“In questa monarchia, replicò il conte Chojnicki… ‘niente è straordinario… Con questo voglio dire che il cosiddetto straordinario, per l’Austria-Ungheria è l’ovvio. Con questo voglio pure dire che solo in questa pazza Europa degli Stati nazionali e dei nazionalisti ciò che è ovvio sembra bizzarro. Sicuro, sono gli sloveni, i galiziani polacchi e ruteni, gli ebrei col caffetano di Boryslaw, i mercanti di cavalli della Bacska, i musulmani di Sarajevo, i caldarrostai di Mostar che cantano il Dio conservi.” (J.Roth-La cripta dei Cappuccini)
Nato il 18 agosto 1830, figlio dell’Arciduca Francesco Carlo, il fratello minore dell’imperatore Ferdinando I, e di Sofia di Baviera, Francesco Giuseppe era secondo in linea di successione, dopo il padre.
Sofia aveva quindi imposto al figlio una rigida educazione che ne forgiasse il carattere e lo preparasse all’assunzione della carica imperiale. Nel 1848, all’abdicazione del cognato Ferdinando I, malato e senza discendenza diretta, Sofia fece in modo che il marito Francesco Carlo, erede naturale alla carica imperiale, ma da lei considerato sostanzialmente un inetto, rinunciasse alla corona in favore del figlio che, a soli 18 anni, divenne quindi Imperatore.
Francesco Giuseppe I d’Asburgo-Lorena è stato protagonista e testimone del passaggio tra due epoche; sul campo di Solferino nel 1859, quando la guerra si faceva coi fucili ad avancarica, chiuse gli occhi a questo mondo il 21 novembre del 1916, quando, sui teatri del primo conflitto mondiale, si sperimentavano l’arma aerea e la guerra chimica.
A capo di un Impero multietnico e quindi multiculturale, dove, come dice Roth “ciò che è ovvio, agli altri sembra bizzarro”, Francesco Giuseppe, oltre che sovrano, si considerava soprattutto il custode di una secolare istituzione, che doveva preservare e trasmettere integra al suo successore. Convinzione, questa, che favorì un certo immobilismo e impedì l’attuazione di un processo riformistico che avrebbe potuto giovare all’Impero e alla Dinastia.
Figura emblematica, e per taluni aspetti tragica, l’Imperatore fu al tempo stesso attore e testimone di quel lento declino che avrebbe travolto la vecchia Europa e con essa l’antica istituzione imperiale; declino culminato nel primo conflitto mondiale che, lungi dal risolvere la crisi che l’aveva generato, generò a sua volta quelle tensioni che sarebbero sfociate in un secondo conflitto, di dimensioni ancor più devastanti.
Non che l’Imperatore vivesse avulso dalla realtà e non fosse cosciente della crisi che indeboliva ogni giorno di più l’Impero; sembrò tuttavia accettare, quasi con rassegnazione, l’evoluzione degli eventi, rimanendo pressoché immobile sulle sue posizioni di “custode” dell’Impero, senza promuovere sostanziali riforme.
Riforme che rientravano tuttavia nei progetti del successore designato, Francesco Ferdinando, e dei quali l’Imperatore era al corrente. Pronipote dell’Imperatore, divenuto erede dopo la tragica morte di Rodolfo, l’unico figlio maschio di Francesco Giuseppe, Francesco Ferdinando non faceva mistero della sua insofferenza verso le sempre maggiori ingerenze germaniche e della sua contrarietà al coinvolgimento dell’Impero in una guerra. Posizione questa che non riscontrava i favori degli ambienti militari, abbagliati dal pangermanesimo che soffiava da Berlino. In politica interna, l’Arciduca era poi il promotore di una sorta di “trilateralismo” che avrebbe innalzato le popolazioni slave dell’Impero ad un livello paritario con austriaci e ungheresi; ipotesi fortemente avversata da questi ultimi, che temevano di perdere l’ influenza sui territori (Croazia e Slavonia) che erano stati assegnati al Governo di Budapest dall’ “Ausgleich”, il “Compromesso” del 1867, che aveva riformato l’Impero d’Austria nell’ Impero Austro-Ungarico.
Tale ipotesi, inoltre, non trovava nemmeno grande favore negli stessi ambienti di Corte, soprattutto nella componente militare, che paventava un ulteriore indebolimento della predominanza dell’elemento tedesco dell’Impero, già ridimensionata dal Compromesso del ’67.
Solo verso l’Italia, alla quale l’Austria-Ungheria era legata dal patto della Triplice Alleanza del 1882, la posizione di Francesco Ferdinando era di netta chiusura; posizione che coincideva con quella del Capo di Stato Maggiore, von Hötzendorf, che, non senza qualche ragione, considerava l’alleato italiano inaffidabile.
Francesco Giuseppe, pur non abbracciando apertamente le posizioni dell’Arciduca, non forzò mai Francesco Ferdinando imponendogli una condotta “allineata” ma gli consentì, invece, una certa libertà di manovra, permettendo anche che si circondasse di propri consiglieri, estranei alle posizioni ufficiali della Corte; sembrava che Francesco Giuseppe consentisse tacitamente all’erede di porre le premesse per attuare, una volta sul trono, quelle riforme che lui, vecchio Imperatore ormai al tramonto, non aveva la forza di realizzare. Ma poi venne Sarajevo, il principio della fine.
Se la questione ungherese, che agitò l’Impero per decenni, alla fine si risolse col Compromesso del 1867, i rapporti con l’Italia furono sempre conflittuali. Anche durante la Triplice Alleanza, il patto di non aggressione sottoscritto nel 1882 tra Germania, Austria e Italia, al quale Vienna aveva aderito più per le pressioni esercitate da Berlino che non per reale convinzione, i rapporti con Roma furono improntati ad una sostanziale diffidenza. Atteggiamento peraltro non ingiustificato, se si pensa alla politica aggressiva che aveva sempre caratterizzato la condotta dai Savoia verso l’Impero, prima con le guerre del 1848/49 e del 1866 e, alla fine, col repentino cambio di campo del 1915 e l’ingresso in guerra dell’Italia a fianco delle Potenze avversarie dell’Austria-Ungheria.
Solo nel 1859 l’Austria aveva aggredito per prima il Piemonte, dando inizio ad una guerra architettata dalle Cancellerie di Parigi e Torino che, mettendo in atto una politica provocatoria, portarono Vienna a rivestire il ruolo di aggressore; fu infatti il Piemonte che, sostenuto dalla Francia, provocò la reazione austriaca, procedendo al riarmo e allo schieramento di truppe lungo il confine col Lombardo–Veneto, violando le clausole sottoscritte con la Pace di Milano, che ridimensionavano la forza militare piemontese a seguito della sconfitta nella guerra del 1848/49.
Ci fu tuttavia un momento in cui Francesco Giuseppe aveva cercato, senza successo, di allentare le tensioni con le popolazioni italiane. Nel biennio 1857-1859, immediatamente prima della guerra austro-franco-piemontese, l’Imperatore aveva nominato Governatore del Lombardo-Veneto il fratello Ferdinando Massimiliano (che diventerà poi Imperatore del Messico, dove sarà fucilato dai sostenitori di Benito Juarez), in considerazione del fatto che, come osserva Franco Cardini, il giovane Arciduca esercitava un certo ascendente sulle popolazioni italiane, tant’è che gli stessi lombardi, inglobati poi nel regno sabaudo, avrebbero mugugnato, sostenendo che Massimiliano era stato un governatore migliore dei Prefetti del Regno d’Italia (cfr.F.Cardini -Francesco Giuseppe, pg.109 – Sellerio, 2007).
Il nuovo Governatore iniziò quindi a studiare delle riforme che non dovevano essere semplici palliativi per quietare le fazioni anti austriache, ma dovevano produrre una riforma generale del Regno Lombardo-Veneto. Il progetto di Massimiliano partiva dalla constatazione delle peculiarità delle popolazioni italiane, che avevano un proprio retaggio culturale, non assimilabile alla tradizione delle popolazioni di lingua e cultura tedesca, peculiarità che dovevano essere tutelate da un sistema di governo che garantisse le più ampie autonomie, al fine di neutralizzare le spinte indipendentiste e assicurarsi quindi la fedeltà di quelle popolazioni all’Impero. Francesco Giuseppe, condivise sostanzialmente le proposte del fratello che però, con forte miopia politica, vennero contestate dal Consiglio della Corona che, frapponendo tutti gli ostacoli possibili, spinse Francesco Giuseppe ad accantonare “temporaneamente” il progetto di riforma che rimase poi lettera morta (cfr. Massimiliano d’Asburgo. Il Governatorato del Lombardo-Veneto 1857-1859 -Ed. Studio Tesi, Pordenone 1992).
Francesco Giuseppe non ebbe quindi la forza di “osare”, lasciando così avanzare le forze avverse all’Impero, con Napoleone III che stava già allungando lo sguardo oltre le Alpi, solleticando, a proprio vantaggio, le mire espansionistiche piemontesi.
E venne quindi la carneficina di Solferino, più di 40.000 vittime tra caduti, feriti, dispersi e prigionieri e l’Imperatore vide in faccia la guerra, per la prima e unica volta. Il ricordo di ciò che vide in quella giornata non lo abbondonò più e non volle più andare su un campo di battaglia.
Ancora nel 1914, al momento di firmare, riluttante, la dichiarazione di guerra alla Serbia, si dice che quel ricordo fosse ancora vivo, tanto da portare l’Imperatore ad ammonire i dignitari dicendo : “ La guerra! Lor signori non sanno cos’è la guerra! Io lo so perché ero a Solferino”. Lasciò quindi il campo di battaglia ai generali, non intervenendo mai nelle decisioni strategiche.
Quando poi, l’anno successivo, l’Italia gli dichiarò guerra, non riuscì a trattenere la sua delusione e la sua amarezza per il tradimento dell’alleato, delusione e amarezza che manifestò nel famoso proclama “Ai miei popoli ”.
Se la vita pubblica non gli riservò grandi soddisfazioni, con l’Impero che andava sempre più sgretolandosi, anche la vita affettiva fu segnata da lutti e incomprensioni famigliari.
Prima il rapporto con la madre Sofia che l’aveva allevato con rigore e dalla cui tutela non si liberò mai completamente, poi il matrimonio con la giovane cugina Elisabetta di Baviera, Sisi, avversato, senza successo, da Sofia, che era anche zia della giovane principessa, e che, non senza una certa lungimiranza, riteneva la nipote immatura e inadatta ad affiancare il figlio Imperatore.
Una matrimonio segnato da lutti e contrasti: la morte, a soli due anni della primogenita Sofia, le tensioni con Elisabetta, sorte già nei primi anni di matrimonio e che portarono ad una crisi coniugale mai sanata, il rapporto conflittuale con l’unico figlio maschio, Rodolfo, la sua tragica morte a Mayerlig nel 1889, sulle cui cause non fu mai fatta piena luce.
Anche i rapporti col fratello Ferdinando Massimiliano, nel quale, come si è visto, aveva riposto grande fiducia, si guastarono irrimediabilmente quando questi, a sua insaputa, aveva accettato la Corona del Messico. Atteggiamento che aveva provocato la dura reazione dell’ Imperatore, che aveva revocato al fratello i titoli che gli competevano quale Principe Imperiale d’Austria. Tuttavia Francesco Giuseppe volle che le spoglie del fratello, ucciso a Santiago de Querétaro nel 1867, venissero riportate a Vienna con tutti gli onori, per essere tumulate nella Cripta dei Cappuccini.
Il 10 settembre del 1898, l’anarchico italiano Luigi Lucheni assassinò a Ginevra l’Imperatrice Elisabetta che viveva oramai, da anni, una vita indipendente lontana dalla Corte ma che Francesco Giuseppe non aveva mai smesso di amare. Alla notizia della morte della moglie, l’Imperatore, non incline a mostrare i propri sentimenti, manifestò invece tutta la sua accorata rassegnazione, osservando amaramente che nulla gli era stato risparmiato nella vita.
La solitudine degli ultimi anni fu alleviata, in parte, dalla vicinanza di Katharina Schratt, un’attrice con la quale Francesco Giuseppe mantenne sempre un rapporto di pura amicizia; amicizia che, pare, fosse stata incoraggiata dalla stessa Elisabetta che, incapace di stare a fianco del marito, voleva tuttavia che l’Imperatore potesse contare su una presenza femminile che, in qualche modo, gli fosse di conforto.
Poi venne Sarajevo e la guerra, con il declino finale di questo sovrano dalla personalità complessa e, talvolta, contradditoria.
La sera del 21 novembre del 1916, dopo 68 anni di regno, nel pieno di un conflitto che non aveva voluto, il vecchio Imperatore morì nel castello di Schönbrunn, dove era nato 86 anni prima.
Morì nella sobrietà in cui aveva sempre vissuto, in un semplice letto da campo, in ferro. Gli era accanto, in preghiera, l’Arciduca ereditario Carlo, che da lì a poco sarebbe diventato l’Imperatore Carlo I, l’ultimo regnante della Dinastia che aveva retto l’Europa per sei secoli.
Luigi Francesco Pedrone