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L'AVANZATA DEI "NUOVI DIRITTI" E L'ORDINE PUBBLICO INTERNAZIONALE "OCCIDENTALE". Di Francesco Mario Agnoli

Vi sono provvedimenti dell’autorità giudiziaria che offrono il destro a  considerazioni e incursioni non solo nel giuridico, ma anche nel sociale e nel politico. E’ il caso della  sentenza della Corte d’Appello di Milano in data 28/10/2016, che, riformando, su reclamo di due cittadini italiani. promotori, nella loro asserita qualità di padri, della relativa richiesta, l’opposta decisione del Tribunale, ha ordinato all’Ufficiale di Stato  Civile di quel Comune di procedere alla trascrizione di due atti di nascita  per la ritenuta infondatezza  dell’obiezione  di  contrarietà all’ordine pubblico italiano da questi opposta alla richiesta.  All’Ufficiale di Stato Civile erano stati, difatti, presentati per la trascrizione  atti di nascita formati in California secondo le leggi di quello Stato, riguardanti due minori indicati come gemelli in quanto partoriti dalla stessa donna (rimasta anonima) nello stesso giorno e nella stessa ora, ma  con attribuzione delle rispettive paternità a due uomini diversi, appunto i richiedenti la trascrizione, che avevano effettuato il riconoscimento del rispettivo figlio. Ritenendo tale  evento altamente improbabile,  il funzionario milanese aveva ritenuto gli atti  elusivi della legge  19/2/2004 n. 40 e pertanto non trascrivibili, perché contrari all’ordine pubblico.

   La Corte d’Appello  ha dato per pacifico che i due bambini “sono nati dalla fecondazione di due distinti ovuli, donati  da donna rimasta anonima; ciascun ovulo è stato fecondato con il seme di uno dei due reclamanti e i due embrioni ottenuti sono stati impiantati nell’utero della donna che li ha poi partoriti, con ricorso alla tecnica della “gestazione per altri”, lecita nello Stato della California, dopo, la stipulazione tra ciascun reclamante e la gestante e partorente di un “agreement for gestational carriers”, cioè di un contratto di affitto dell’utero  della donna. Ha, quindi riconosciuto  trattarsi di una procedura   che, lecita in California,   viola invece i divieti di cui alla legge n. 40/2004, ma ha argomentato che ciò non  impedisce la trascrizione di atti, regolarmente formati  secondo le leggi di quel paese,  riguardanti cittadini americani al momento  della nascita, in  base ad una serie di argomentazioni, che, partendo dall’interesse superiore dei minori, approdano ad in risultato molto più ampio, che riguarda lo stesso concetto di ordine pubblico.

    In realtà la Corte   in motivazione non ha definito  il concetto di ordine pubblico,  da intendere nei rapporti di   diritto internazionale privato non di mantenimento della sicurezza pubblica, ma di salvaguardia  dei principi  etici, economici, politici e sociali operanti nei vari campi della convivenza, né si è chiesta se vi rientrino  le disposizioni della legge  n. 40/2004. La Corte milanese ha dato per scontato  che  l’ordine pubblico  cui occorre fare riferimento sia esclusivamente quello internazionale, aderendo alla tesi, giurisprudenziale e dottrinale, che definisce superata la distinzione fra ordine pubblico interno e internazionale, sicché solo di questo andrebbe tenuto conto, come indicato dalla  sentenza della Corte di  Cassazione n.  17349 del 6/12/2002: “il concetto di ordine pubblico (…) non si identifica con il c.d. ordine pubblico interno, e, cioè, con qualsiasi norma imperativa dell’ordinamento civile, bensì con quello di ordine pubblico internazionale, costituito dai soli principi fondamentali e caratterizzanti l’atteggiamento etico-giuridico dell’ordinamento in un determinato periodo storico”  (la Corte d’Appello cita   la sentenza  n. 19599/2016, che  applica il principio  alla valutazione di compatibilità  “con l’ordine pubblico dell’atto di stato civile straniero, i cui effetti si chiede di riconoscere in Italia, a norma degli artt. 16, 64 e  65 della legge n. 218 del 1995 e 16 DPR n. 396 del 200”, specificando che il giudice italiano deve verificare non già se l’ atto straniero applichi una disciplina nella materia conforme o difforme ad una o più norme interne (seppure imperative o inderogabili), ma se esso contrasti con le esigenze dei diritti fondamentali dell’uomo desumibili dalla Carta Costituzionale, dai Trattati fondativi  e dalla Carta  dei  diritti fondamentali dell’Unione  Europea, nonché della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”).

   Dal momento che la funzione del limite dell’ordine pubblico è da sempre di impedire tanto l’applicazione di norme straniere quanto il riconoscimento di sentenze straniere che comporterebbero effetti non compatibili con i principi fondamentali dell’ordinamento italiano, l’indirizzo in questione comporta la totale coincidenza dei principi fondamentali dell’ordinamento italiano  con quelli dell’ordine pubblico internazionale. Fra le due situazioni (ordine pubblico interno-ordine pubblico  internazionale) resta però nella concretezza dei fatti una radicale differenza: il primo viene  determinato dalle leggi votate dal parlamento, il secondo dall’interpretazione, spesso creativa, di norme di diversa origine ad opera dei giudici, che vi ricorrono  per  correggere quelle che ritengono imperfezioni e per riempire i buchi che assumono  lasciati dalle leggi approvate dal parlamento o, in casi estremi,  per creare norme che il parlamento non ha emanato, pur essendovi – si afferma – tenuto dai principi dell’ordine pubblico internazionale.

   La trasformazione dell’ordine pubblico interno in ordine pubblico internazionale ha così l’effetto  di moltiplicare per quanti sono gli organi giudiziari italiani il fenomeno descritto  da Galli della Loggia a proposito della Corte costituzionale in un articolo  sul Corriere della Sera del 2 febbraio  2016 (tanto più significativo perché si riferisce al caso opposto, cioè alla capacità delle norme costituzionali di limitare gli abusi delle maggioranze parlamentari): “Personalmente avrei dei dubbi sull’efficacia di tale limite. Per un motivo soprattutto: la Costituzione vuol dire in realtà una Corte costituzionale chiamata ad interpretarla. Cioè dei giudici con loro idee, destinate inevitabilmente a cambiare anch’esse nel corso del tempo. Nella storia di tutte le Corti non si contano, infatti, i casi in cui il riconoscimento di un diritto (per esempio, quello di abortire) a lungo rifiutato è stato poi ammesso. Le Costituzioni insomma servono solo, nel caso migliore, a impedire che le maggioranze parlamentari violino i diritti esplicitamente menzionati nel loro testo. Ma solo a questo. Molto difficilmente valgono a impedire che esse ne stabiliscano a loro piacimento di nuovi: ovviamente ogni volta con l’opportuna invocazione alla “democrazia”, alla Costituzione, e alle sue formule necessariamente vaghe, come per l’appunto quella della “pari dignità sociale” scritta nella nostra Carta. In base alla quale, come si capisce, può essere sancita in pratica qualsiasi cosa: dal diritto alla genitorialità a quello, mettiamo, a un trattamento pensionistico eguale per tutti”.

  Il fenomeno di nuovi diritti stabiliti a piacimento  risulta tutt’altro che raro sul versante giudiziario, come dimostra, a titolo di esempio, la sentenza in data 17/7/2000  del Tribunale di  Milano,  che ha ritenuto contraria all’ordine pubblico internazionale l’assenza di normative che prevedano la possibilità di mutare sesso, perché ne verrebbe leso il diritto alla identità sessuale. D’altra parte la legalizzazione dell’aborto (divenuta ormai diritto all’aborto) è stata estratta dalla Corte Suprema statunitense, per quanto strano possa sembrare, dal diritto alla privacy.

   In realtà quello che si definisce “ordine pubblico internazionale” è soltanto “l’ordine pubblico occidentale”. La dottrina ha  avuto occasione di rilevare, spesso senza trarne le dovute conseguenze,  come  nell’attuale periodo storico accanto alle legislazioni di tipo “occidentale” (in prevalenza europee e statunitensi) ne esistano altre ispirate a principi  in tutto o in parte diversi. Un esempio  ricorrente è quello del confronto fra le normative occidentali, che, fortemente caratterizzate in senso individualistico e dal rifiuto di principi religiosi, accolgono soluzioni innovative in materia di famiglia (unioni non matrimoniali registrate, matrimoni omosessuali, filiazione assistita e surrogata), e quelle islamiche, che, oltre ad avere una concezione opposta del rapporto religione-legislazione, dettano una  disciplina molto diversa  del matrimonio e della filiazione (non per nulla i paesi musulmani hanno elaborato non una ma due loro Dichiarazioni dei Diritti dell’Uomo). Al riguardo sembra opportuno specificare che la constatazione non comporta l’auspicio che l’Italia e l’Europa aprano le porte  alla limitazione della capacità matrimoniale della donna, alla poligamia, al ripudio. Tutt’al contrario il pericolo di simili aperture sta  proprio nell’identificazione dell’ordine pubblico nazionale con  quello internazionale, che, dando l’ostracismo a norme proprie dell’ordinamento giuridico di molti popoli, finisce   nel cul-du-sac di una posizione contraddittoria, che, difatti, sta spingendo, sia pure, per ora, in forme  più occasionali che organiche, alcuni Stati “occidentali”, desiderosi di attenuare la contraddizione, a concedere  alle comunità d’immigrati  l’applicazione di norme proprie del loro ordinamento d’origine. In ogni caso le differenze  non riguardano soltanto la materia  della famiglia (pur se queste sono fra le più significative) e  le normative islamiche, sussistendone di importanti  anche in altri settori e  rispetto ad  altri ordinamenti, come il russo e il cinese, tanto che si può affermare che buona parte degli abitanti della terra  ha un ordine pubblico che non coincide affatto con quello occidentale.

    Di conseguenza, la sostituzione  in Italia dell’ordine pubblico interno con quello definito “internazionale” non  dipende   dal riconoscimento di un principio universale, ma da una scelta culturale, tradotta in norme di varia origine (religiose, etiche, legislative, giurisprudenziali), di adesione ad un  tipo di civiltà piuttosto che ad un altro. Se così è l’ordinamento giuridico italiano resta titolare  del potere di stabilire cosa sia il proprio “ordine pubblico” e quali ne siano i limiti. Un potere, che in una democrazia rappresentativa compete  non ai giudici, ma ai rappresentanti del popolo sovrano. Si pone, quindi, urgente, il problema, politico, di riaffidare al Parlamento il compito di stabilire, anche caso per caso, al momento del varo di una legge o in seguito (magari nelle forme dell’ “interpretazione autentica” ex lege),   quali siano nei vari campi le norme che, avendo  valore fondamentale per l’ordinamento giuridico nazionale, non consentono l’applicazione di norme   o il riconoscimento di sentenze straniere,

   Del resto sono sotto gli occhi di tutti i problemi  posti da un sistema che in realtà non tiene conto di quelli che, per riprendere il linguaggio  della Cassazione, dovrebbero essere, forse non  ad opinione dei  giudici (per altro componenti di una élite largamente minoritaria), ma certamente della maggioranza  della popolazione, i cardini  della struttura etica, sociale ed economica della comunità nazionale in quanto le  conferiscono una ben individuata ed inconfondibile fisionomia. Problemi ai quali si tenta di rispondere o invocando  il vecchio rimedio dell’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione per  riportare ad  uniformità la molteplicità delle decisioni dei giudici di merito, oppure proponendo  eccezioni all’applicazione dell’ordine pubblico internazionale con sostanziale  ritorno, totale o parziale, in alcuni casi e materie all’applicazione di un distinto ordine pubblico nazionale. Va   in questo  senso la tendenza giurisprudenziale che ritiene che il limite dell’ordine pubblico così come oggi inteso debba trovare applicazione  non in modo automatico e senza distinzioni, ma tenendo presente  il maggiore o minor grado di connessione della fattispecie interessata con la realtà sociale italiana e con quella internazionale, sicché il riferimento  all’ordine pubblico interno, in contrapposizione a quello internazionale, verrebbe recuperato nelle situazioni maggiormente connesse con l’ordinamento giuridico nazionale, come nel caso di rapporti di famiglia nei quali  tutte le parti o alcune  abbiano cittadinanza italiana.

   Le intenzioni sono buone, ma in questo modo si aumenta ulteriormente  la già eccessiva discrezionalità del giudice.

Francesco Mario Agnoli

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