Dopo il TTIP, sembrerebbe che anche il trattato commerciale internazionale, negoziato tra Unione Europea e Canada, stia per fallire. Eppure il CETA sembrava fosse oramai giunto al suo definitivo perfezionamento, in seguito all’approvazione del Consiglio e del Parlamento europeo. Tuttavia, l’accordo commerciale col Canada ha incontrato in questi ultimi giorni l’opposizione della piccola regione belga della Vallonia e del suo parlamento, il quale ha deciso di non approvare il trattato, impedendo di fatto la sua definitiva conclusione e il suo accoglimento da parte dell’Unione Europea.
Il caso ha provocato reazioni opposte presso l’opinione pubblica e non solo ed ha avviato un importante dibattito relativo alle procedure di decisione dell’Unione e alla loro democraticità. Nello specifico, coloro i quali si dicono favorevoli all’accordo sul CETA, così come sul TTIP, lamentano il problema insito nell’attuale formula decisionale relativa agli accordi commerciali internazionali, per cui la fase di approvazione da parte dei Parlamenti nazionali, potrebbe condurre ad un’impasse decisionale, laddove una singola assemblea parlamentare di uno Stato membro ponesse il proprio veto, tenendo così in scacco la politica commerciale europea, così come successo con la Vallonia.
Secondo questo ragionamento, il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali condurrebbe al rischio di stasi e a pericolose pratiche di ostruzionismo, per cui sarebbe preferibile che tali decisioni passino dall’esclusiva attività coordinata delle istituzioni europee, del Consiglio e del Parlamento europeo, quest’ultimo sufficiente a garantire la democraticità del processo decisionale.
Tuttavia, è ben noto a molti, non solo agli operatori del settore e agli esperti della materia, che il Parlamento europeo, nonostante i grandi passi in avanti compiuti negli ultimi anni, soffra di un notevole deficit democratico legato allo scarso livello di rappresentanza e rappresentatività con i cittadini-elettori. Non a caso lo stesso Trattato di Lisbona, nel tentativo di superare tale problema, ha cercato di coinvolgere maggiormente, seppur in maniera ancora troppo timida, i Parlamenti nazionali all’interno dei processi decisionali eurounitari.
Pertanto, sebbene possano ritenersi comprensibili i timori legati al rischio di una paralisi in ambito deliberativo, appare evidente che la soluzione ad un problema così complesso, come quello del deficit democratico all’interno dell’Unione Europea, non possa di certo rintracciarsi in un modello che riduca ancor più la partecipazione dei cittadini e delle istituzioni a loro più prossime. Appare decisamente più logica l’idea che una maggiore partecipazione democratica debba passare per forza di cose da un più ampio e profondo coinvolgimento dei parlamenti nazionali nei processi decisionali, che non sia limitato all’approvazione o al rifiuto di qualcosa confezionato “altrove”.
Solo in questo modo sarebbe possibile tenere maggiormente fede al principio comunitario della sussidiarietà, di cui spesso si fa abuso nei proclama e nei discorsi dei politici, e che, sebbene sia presente nei trattati europei, non è stato mai davvero realizzato.
Claudio Giovannico