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L’ISLAM. REPETITA IUVANT (O DISCORSO AI SORDI CHE NON VOGLION SENTIRE?). Di Franco Cardini

La necessaria premessa a qualunque discorso – e a questo in particolare – è che, come diceva Eduardo, “gli esami non finiscono mai”. Non si cessa mai e non ci si deve stancare mai d’imparare e di aggiornarsi. Per esempio, un breve capitolo dedicato all’impatto delle crociate nel mondo musulmano contenuto in un recente libro di Leonardo Capezzone mi ha obbligato a mutare molte delle mie idee – e di quelle che ritenevo conoscenze – al riguardo[1]. E tre nuovi libri mi hanno molto aiutato a precisare le idee e a riempire importanti lacune[2].

E allora, insomma, vediamo d’intenderci. A scanso di equivoci ulteriori, espongo qui in chiaro, magari un po’ brutalmente e magari rozzamente, quel che penso e quel che credo (non oso dire quel che so) a proposito del nostro tema.

L’Islam: la terza e più recenti delle “religioni abramitiche” che nel loro insieme costituiscono  una novitas assoluta nel panorama storico-antropologico dei sistemi mitico-religiosi in quanto religione[3] a struttura non mitica bensì storica, a carattere non immanente bensì trascendente. La religione di un Dio unico, onnipotente, onnipresente, eterno, increato e Creatore: un unicum assoluto nelle molteplici concezioni che il genere umano ha del divino. Una religione distinta in due Leggi, l’ebraica e la musulmana, e in una Fede, la cristiana.

L’Islam: una legge antica di tredici-quattordici  secoli; e  una cultura senza la quale – pensate non solo alla filosofia ma anche all’astrologia/astronomia, alla matematica, all’alchimia/chimica, alla medicina – le nostre Università medievali e la stessa fondazione della Modernità occidentale sarebbero impensabili. Oggi, una realtà che a vario e differentissimo titolo coinvolge un miliardo e seicento milioni di esseri umani – vale a dire quasi un quarto dell’umanità, venticinque persone ogni cento – e che da troppo tempo troppi politici e opinion makers inadeguati o in malafede calunniano distillando e propinandoci bugie, falsi stereotipi, ridicoli luoghi comuni ispirati oltretutto alla visione manipolata e distorta d’una realtà che riguarda solo alcune aree del mondo, pochi ambienti o paesi, ristretti gruppi o sodalizi. Un miliardo e seicento milioni di persone che vivono, che lavorano, che producono, che pensano, che lottano: e che da noi,  secondo un infame  politically correct ormai diventato perfino l’ideologia ufficiosa di qualche  giornale e di qualche gruppo politico, sarebbero una massa di assatanati infibulatori, di feroci terroristi, di spettrali ideologi del “ritorno al medioevo”, di barbari invasori travestiti da migranti straccioni, d’ipocriti pronti ad invaderci e a sottometterci, di lapidatori, di tagliagole tagliateste e tagliamani, di sciupafemmine picchiafemmine ammazzafemmine.

Già in un saggio di alcuni anni or sono, ormai diventato un “classico” ma forse oggi un po’ dimenticato, l’antropologo Clifford Geertz sottoponeva a puntuale confronto due tipi d’Islam, desunti l’uno da comunità maghrebine e l’altro da comunità microasiatiche: due modelli nei quali la permanenza di miti e di riti preislamici e la dinamica acculturativa giunge a soluzioni per certi versi quasi sincretiche molto diverse da loro e tali da render difficile all’osservatore esterno il rendersi conto che ci si trova dinanzi alla medesima religione.

E allora, ci voleva proprio per esempio il libro curato da Branca, da Nicelli e da Zannini. Era necessario un libro agile, breve ma sostanzioso, sintetico ma scientificamente documentato, analitico quanto basta ma in grado di abbracciare tempi lunghi e vasti orizzonti:  nel quale tre esperti con tutte le carte in regola per essere riconosciuti tali (e quindi orientalisti, arabisti, islamologi)  ci forniscono un quadro organico e generale della realtà effettiva del mondo musulmano nella sua lunga storia e nell’ampia, complessa varietà  d’istituzioni, di strutture, di manifestazioni e d’intenzioni che lo caratterizzano.  Com’erano necessarie le puntualizzazioni di Capezzone e magari di un grande studiosi, filologo e linguista egiziano naturalizzato italiano, Mahmoud Salem Elsheikh, per ricordarci perentoriamente alcune cose sul rapporto strettisssimo, fino dal medioevo, tra cultura cristiana e cultura musulmana[4].

E partiamo dunque alla limpida e pacata caccia al pregiudizio, guidati dalla weberiana fede nel disincanto. Venghino venghino, signore e signori che davvero vogliono vederci chiaro, al Gran Padiglione del Vero Islam! Dove non si trovano né bandiere verdi o nere né mezzelune né harem né turbanti né palme né cammelli, e tantomeno le pipe sciabole tappeti scimitarre yaghatan odalische minareti che – ci assicurava grosso modo un secolo e mezzo fa il Visconti Venosta – già imballati avea il sultan.

Qui troveremo,  ordinatamente esposti e commentati in modo da consentire una puntuale verifica, alcuni dati semplici che l’abituale confidenza con cattive letture farà sembrare a molti di noi delle sconvolgenti, letteralmente incredibili verità. Ma Branca, Capezzone, Campanini, Nicelli,  Salem Elsheikh e Zannini, a volerne citare solo alcuni dei molti (ma, occhio!…, non moltissimi) ci aiutano a vederci chiaro. Ed ecco qua alcuni punti irreversibili e indiscutibili, da mandar a memoria e da non dimenticare mai più. Su questi, bisogna intendersi senza malintesi.

Primo: non esiste l’Islam, bensì gli Islam. O meglio, per salvaguardare l’unità storico-antropologica e teologico-giuridica sulla quale si fonda la  pur articolata, complessa e – perché no? –  sovente contraddittoria fenomenologia delle società musulmane, esiste un “Islam plurale”, come appunto il titolo di Branca, Nicelli e Zannini di questo libro suggerisce.

Secondo: all’interno del mondo musulmano si scrive, si legge, si discute, si critica. Non è assolutamente vero che il mondo musulmano non conosce l’Occidente (al contrario!), che non prende posizione ferma nei confronti del terrorismo, che in esso non esiste un’opinione  pubblica.

Terzo: il dilemma fra tradizione e modernizzazione non viene affatto abitualmente risolto nel multiforme universo musulmano solo col rifugiarsi nella prima impedendone qualunque cambiamento o, al contrario,  con la semplice accettazione di modelli esterni. Il panorama del pensiero musulmano non si lascia rinchiudere nel braccio di ferro tra “fondamentalisti” e “tradizionalisti” da una parte, “modernisti” e “secolaristi” dall’altra.  Per tacer della contrapposizione iniqua e cretina tra “Islam radicale” e “Islam moderato”.

Quarto: la shari’a, che da noi la propaganda di alcuni sconsiderati ha trasformato in una parolaccia, non s’identifica affatto con tutto il diritto musulmano né è affatto sempre e comunque incompatibile con il diritto internazionale vigente.

Quinto: è falso che l’Islam non conosca la divisione e la limitazione dei poteri, che confonda fede e politica, che non distingua fra teologia e legge, che applichi sempre e comunque il Corano alla lettera (il che sarebbe impossibile, se non altro, per motivi linguistici, filologici e lessicologici);  ed è invece vero che la legge viene costantemente mediata attraverso l’interpretazione umana, al di là di spesso disinformate e pretestuose polemiche sull’esegesi.

Sesto: il pluralismo e quel che noi definiamo “tolleranza” – vale a dire il riconoscimento di molte vie per giungere alla verità – sono nell’Islam tutt’altro che il prodotto della coraggiosa volontà innovativa di molti intellettuali che pur sarebbero destinati a rimaner isolati, bensì valori e problemi già insiti fino dalle origini del suo messaggio per quanto mischiati e sovente contraddetti da altri (come sempre avviene quando ci si trova a dover far i conti con una Rivelazione garantita da una Sacra Scrittura).

Settimo: i musulmani sono oggi circa un miliardo e seicento milioni di persone, più o meno un quarto dell’umanità sparso in tutto il mondo: e la stragrande maggioranza di loro chiedere solo di poter vivere e lavorare in pace, mentre le forze dei fanatici e dei terroristi assommano sì e no a qualche centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, organizzati in bande e cosche nemiche fra loro e che reciprocamente si odiano più di quanto non odino i “crociati” occidentali.

Ottavo: la maggior parte dei musulmani è minacciata dagli stessi mali che minacciano noi: la perdita della “cultura del limite”, l’idolatria del profitto e del consumo, la progressiva distruzione del pianeta.

Si potrebbe continuar a lungo con questa enumerazione di temi e di argomenti: ma questo è un tanto necessario quanto sufficiente viatico. Se qualche punto di questo ottalogo non vi convince e volete continuar a coccolare le vostre ideuzze senza scomodarvi ad approfondire e a rimettervi in discussione, fate pure: continuate così, a farvi del male. Se non vi convince ma volete vederci chiaro, avete una sola strada: studiate.

Ebbene, su “Diorama” l’amico Giuseppe Del Ninno mi rivolge alcune pacate e perfino lusinghiere critiche. Egli mi muove tuttavia l’accusa di sottovalutare abbastanza sistematicamente gli “aspetti aggressivi e intolleranti dell’Islam, nelle sue varie manifestazioni”, con “i loro esiti tragici, fino ai più recenti attentati terroristici”, che sarebbero da interpretare “per lo più come risposte o conseguenze di pressioni predatorie e intrighi da parte occidentale”.

Per la verità il percorso storico che io mi sono permesso di proporre è un po’ più complesso e articolato e non si sogna nemmeno di negare o di minimizzare gli errori e, quando ci sono stati, gli orrori commessi da gruppi o movimenti islamici. Né mi sono mia nascosto dietro a letture “evoluzionistiche” o deterministiche di sorta per giustificare le violenze musulmane: ho solo negato che i conflitti tra Europa cristiana e mondo musulmano potessero nascere da un “conflitto di civiltà” in quanto siamo, obiettivamente, tra questi due soggetti, nell’àmbito del confronto tra facies diverse e spesso sul piano contingente avversarie, ma storicamente e concettualmente parte di una medesima cultura (appunto abramitica da una parte, romano-ellenistica da un’altra: non dimentichiamo che è l’Islam che attraverso la Spagna del XII secolo – ma anche attraverso la Sicilia, la Palestina, perfino l’Inghilterra di Pietro Alfonsi e di Adelardo di Bath –  ci ha ricondotto l’aristotelismo, insieme con altri aspetti della cultura greca e anche di quella persiana, indiana e cinese). Quanto all’oggi, non mi sembra di aver mai minimizzato i delitti commessi dai fanatici wahhabiti e salafiti: ma l’ averli inseriti in un contesto di violenza come quella che caratterizza l’attuale disordine del mondo e il suo  aspetto più infame e scandaloso, la concentrazione della ricchezza e il generale impoverimento del mondo, equivale obiettivamente a indicarne una spiegazione che non vuol essere in alcun senso né giustificatoria, né assolutoria. Il comprendere in senso storico non ha nulla a che fare né col giustificare, né tanto meno con l’assolvere. Tutto ciò, senza mai dimenticare – e il mio interlocutore sembra dimenticarlo – che l’Islam stesso, come religione, è oggi in grave crisi e che l’omologazione occidentale, col suo corollario di consumismo e di religione del profitto, è divenuta la koinè diàlektos di tutti i ceti dirigenti del mondo, quelli delle società musulmane compresi.  Ma il vero nemico dell’Umanità resta evidente, per quanto non sempre immediatamente visibile e identificabile sul piano fenomenico immediato: è il materialismo assoluto del turbocapitalismo. Non si tratta di stabilire se il presidente del consiglio d’amministrazione dell’Union Carbide è considerabile o no altrettanto criminale di Bin Laden: si tratta della necessità di comprendere bene come la dimensione entro la quale il primo lavora è incommensurabilmente più pericolosa, sul piano assoluto e mondiale, dei misfatti realizzabili da un capo terrorista. Da una parte c’è un’inesorabile volontà nihilista che proprio “Diorama”, da sempre, non si è mai stancata di denunziare (si veda quanto, alle pp. 29-31, Giuseppe Giaccio osserva a proposito di quel che Alain de Benoist definisce la “Forma-Capitale” e del fatto che “c’è un elefante nella stanza e nessuno sembra accorgersene”, riferito all’impasse nel quale ci sta facendo precipitare l’utopia dello sviluppo e del profitto illimitati); dall’altra una cieca volontà di resistere che alla base può anche alimentarsi alle scaturigini di una sia pur barbarica fede nell’eternità, ma che al vertice è a sua volta vittima della mistificazione dei manovratori sunniti della fitna, che armano la mano dei guerriglieri del Daesh e dei terroristi ma che d’altronde sono i principali alleati di coloro che gestiscono l’egemonia occidentale.

Sbattere il Mostro Islamico in prima pagina è uno dei tanti trucchi che la sessantina di lobbies e di famiglie che oggi egemonizzano il mondo e che hanno ridotto i poteri politici a loro comitato d’affari stanno mettendo in atto per impedire all’umanità di aprire gli occhi e di scorgere i veri responsabili. L’islamofobia indiscriminata, anche quella che si dissimula dietro le distinzioni artificiose e astratte tipo la distinzione tra “Islam moderato” e “Islam fondamentalista”, è uno dei tanti strumenti usati per impedirci di vedere chi e dove sia il vero nemico. Che, come troppo sovente accade, forse marcia alla nostra testa.

                                                                                                                                                                                         Franco Cardini

*tratto dal blog www.francocardini.net

Note

[1] L. Capezzone, Medioevo arabo. Una storia dell’Islam medievale (VII-XV secolo), Milano 2016, pp. 196-216.

[2] P. Branca – P. Nicelli – F. Zannini, Islam plurale. Voci diverse dal mondo musulmano, Napoli 216; S. Calzolari – P. Tarchi, “Dov’è tuo fratello?”. Ebraismo, cristianesimo e Islam in dialogo, Milano 2016; Storia del pensiero politico islamico (Dal profeta Muhammad ad oggi), Milano 2017.

[3] Al di là delle distinzioni fideistiche e confessionali, che come studioso non mi sogno nemmeno di contestare e che come credente cattolico romano condivido, ritengo un dato obiettivo che, a livello appunto storico-antropologico con la Rivelazione di Dio ad Abramo secondo il racconto del Genesi si possa ritenere di trovarsi dinanzi al nascere di una nuova religione, il monoteismo abramitico appunto, della quale ebraismo, cristianesimo e Islam costruiscano tre differenti confessioni.

[4] Di questo formidabile studioso ci limitiamo a citare la magistrale, illuminante edizione critica di Abu Bakr Muhammad ibn Zakariya af-Razi, Al Mansuri fi ‘t-tibb. Liber medicinalis Almansoris, edizione critica del volgarizzamento laurenziano (Plut. LXXIII. MS.43) confrontato con la tradizione manoscritta araba e latina, a cura di M. Salem  Elsheikh, voll. 2, Roma 2016.

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