Pare che diversi secoli dopo Marco Polo sia tornato in Italia (per la seconda volta) riportando con sé i meravigliosi racconti delle Vie della Seta tanto declamate nella sua opera più conosciuta, Il Milione. Non solo meravigliosi racconti ma anche succulente opportunità, ieri come oggi ma soprattutto oggi, che potrebbero riportare l’Italia al centro del Mediterraneo e dell’Europa Occidentale qualificandola come estremità di ponente dell’enorme progetto che è quello del Belt&Road cinese. In passato, in ordine geografico, Atene, Roma e Marsiglia hanno assunto il ruolo di terminale ovest della “cintura commerciale marittima” dei grandi traffici di merci che, successivamente arrivavano in Europa. Nel terzo millennio è il turno di Atene, Taranto, Trieste e Genova assumere questo ruolo di hub primario per l’interscambio sino-europeo. Se Atene (a cui, forse, si aggiungerà Salonicco) si è aggiudicata il controllo dei traffici che dai Balcani si ramificheranno nell’Europa Orientale fino in Germania, le tre città italiane saranno il seme da cui poi sboccerà l’albero ferroviario le cui ramificazioni arriveranno a Rotterdam e in tutta l’Europa Occidentale.
Invece di Marco Polo, questa volta il protagonista del viaggio in Cina è il Presidente della Repubblica Mattarella coadiuvato da una nutrita delegazione composta da uomini d’affari e politici (tra cui il ministro degli Affari Esteri Alfano e quello delle Infrastrutture e Trasporti Delrio). La delegazione italiana è riuscita a mettere in porto – è proprio il caso di dirlo – una dozzina di accordi commerciali che comprendono sia cooperazioni strategiche tra imprese del Bel Paese e l’erede (per lo meno geografico/storico) dell’Impero Celeste e intese di natura infrastrutturale finalizzate a un più stretto partenariato commerciale tra i due Paesi. Delrio ha messo su piatto un progetto infrastrutturale notevole che comprende il rinnovo del comparto ferroviario della Penisola e dei sistemi portuali diverse centinaia di milioni di euro sono già stati spesi per il rinnovo dei porti presi in considerazione e, in particolare, sono stati spesi già 290 milioni di euro per il porto di Taranto per la costruzione di terminal ferroviari, aggiornamento dei moli e magazzini refrigerati[1].
Questa grossa opportunità per il nostro Paese deve essere sfruttata non solo in senso economico ma anche politico ponendosi al centro di dinamiche che non riguardano solo il Mediterraneo ma tutto il sistema delle relazioni internazionali. Come anche in passato Roma è stato il centro della mediazione tra due grandi vecchi nemici, Russia e Stati Uniti, oggi, utilizzando la strategia del “peso determinante” di craxiana memoria, Roma può – anzi, deve – pensare di essere il centro della conciliazione tra Washington e Pechino… e quale migliore occasione per dimostrarlo se non proprio il prossimo G7 di Taormina[2]?! I due eventi chiave della politica estera italiana del premierato di Gentiloni, vale a dire gli accordi con la Libia di al-Serraj e la recente visita in Cina, dimostrano che l’Italia politica quando non è troppo avviluppata nelle beghe delle segreterie dei partiti riesce ancora a produrre qualcosa di buono per sé stessa. Per lo meno al di fuori dei propri confini.
Marcello Ciola
[1] Ugo Magri, La nuova Via della Seta si prolunga fino a Taranto, Trieste e Genova, La Stampa, 25 febbraio 2017. https://goo.gl/5Gqr9X.
[2] Così come ha già sottolineato Federico Brembati per Termometro Politico: https://goo.gl/lctsyD.