La Costituzione della Repubblica Italiana, approvata nel dicembre del 1947 ed entrata in vigore il primo giorno del nuovo anno 1948, è stata più volte cambiata; tra le riforme più significative, citiamo: quella del titolo V, con la legge costituzionale 1/1999; la costituzionalizzazione del giusto processo, con la legge costituzionale 2/1999; la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, con la legge costituzionale 1/2012. Come si può vedere, quindi, riforme costituzionali se ne sono avute, in passato, e del resto la stessa Costituzione statunitense, risalente all’anno 1787, una delle più fisse del mondo, ha dovuto subire cambiamenti e accomodamenti; non parliamo, poi, dell’esempio, ormai in gran parte storicamente concluso, del costituzionalismo socialista, in cui i testi delle carte fondamentali, prevalentemente programmatici e descrittivi, cambiavano spessissimo, tanto che non era infrequente il caso, per gli Stati socialisti, di avere avuto, nel corso della loro esistenza storica, anche più di due o tre testi costituzionali.
Questa riforma costituzionale, passata nel dibattito giornalistico e politico come riforma Boschi-Renzi, è criticabile sotto molti punti di vista, tanto giuridici quanto politici (non si dimentichi che le leggi sono fatte per una comunità politica): è una riforma non approvata dalla maggioranza assoluta delle forze presenti in Parlamento, per di più nell’ambito di un sinistro accordo quale quello c.d. “del Nazareno”; per una riforma di tale calibro (vengono modificati più di quaranta articoli) ci sarebbe bisogno di una Commissione Bicamerale o addirittura di una nuova Assemblea Costituente; è una riforma scritta in maniera ostica e difficile, lontanissima dal chiaro testo originario dei Padri costituenti (vedasi la famosa proposta di cambiamento dell’articolo 70, che passa dalle semplici 9 alle proposte 439 parole); è una riforma che dà ancora più potere di quanto sia possibile alle istituzioni dell’Unione Europea (vedasi la proposta di riforma dell’articolo 117), con un progressivo e maggior svuotamento di sovranità statale; è una riforma che scombina ulteriormente il quadro del riparto di competenze tra Stato e Regioni, facendo tornare in capo allo Stato alcune delle competenze prima devolute alle Regioni; è una riforma che scippa ulteriormente la sovranità elettorale dei cittadini, rafforzando ancora di più i partiti e i loro apparati tanto nazionali quanto locali, con percentuali di parlamentari eletti direttamente dai cittadini che si riducono ad un 40% per la Camera dei Deputati e addirittura uno 0% per il Senato, trasformato ora in un “Senato delle Autonomie” che nulla ha a che vedere con esperienze similari come quella tedesca.
È una riforma che non apporta quel taglio di spese e risorse così adombrato in campagna elettorale e all’opposto rende ancora più complesso e macchinoso il meccanismo di proposizione e modifica delle leggi. Si potrebbe continuare a lungo con questo elenco, e del resto, tra i costituzionalisti, tutti con i loro argomenti, si continua a discutere e a confrontarsi vicendevolmente su questa proposta di riforma (una ultima buona sintesi, con le analisi di quindici diversi costituzionalisti, è quella stampata per le edizioni del “Corriere della Sera”, 2016, “La riforma della Costituzione”, con prefazione di Antonio Polito), così come, in maniera diversa, lo si continua a fare tra politici, giornalisti, semplici cittadini.
Ci sono però altre motivazioni per evitare a qualsiasi costo questa riforma, che vanno oltre il testo, già di per sé pessimo (non si scordi che questo governo è lo stesso che ha licenziato la riforma delle società bancarie per avvantaggiare il Monte dei Paschi di Siena e Banca Etruria, o il Codice degli Appalti con quasi l’80% di articoli grammaticalmente erronei): è quello dell’idea, tecnocratica, nichilista e anticomunitaria, che ispira l’azione di questo governo, governo che, si ricordi, ha varato una legge sul lavoro, il c.d. Jobs Act, che ha frammentato ancora di più le sicurezze lavorative, e una legge, la 76/2016, che ha introdotto nel nostro ordinamento le unioni civili, primo apripista verso le nozze omosessuali facente parte dell’unico disegno criminoso (per usare una terminologia penalistica) contro la famiglia.
Molti sono gli esponenti del mondo giuridico cattolico (come gli avvocati Giancarlo Cerrelli e Simone Pillon) che hanno esposto, tanto in articoli e interviste quanto in interventi in incontri pubblici, una serie di ragioni cattoliche e comunitarie per bocciare tale riforma costituzionale, non solo nel singolo merito, ma, anche, per tutto ciò che potrebbe comportare in tema di temi etici. Segnaliamo, ad esempio, questo interessante intervento di Alfredo Mantovano (che si po’ leggere integralmente qui http://www.tempi.it/stato-senza-corpi-intermedi-renzi-governo-non-amazon#.WCua7NThCt- ): “Disintermediazione è la parola chiave che individua il filo conduttore culturale della riforma costituzionale: il premier l’ha adoperata almeno in un paio di occasioni. Alla lettera vuol dire fare a meno il più possibile di intermediari.
Il termine trae origine dal mondo delle banche e delle reti commerciali, e indica la progressiva rimozione degli intermediari dalle catene di fornitura dei prodotti…la politica e l’articolazione dei corpi sociali sono altra cosa. Non è sostenibile la superfetazione di organismi rappresentativi, la cui scarsa efficienza di sistema ha causato perdita di credibilità e difficoltà operative, ma la soluzione non è passare da un estremo all’altro.
Se il sistema è farraginoso, il punto di arrivo non è un panorama che vede da un lato tanti singoli atomi e dall’altro lo Stato, spesso veicolo di decisioni europee; la soluzione è una difficile opera di razionalizzazione.”; ancora: “La disintermediazione acquista allora un senso politico preciso, e al suo interno il contrasto sul piano della legislazione e della politica di governo nei confronti della famiglia, che nell’ultimo biennio ha toccato livelli non immaginabili, è il coronamento del percorso, visto che la famiglia è la prima e più elementare realtà intermedia…Oltre il No, va costruita una politica che si opponga al depauperamento delle realtà intermedie, che valorizzi quello che è vivo al loro interno, che rivitalizzi ciò che ha costituito finora la rete della sussidiarietà.”.
Importante, poi, il parere di due importanti realtà associative cattoliche, quella del Family Day-Difendiamo i nostri figli e quella del Movimento Cristiano Lavoratori (se ne possono trovare interessanti sunti qui http://www.marcotosatti.com/2016/11/12/un-no-cattolico-al-referendum-anche-contro-la-tentazione-di-un-neo-collateralismo-clericale/ e qui http://www.lanuovabq.it/it/articoli-no-alla-riforma-per-salvare-famiglia-e-lavoro-18023.htm ): per usare le parole di Carlo Costalli, del Movimento Cristiano Lavoratori, “Siamo ben coscienti che la riforma Renzi-Boschi è propedeutica alla definitiva destrutturazione della nostra società, proprio dalla destabilizzazione dei suoi due cardini principali: la famiglia e il lavoro” e “Il tasso di decisionismo che si vuole introdurre è strumentale ad introdurre un processo di liquefazione della società italiana, anche grazie allo svuotamento della democrazia ottenuto tramite una Senato composto da nominati.”
Il carattere personalistico della carta, la centralità della famiglia naturale, il concetto di sussidiarietà, di corporazione e di corpo intermedio, la difesa della sovranità popolare e nazionale, tutti questi beni giuridici primari sarebbero messi in pericolo in itinere da questa riforma costituzionale, che non è certo isolata dall’intera azione di governo, liberale, individualista e anti-sovranista: per quanto in piccolo, la difesa del primato nazionale e sovranista passa, anche, dalla bocciatura di questa riforma costituzionale, fatta da una maggioranza parlamentare meramente formale ai danni della cittadinanza intera, della società e dello Stato. E non si dimentichi che, nel testo costituzionale repubblicano ispirato ampiamente, comunque, a quei testi che furono la Carta del Lavoro del 1927 e la Costituzione della Repubblica Sociale Italiana del 1943, si inserirebbe ancora di più la pressante e asfittica influenza comunitaria, con tutto ciò che ne consegue.
Concludiamo questo piccolo lavoro con due citazioni di Joseph de Maistre (1753 – 1821), un giurista e filosofo di due secoli fa, ma che non ha certo perso il suo smalto e la sua attualità, tutt’altro!
“Una Costituzione che va bene per tutti i popoli, non va bene per nessun popolo.”
“Uno dei grandi errori di un secolo che li professò tutti, fu di credere che una costituzione politica potesse essere scritta e creata a priori, mentre ragione ed esperienza si uniscono per dimostrare che una costituzione è un’opera divina e che proprio ciò che vi è di più fondamentale e di più essenzialmente costituzionale nelle leggi di una nazione non potrebbe mai essere scritto.”
Roberto De Albentiis