; abbiamo i Paesi con economie più avanzate, come la Germania e l’Olanda, e Paesi con un’economia in difficoltà, come quelle della Francia, dell’Italia, della Spagna e della Grecia. Paradossalmente, i Paesi membri dell’Unione, rimasti fuori dalla zona euro, hanno invece conosciuto una crescita economica, legata all’apertura dei mercati esteri, tuttavia sostenuta dalla possibilità di operare macroeconomicamente in maniera sovrana per mezzo della leva monetaria.
L’istituzionalizzazione di una simile realtà di fatto, per mezzo d’una modifica della struttura ordinamentale comunitaria non rappresenta, tuttavia, un positivo “ritorno al reale”, ma il tentativo subdolo da parte di chi – dall’Europa unita e dalla moneta unica ci ha guadagnato – di continuare a perseguire i propri scopi, travestendoli da “riforma”.
L’ipotesi è quella di uno sdoppiamento dell’Unione Europea. Da una parte il perseguimento di un’ “unione sempre più stretta”, con una base politica e federale, includente gli Stati dell’Europa continentale e occidentale, dall’altra un’organizzazione sostanzialmente intergovernativa, composta da quegli Stati (dell’estremo nord ed est Europa) che vogliono limitarsi alla cooperazione economica. In sintesi, i Paesi dell’eurozona si dirigerebbero verso la costituzione di un organismo politico sovranazionale sul tipo di uno Stato federale, mentre il resto dei Paesi europei proseguirebbe l’esperienza della collaborazione interstatuale.
Questo permetterebbe a Bruxelles di superare l’impasse politico derivante dagli atteggiamenti ostili degli Stati est-europei ad un’ulteriore cessione della sovranità nazionale. La costituzione degli Stati Uniti d’Europa rappresenterebbe dunque un rafforzamento della struttura euromonetaria, senza tuttavia risolvere in alcun modo le problematiche insiste nel modello della moneta unica. Gli squilibri permarrebbero e le politiche economiche deflazioniste che ne sono causa otterrebbero una legittimità politica che le renderebbe ancora più vincolanti.
Si tratta dell’estremo tentativo di “salvare il salvabile”. Allo stesso tempo è la dimostrazione e la conferma che tutte le critiche mosse all’impianto eurounitario in questi anni non erano assolutamente faziose, approssimative e demagogiche. Il modello mercatista e ordoliberale dell’Unione Europea non poteva continuare ancora per molto. Le criticità interne al sistema della zona euro in particolare hanno provocato squilibri macroeconomici interni che col passare del tempo si sono rivelati sempre più insostenibili, creando una spaccatura evidente tra nord e sud dell’Europa, ossia tra Paesi ricchi e Paesi poveri.
Pertanto, la riforma necessaria nel breve periodo non dovrebbe riguardare l’assetto istituzionale e politico dell’Unione, bensì andrebbe riformato in primis l’ordine economico e monetario europeo, per mezzo di un ripensamento complessivo dei principi su cui lo stesso attualmente si basa, a partire da quello della concorrenza dei mercati. Solo in seguito a una modifica strutturale di tal tipo sarebbe possibile discutere ed elaborare un modello di Europa unitamente politica.
Claudio Giovannico