Quanto è vero della lirica greca, della grande poesia orale degli aedi della Grecia delle origini, che, rispetto agli scribi, sono «liberi e raccontano ‘ciò che è stato, che è e che sarà’» cantando imprese che valicano il tempo e la morte,[1] tanto più è vero dei cantori del Verbo Eterno fattosi carne, Ieri, Oggi e Sempre, gli angeli.
La distinzione tra aedi e angeli come interpreti di gloria, si esplica, però, a molteplici livelli, oggettivi e soggettivi . Gli aedi cantano le “glorie degli uomini”[2], gli angeli la “gloria di Dio.” L’una è la gloria nelle imprese terrene, l’altra “gloria in excelsis”. Gli aedi eternano ciò che eterno non è; gli angeli cantano le risonanze dell’Eterno nella Storia, del Cielo sulla Terra.
La tonalità della acclamazione si distingue in termini di Stimme: la voce monodica, da un lato, la coralità polifonica dall’altro. La vocalità è strumento narratologico per eccellenza, ovverosia espressione della Stimmung, dell’atteggiamento di fondo che vibra nel mezzo vocale: l’atteggiamento degli aedi è l’esaltazione eroica, l’atteggiamento degli angeli è la lode dell’umiltà dell’amore incarnato. L’esaltazione dei primi riguarda l’eccellenza come predominio dell’uomo vittorioso, la lode dei secondi la logica più potente del dono totale ricevuto e condiviso:
“Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14).
“Pace in terra” è il premio dell’amore offerto dal Dio amoroso. Il canto angelico della gloria divina è espressione della gioia piena della Presenza di Dio tra gli uomini, il Natale del Signore a Betlemme, la ‘Casa del Pane della Vita’.
[1] G, Guidorizzi, Io, Agamennone, Torino, ET Saggi, 2016, p. 7.
[2] “i kléa andrón”, ibid.