La bufera sulla gestione del Comune di Roma da parte del nuovo sindaco Raggi ha raggiunto ormai livelli paradossali. Molti outsider della politica di qualsiasi estrazione sociale/professionale hanno salutato con gioia prima il successo verso il ballottaggio e poi l’elezione del neo sindaco di Roma: sintomo di una insofferenza verso la “vecchia classe politica” di destra e sinistra, questo sano e sincero ottimismo che si potrebbe definire “aprioristico”, ha seguito il classico discorso da bar “abbiamo già raschiato il fondo del barile, non si può andare oltre”. Un ottimismo, questo, che si può tollerare – metodologicamente e sentimentalmente – solo da parte di chi è al di sotto della soglia dei 17 anni. Rendendosi conto di quanto la Raggi abbia “non-fatto” a Roma in 4 mesi da sindaco (lo so, sono ancora troppo pochi per giudicare un operato complessivo di una giunta che ancora non esiste), i più onesti intellettualmente – pochi a dire il vero – si sono sùbito rinchiusi in un religioso silenzio; gli altri hanno imbracciato “i forconi della retorica grillina” e hanno sùbito invocato il complotto di cui il titolo sopra[1], che ricorda a grandi linee il caro vecchio complotto demo-giudo-pluto-paperino-pippo-cratico che tirano fuori altri vecchi ultras della “politica”.
Se mi limitassi alla premessa, potrei essere tacciato della medesima “foga da stadio” ma alla rovescia, per questo mi tocca l’ingrato compito di porre delle questioni in maniera leggermente più approfondita. “Ingrato” perché scoccia spiegare l’ovvio ma talvolta è necessario.
È logico partire dalle elezioni. Le elezioni. La “lavatrice del sistema democratico”. Virginia Raggi è diventata sindaco conducendo una campagna elettorale sui temi della trasparenza, dell’onestà e della sburocratizzazione di tutto il sistema romano oggettivamente anchilosato. Sulla trasparenza meglio sorvolare in quanto come tema di campagna elettorale emerge esattamente nel senso in cui l’anno intesa i predecessori della Raggi, così come anche la retorica sull’onestà, su cui è necessario però soffermarsi un attimo in più. Entrambe (trasparenza e onestà) non sono né qualifiche che possono essere verificate aprioristicamente e né tanto meno due aspetti su cui poter fondare una intera campagna elettorale[2], ma, si sa, in politica il campo dell’essere (e dunque del verificabile) non coincide quasi mai con quello dell’apparire (e cioè quello della comunicazione, degli slogan). Dunque la Raggi vince la campagna elettorale su questi tre temi fondamentali che sono venuti meno uno dopo l’altro nel corso dei primi mesi della sua carriera. La trasparenza e l’onestà vengono meno nel momento in cui si scelgono degli assessori quasi “a caso”, ovvero solo perché “onesti”, fatto salvo poi scoprire che alcuni di essi erano indagati fin da prima delle elezioni (caso Muraro); vengono meno quando l’indomani delle elezioni vinte sull’onda di “mafia capitale”, 116 indagati (tra cui Marino, Zingaretti e Alemanno) vengono assolti o viene chiesta l’archiviazione delle indagini; vengono meno nel momento in cui tu sindaco sei chiamato a rispondere delle tue azioni dai giornali e concedi solo un paio di conferenze stampa senza però sottoporti alle domande dei giornalisti (ha fatto ridere il tweet di Grillo in cui ha ringraziato “tutti i portavoce del M5S che non hanno fatto dichiarazioni alla stampa” nel periodo della decisione circa le olimpiadi: praticamente dei “portavoce” senza voce); vengono meno quando alla fine di giugno tu sindaco dichiari a SkyTg24 che ci sarà presto l’annuncio della giunta capitolina concordata con lo staff romano ma, a inizi di ottobre, Roma è senza un Segretario Generale, un Direttore Generale, un Capo di Gabinetto, e con un Ragioniere Generale che molla perché non ha direttive politiche sul quale poter/dover gestire un bilancio con circa un miliardo di disavanzo e numerose cariche dirigenziali vacanti o in rotazione. Non trovo nulla di onesto o trasparente nell’annunciare a inizi di luglio che “la squadra” è pronta e che è stata decisa quando, invece, si è ancora a discutere con i dirigenti del partito nazionale. Altra disillusione è stata quella relativa allo snellimento e alla sburocratizzazione di Roma e della sua politica: le decisioni sarebbero state prese dai romani, per i romani, tramite i rappresentanti legittimamente eletti (sempre in maniera “trasparente e onesta”, mai dimenticarsene) senza passare dai loschi corridoi capitolini di “mafia capitale” (le famose lobby, appunto). “Tutto bellissimo” direbbe la stessa Raggi – come non smette di ripetere nelle sue apparizioni pubbliche, ridendo, mentre la città alle sue spalle affonda. Invece, le decisioni sono state prese, discusse, manovrate e cambiate (anche con i malumori della stessa Raggi) dal partito in cui “uno vale uno ma qualcuno vale più degli altri”. Ebbene, questo non è alleggerimento della politica, non è sburocratizzazione. Tutto il contrario. Sicuramente hanno alleggerito il numero delle delibere in giunta (e dunque delle riunioni): in poco più di 100 giorni a Milano sono state fatte 397 delibere; a Torino 200; a Roma 39 di cui 23 per riempire incarichi di un’amministrazione che ancora non esiste. Questo non ha nulla a che fare con il complotto delle lobby e della stampa che, anzi, ha giocato un ruolo fondamentale per la vittoria del M5S a Roma e ha regalato intere pagine alle lettere di Grillo (che per un periodo ha paradossalmente preferito le pagine del Corriere della Sera a quelle del suo blog).
I grillini hanno lamentato che la politica regionale (per mezzo del suo presidente) remasse contro gli interessi di Roma Capitale riciclando alcuni dei dirigenti in disaccordo con le direttive politiche del M5S. Ci si riferisce soprattutto al caso di Daniele Fortini, che è passato da AMA a consulente regionale, perché in rotta con il nuovo (ma già ex) assessore Muraro; i pentastellati (come Davide Barillari, Consigliere Regionale Lazio M5S) che hanno gridato allo scandalo tacciando Fortini di incapacità forse non riflettono sul fatto che il Cv di Fortini è disponibile on-line e, a occhio e croce, sono più di 20 anni che è professionalmente addentro alla gestione della nettezza urbana in diverse parti d’Italia, mentre loro sono stati scelti con 4 click per ricoprire ruoli di cui fino a 4 anni fa ignoravano l’esistenza. Questo è il vero scandalo di cui si dovrebbe parlare seriamente. È troppo presto per parlare di “onestà e trasparenza” e comunque è di dubbio interesse in politica, dato che quel che conta sono le capacità del Politico (difatti l’Italia ha passato il suo momento storico migliore mentre era governata certamente da disonesti ma che erano sicuramente molto più capaci di chi è “venuto dopo”). Quindi, è tutta una questione di “capacità politica” che nulla a che fare con le lobby di cui parlano i vari Di Maio e Raggi. È incapacità soprattutto umana in quanto basti vedere come il M5S ha trattato Pizzarotti o il dirigente sportivo Pancalli (lo ricordiamo, su una sedia a rotelle) costretto ad aspettare che la Raggi, in ritardo, finisse il pranzo in trattoria per averne udienza. È incapacità o, meglio, ignoranza amministrativa se si dice un secco no alle Olimpiadi (dopo che Di Maio si era espresso per il “Sì, solo se il M5S avesse vinto a Roma” – altro grande esempio di onestà e coerenza pentastellata)[3] richiamandosi ad un articolo della Carta Olimpica del 1999 non più in vigore e facendo appello alla paura delle speculazioni edilizie (dopo che si era promesso anche un referendum cittadino sul tema delle Olimpiadi[4]). È incapacità politica non riuscire a mettere su una squadra di assessori che possa lavorare in Campidoglio in condizioni ottimali, al riparo dalle critiche degli stessi esponenti nazionali del M5S.
Quello che la Raggi sta vivendo non è il complotto delle lobby politiche e dell’informazione; è semplicemente lo scontro tra la politica reale e quella degli slogan. Con quest’ultima si vincono le elezioni, con la prima si fanno le cose: troppo presto per giudicare? Sicuramente, ma se non si riescono a nominare gli assessori come si può amministrare una capitale europea? È inutile nascondersi dietro l’onestà dei candidati (che come si dice a Roma, “il più pulito c’ha la rogna”), dietro la trasparenza delle dirette streaming (senza contraddittorio), dietro il complotto della stampa (su cui scrive Grillo ogni settimana), dietro “mafia capitale” (che non esiste), dietro le responsabilità delle vecchie amministrazioni per difendersi dalla realtà dei fatti: non si è fatto nulla, a parte far “caciara” sui media, molti sono stati i retro-front su alcune idee lanciate in campagna elettorale. La Raggi aveva detto che avrebbe scelto “i migliori, i più capaci” ma ha dimostrato evidenti problemi di valutazione non tanto sulla scelta delle personalità quanto su come intendere “i migliori”: secondo lei? Secondo gli anni di esperienza? Secondo l’onestà? Giustamente non ci si può aspettare nulla di meglio da un partito che è abituato a scegliere “i migliori” sulla base di alcuni click sul web.
Berta Raviano
[1] ATTENZIONE, cari talebani: non dico che non esista una “macchina del fango”, come amate chiamarla voi. Dico che in questo caso i giornali hanno giocato un ruolo non sfavorevole a Virginia Raggi, come scriverò in seguito.
[2] In questo senso è emblematico il caso dell’eletto presidente del XIV, Alfredo Campagna, che durante una sua intervista non riesce a dire null’altro se non farfugliare qualcosa sulla trasparenza fino ad ammettere che aveva “dimenticato quello che doveva dire”. Perché, ovviamente, un grillino non ha ben chiare le proprie idee politiche, quasi come fossero i propri gusti culinari, ma è tenuto a imparare a memoria una filastrocca da ripetere davanti ai microfoni. Se la memoria claudica, allora è possibile dimenticarsi il proprio, “personalissimo” programma politico. http://video.repubblica.it/edizione/roma/roma-l-amnesia-del-minisindaco-dei-cinque-stelle/243992/244032.
[3] http://www.la7.it/otto-e-mezzo/video/di-maio-si-alle-olimpiadi-a-roma-solo-se-vince-il-m5s-15-12-2015-170353.
[4] http://tg24.sky.it/tg24/politica/2016/06/15/ballottaggio-roma-confronto-giachetti-raggi.html