A seconda dei punti di vista, favorevoli o contrari, alla maternità surrogata, è stata accolta con critiche o consensi la sentenza in data 24/1/2017 della Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’uomo, che nella controversia Paradiso-Campanelli vs. Italia, in sede di appello, ha ribaltato la pronuncia emessa il 27/1/2015 in primo grado dalla stessa Corte.
La vicenda nasce dal rigetto della richiesta di trascrizione di un atto di nascita, firmato in Russia, avanzata da due coniugi riguardante un minore nato in quel paese il 27/2/2011 da maternità surrogata. Al rigetto fecero seguito l’allontanamento del minore e la sua collocazione in una casa-famiglia in attesa dell’avvio della procedura per l’adozione. In quel grado la Corte diede atto delle singolarità del caso, sia per le contraddittorie dichiarazioni della coppia (in particolare dell’aspirante madre), sia – soprattutto – per la constatata assenza di qualunque legame biologico fra i richiedenti e il neonato dal momento che l’embrione impiantato nell’utero della “madre surrogata” proveniva da gameti di altre persone attraverso una procedura a cura della società moscovita Rosjurconsulting, che provvide poi alla consegna del prodotto del parto ai committenti dietro corresponsione di euro 49.000. Pur riconoscendo che le autorità italiane avevano fatto puntuale applicazione della normativa tanto interna quanto del diritto internazionale privato, la Corte diede prevalenza alla tutela dovuta alla riconosciuta esistenza di una famiglia de facto (conseguente alla presenza di un progetto parentale e ai 9 mesi – 3 in Russia, 6 in Italia – trascorsi dal neonato con gli aspiranti genitori) e al superiore interesse del minore. Di qui il risultato: “ritiene che i ricorrenti si siano comportati nei confronti del minore come dei genitori e conclude in favore dell’esistenza di una vita familiare de facto fra i ricorrenti e il minore. Pertanto nel caso di specie si applica l’articolo 8 della Convenzione”, con riferimento alla tutela, oltre che della vita familiare, di quella privata, un aspetto ritenuto rilevante per la posizione non del minore, ma degli aspiranti genitori. Il procedimento si concluse così con l’accoglimento del ricorso e la condanna dell’Italia al risarcimento dei danni, quantificati in euro 20.000 (più diecimila per rimborso spese).
Facendosi forte anche della dissenting opinion di due giudici, il governo italiano impugnò la decisione davanti alla Grande Camera, che adesso motiva l’accoglimento sull’assenza di un pur minimo legame biologico fra gli aspiranti genitori e il minore, e sulla mancanza di vita familiare, anche solo de facto, a causa della breve durata del rapporto di convivenza. Ritiene la Corte che le decisioni del governo italiano non hanno potuto incidere su una vita familiare non ancora esistente, ma soltanto sulla vita privata dei due aspiranti genitori, che però deve cedere al superiore interesse del minore (evidentemente inteso dalla Grande Camera in senso diverso da quello dei giudici di primo grado) e dell’autonomia che va riconosciuta allo Stato in materia di maternità surrogata. Difatti “la Convenzione non riconosce un diritto di diventare un genitore“, sicché su questo desiderio prevalgono le ragioni d’interesse pubblico, che, nel caso concreto, legittimano anche il ritiro del bambino, perché “acconsentire a lasciare che il bambino stesse con ricorrenti (…) sarebbe equivalso a legalizzare la situazione creata da loro in violazione di importanti norme del diritto italiano“.
Indubbiamente un successo dal punto di vista di chi è contrario a qualunque forma di riconoscimento della maternità surrogata e ritiene vada lasciata allo Stato la libertà di sanzionare chi illegalmente vi ricorre. Un successo però molto modesto, perché rarissimi sono i casi nei quali manchi quel minimo rapporto biologico richiesto dalla giurisprudenza. In pratica un episodio del tutto marginale, da inquadrare, più che nell’ambito della maternità surrogata, o (è l’ipotesi più probabile) come truffa ai danni dei coniugi italiani, ai quali la società moscovita avrebbe fatto credere che l’ovulo fosse stato fecondato dal seme del marito, o come un tentativo dei coniugi di fare passare come proprio un bambino comperato.
Più interessanti le argomentazioni sulla famiglia de facto, ma per mettersi in regola con i requisiti richiesti dalla Corte basta prolungare di qualche mese la permanenza nel paese dove si è partorito (qualche spesa in più, ma le varie Rosjurconsulting si mostreranno comprensive e verranno incontro con qualche riduzione dei prezzi o includendo nel “pacchetto” un soggiorno più lungo).
Resta la speranza che l’affermazione sulla inesistenza di un diritto alla genitorialità apra la strada ad un più vasto ripensamento sul fenomeno in corso della trasformazione, molto spesso per via giudiziaria, dei desideri in diritti.
Francesco Mario Agnoli