Di recente è arrivata la firma del nuovo accordo tra Russia e Turchia sulla costruzione del “nuovo” Turkish Stream, il gasdotto da 32 miliardi di metri cubi l’anno che porterà la materia prima sulla parte europea della Turchia e poi di là in Grecia e (forse) in Italia. L’accordo prevede anche un forte sconto sulla vendita di gas alla Turchia e la cooperazione per la costruzione di una centrale nucleare in Turchia (su cui i russi forniranno know-how) a cui il Presidente Erdoğan tiene molto in quanto vorrebbe assicurare il 10% del fabbisogno energetico turco dall’energia atomica. Il contratto era stato sospeso formalmente lo scorso dicembre, in seguito alla crisi tra i due Paesi causata dall’abbattimento di un jet russo da parte dell’aeronautica turca (da cui scaturì anche l’abbattimento dell’elicottero di soccorso e l’uccisione dei membri dell’equipaggio per mano dei ribelli turcomanni siriani). Il periodo nero delle relazioni tra Turchia e Russia, uno dei tanti a dire il vero, è andato scemando tra maggio e giugno scorsi quando, a partire dalle dimissioni del Primo Ministro Ahmet Davutoğlu, vicino agli ambienti dell’Alleanza Atlantica che hanno favorito l’inimicizia tra le due potenze. Da quel momento in poi diversi accordi formali e informali si sono succeduti per ricucire uno strappo che avrebbe danneggiato sicuramente più l’economia russa che quella turca seppure era (e per molti versi lo è ancora) ben visto dai detrattori di Erdoğan che sognano, è il caso di dirlo perché è il termine giusto, il bombardamento di Ankara da parte dei Sukhoi russi.
La ripresa e la conclusione degli accordi di questo importante progetto dimostra due cose: la prima è che l’interdipendenza tra i due Paesi è forte e per ragioni che prescindono il mero interesse economico. Infatti, Ankara ha tutto l’interesse a svolgere un ruolo internazionale giocando su due “sponde”, quella atlantica quando si tratta di dover difendere i propri interessi in Siria, quella russa quando si tratta di doversi difendere dalle prese in giro degli europei; Mosca, dal canto suo, vorrebbe non abbandonare lo scacchiere economico europeo e il supporto della Turchia è fondamentale, così come lo è (forse ancor di più) sul quadrante siriano, dove però un vero e proprio coordinamento fatica a esserci (e, anzi, è già un risultato discreto il fatto che i caccia turchi non si alzino in volo quando i Sukhoi russi volano troppo vicino al confine). La seconda cosa è che a oggi il gas è più difficile da vendere che da comprare: troppa l’offerta e a buon costo, troppa poca la domanda a costi così ridicoli. In questo senso si inseriscono gli appelli di Putin all’Opec e a tutti i produttori di gas e petrolio per congelare i prezzi del barile e, possibilmente, tagliare la produzione per far alzare i prezzi. Ankara, da parte sua, può sempre contare in caso di emergenza sulle risorse strategiche provenienti dagli scenari di crisi del Siraq.
Di Marcello Ciola